Nella situazione attuale, in cui l’emergenza del negativo assume varie forme che dal nichilismo giungono a teorizzare l’auto distruzione cosmica, operata dall’uomo nella crisi odierna, torna di grande importanza l’ottimismo teologico di Teilhard De Chardin. Quest’ultimo, realizzando un interessante sintesi tra tradizione e innovazione, riesce ad elaborare una teoresi oggi definibile come post-metafisica, tra scienza, filosofia e teologia. Infatti, la sua immagine ontologica del mondo e dell’umanità propone un’originale cosmologia, per altro fedele alla storicizzazione della condizione umana e alla rivelazione profonda, in senso metastorico, compiuta da Giovanni nell’Apocalisse. Pertanto, andando oltre la passione per il negativo che anima e preoccupa le riflessioni di tanti intellettuali odierni, l’andare verso del nostro teologo evidenzia la compresenza storica del bene e del male illuminata dall’azione responsabile degli appartenenti al fenomeno umano, i quali, attraverso l’accoglienza del messaggio cristiano, possono realizzare una comprensione del reale. In tale circostanza l’alfa e l’omega, quali cifre della teologia paolina, costituiscono l’inizio e la fine del cammino umano che, prendendo le mosse dal limite e dal rischio della condizione fisica e storica, nella quale si inquadra il fenomeno umano stesso, può nascere, crescere e maturare sul piano della fede. In tale modo, è senz’altro possibile orientare la storia in una direzione escatologica in cui il bene trionfi sul male e il compimento del regno di Dio possa finalmente realizzarsi in un futuro di unità e di fratellanza dell’umanità che abiti in un mondo nuovo, nel quale l’unificazione dei diversi, faccia approdare la storia ad un’ulteriorità del tempo, proiettata verso l’eterno, attraverso una soluzione di salvezza. Così, la resurrezione, al di là di ogni immagine mitica o miracolistica, può essere il compimento in cui lo spirituale trionfa in una continuità e in una trasfigurazione del materiale. Questo passaggio, operato dalla grazia, può essere anche ottenuto attraverso la presentificazione della speranza promessa all’uomo da Dio ma costruita anche attraverso i progetti dei comportamenti dell’uomo in una civiltà nuova. Quanto detto, non rappresenta l’espressione poetica di un’utopia antropologicamente costruita, ma una visione della trasfigurazione della storia umana, già immaginata e ipotizzata sul piano della fede dalla teologia teilhardiana. Queste riflessioni prendono spunto dalle conferenze del nostro teologo ma si propongono soprattutto di avviare e consolidare un dialogo capace di aprire la nostra immaginazione alla speranza e quindi di esorcizzare le nostre paure del negativo che spesso paralizzano il comportamento umano chiudendoci in un vissuto di solitudine che finisce per anticipare una negatività autodistruttiva della storia. Questa dovrebbe essere l’occasione di una conversione sostenuta dalla fede e incrementata dall’estetica, nella quale l’uomo è chiamato non all’autodistruzione, bensì al coraggio, ovvero, a un supplemento d’anima fondamentale per salvare il fenomeno umano attraverso il nuovo umanesimo, suscettibile di spostare il nostro interesse sul domani migliore che ci renda possibile uscire dalla tristezza della perdita di un passato idealizzato, che esiste soltanto nella negatività dei sogni di perdita, i quali spesso costituiscono il motivo di fondo dell’abbandono e del naufragio vissuto dall’uomo di oggi.