I primi scatti del telescopio spaziale James Webb, mostrati al mondo martedì 12 luglio, sono riusciti a stupire, a commuovere, gli stessi astronomi. Gente che di immagini del cielo ne vede tutti i giorni, davanti a queste nuove immagini rimane a bocca aperta. C’è anche chi ha pianto, raccontano le cronache.
Lo capisco, anche io sono rimasto impressionato. Il grado di dettaglio è veramente sorprendente. Il modo nuovo che abbiamo di vedere l’Universo è tale, che risulta difficile sovrastimare il salto in avanti che abbiamo compiuto. Verissimo, già avevamo compreso come fossero tempi particolarmente interessanti per la scienza del cielo, ma con l’entrata in funzione del James Webb, è come se ora fossimo tutti sottoposti ad una accelerazione ulteriore.
Le cinque immagini che sono state diffuse al pubblico martedì 12 luglio (con la notevole anticipazione di una di esse, resa nota nel lunedì sera italiano in una diretta speciale dalla Casa Bianca, con il presidente statunitense Joe Biden ed alla presenza dalla vicepresidente Kamala Harris) sono state scelte con indubbia competenza, perché nella loro globalità risultano davvero una splendida dimostrazione di quanto può fare questo nuovo telescopio spaziale, ovvero in quante situazioni - anche molto diverse - il suo occhio può risultare capace di stravolgere scenari ormai ritenuti consolidati.
A pensarci ora, una follia completa. Progettare e realizzare un telescopio enorme, il cui specchio gigantesco - davvero troppo grande per essere lanciato intero nello spazio, da un qualsiasi razzo - si “costruisce” da solo, mentre raggiunge il suo punto di osservazione cosmico (a circa un milione e mezzo di chilometri da Terra), secondo una procedura totalmente automatica, completamente fuori controllo dalla Terra: una follia, sotto molti punti di vista. Sperare dunque che le procedure automatiche, così complesse, funzionino in modo perfetto? Una rischio enorme, un azzardo. Un costosissimo azzardo, peraltro.
Sono passati alcuni anni, ma ricordo ancora molto bene. Ero in Osservatorio, mi trovavo nell’aula seminari, per caso accanto al Direttore di allora - quando ci mostrarono il video della simulazione dell’assemblaggio automatico dello specchio del James Webb. Non funzionerà mai!, si lasciò scappare il Direttore, tanto appariva evidente a noi tutti l’inaudita complessità delle procedure che avrebbero dovuto aver luogo nello spazio, perché il telescopio potesse realmente funzionare.
Fui senz’altro d’accordo con lui: pareva veramente un’impresa fuori da ogni logica di riuscita. Troppo complessa. Uno specchio di più di sei metri che si mette in posizione praticamente da solo, allineando tutte le sue sezioni e allocando correttamente lo specchio secondario? Davvero impossibile. Ora, credo siamo entrambi felici d’essere stati smentiti. La realtà ha superato ogni proiezione, ogni immaginazione. Ora il telescopio spaziale James Webb è realtà e già ci sorprende, sopra ogni attesa.
1. La foto dell’ammasso di galassie SMACS 0723 copre un’area di cielo paragonabile a quella coperta da un granello di sabbia tenuto alla distanza di un braccio. Ci mostra un Cosmo popolato da migliaia di galassie, donandoci la vista più dettagliata di sempre sull’Universo lontano.
Queste immagini, infatti, con la loro carica di meraviglia, ci pongono di fronte ad una evidenza ormai ineludibile. L’Universo non è appena un assemblaggio di cose là fuori esterno da noi e senza contatto o contaminazione. Non è nemmeno un insieme dato di entità, conoscibili una volta per tutte.
Piuttosto, l’Universo ci si disvela in modo definitivamente progressivo, ci si pone di fronte come una fuga praticamente infinita di dettagli e particolari e intarsi e mosaici cosmici, di una profondità che realmente pare non avere limite. Le qualità delle foto del nuovo telescopio ormai lo rivelano chiaramente: l’Universo si palesa alla nostra esperienza cosciente, tanto dettagliato, quanto noi riusciamo a percepire, momento per momento, epoca per epoca. La risposta è connaturata alla domanda: la complessità che ci investe è pari a quanto la nostra consapevolezza può reggere, epoca per epoca, istante per istante.
La seconda evidenza che ci raggiunge, tuttavia, non è certamente da meno della prima, anzi possiede una pregnante rilevanza umana, per così dire. L’evidenza è che pensare in grande riveste ancora un grande valore, possiede tuttora un notevole peso specifico. Nell’epoca liquida, del disimpegno e del minimalismo, dove ogni grande costruzione ideale o materiale, sembra essere ormai preclusa dall’orizzonte umano - ecco proprio adesso - ci giunge la dimostrazione luminosa di come le grandi imprese ancora pagano, sono ancora fruttuose. Abbiamo bisogno di concentrarci su poche grandi cose per uscire dai pensieri pigri, dalle tendenze depressive, per sentirci afferrati ed avvolti da un’opera comune, capace di unire donne e uomini di diverse condizioni, varie culture, differenti generazioni.
Uscire dallo stato di emergenza esistenziale, tornare a pensare al futuro in modo ottimistico e costruttivo. Vedendo queste immagini lo capiamo di nuovo: è possibile pianificare, costruire, investire in obiettivi a lungo termine, perché diamo forma al futuro, scommettendo in progetti ampi e che si sviluppano su tempi distesi. Funziona nell’impresa scientifica e anche nelle nostre vite personali: la scienza è importante, dopotutto, per quello che ci insegna e che spesso gravita al di fuori di essa.