Unità e complessità nel pensiero politico-federalista: Tommaso d’Aquino, Norberto Bobbio, Pierre Teilhard de Chardin
Docente di Discipline giuridiche ed economiche e Docente di Storia del pensiero politico contemporaneo presso la facoltà di Scienze politiche dell’Università ‘La Sapienza’ di Roma (cultrice della materia); è autrice di varie pubblicazioni sul pensiero e sulla filosofia politica, sul ruolo svolto dallo stato nella formazione del pensiero politico, su questioni attinenti alla teologia, alla spiritualità e alla mistica (Simone Weil e Francesco d’Assisi: anarchici o mistici?, Ed. Nuova Cultura, Roma 2009). Ha ricoperto il ruolo di Capo Ufficio Statistica presso il Ministero dello sviluppo economico; è avvocato presso il Consiglio dell’Ordine del Foro di Roma.
Teilhard de Chardin non si ferma a riflettere su idee circoscritte, facendo uso delle nostre consuete categorie di indagine: egli si pone dinanzi a questioni e realtà che non possono essere contenute entro schemi chiusi, ma che si proiettano verso l’infinito, sia a livello spaziale che temporale: l’universo, Dio, l’evoluzione, la spiritualità nel suo legame col cosmo. Ed è solo adottando questa ottica “onnicomprensiva”, solo optando per un approccio euristico di carattere globale che può essere compreso, a mio avviso, il pensiero politico di Teilhard. Nell’epoca della globalizzazione, dinanzi ad un mondo che cambia e si evolve in mille dinamiche combinazioni, non riusciamo a trovare una chiave di lettura adeguata perché il nostro approccio ermeneutico appare viziato da schemi analitici riduttivi e fuorvianti. La tendenza alla composizione e all’universalità che emerge con veemenza da un mondo in mutamento viene da noi esaminata con i tradizionali modelli interpretativi e ne esce inevitabilmente viziata e deformata. Non sappiamo cogliere l’essenza delle cose, il messaggio ultimo che ci viene dai fatti proprio perché adottiamo strumenti di indagine errati.
La lezione del gesuita francese è severa e indimenticabile: cominciamo ad unire piuttosto che a separare, specializzare, dividere: uniamo ed armonizziamo, rispettando, però, la varietà e la ricchezza delle diversità.
Unità e totalità: Tommaso d’Aquino e Teilhard de Chardin
L’essenza del messaggio teilhardiano ci riconduce al pensiero di quel grande dottore della Chiesa, di quel pensatore e filosofo eccelso che fu Tommaso d’Aquino. Un uomo che, avvolto nella sua imperturbabile serenità, circondato dal silenzio, tanto che le fonti che lo ritraggono mentre, muto, suole muoversi meditabondo tra i confratelli, riuscì magicamente a conciliare umanità e divinità, natura e grazia, logos e praxis: tutto ciò sotto l’autorevole egida dell’ethos che guida l’azione umana.
Se ci inoltriamo nelle categorie di pensiero tomiste scopriamo che le pagine da lui dedicate alla riflessione sulla società politica partono dal fondamentale concetto di ordo; tale ordine caratterizza la società politica tomista, ma è pure il punto cardine intorno al quale l’intero cosmo si costruisce ed evolve, è l’anima mundi, dell’universo, il principio compositore che tutte le cose riconduce ad unità. Esaminando le questioni politiche l’Aquinate, nell’individuare il fine della attività politica nel bonum commune e nell’affidare alla virtù della giustizia il compito di “rendere a ciascuno il suo”, delinea un organismo composito che si orienta verso l’unità, che ricerca l’armonia ma che, nel, contempo, rispetta e tutela le differenze. Le riflessioni del filosofo dipingono una società pluralista che tutela le diversità, che si declina in una miriade di associazioni, di corporazioni, di organismi intermedi che godono di una loro autonomia e divengono i protagonisti attivi della società.
Unità e complessità si incontrano dunque nella società politica dipinta dall’Aquinate, una società dove ordine significa composizione degli insiemi, capacità di dare ordinata espressione e tutela alle specificità degli organismi associativi e delle organizzazioni locali e territoriali.
Anche nell’approccio più prettamente teologico, Tommaso, figlio egregio del suo tempo, riesce a trasmetterci una mirabile sintesi tra la natura umana e la divinità, tra la natura e la grazia, due entità che non si oppongono, che non si chiudono nella pessimistica visione agostiniana circa la corruzione dell’uomo, ma che armonicamente convivono nell’afflato verso la trascendenza. Si palesa nel pensiero dell’Aquinate una notevole riscoperta della capacità della ragione di esplorare il mondo, emerge in esso una proprietà ordinante che sembra estendersi sino all’Onnipotente, che permea lo stesso sguardo indagatore di Dio sul mondo (vedi la Quaestio 90 della Summa Theologiae).
Ebbene, se leggiamo le pagine di Teilhard, se andiamo a ricercare il suo orientamento sul mondo e sulle cose, se ci soffermiamo sul suo pensiero politico non può sfuggirci la singolare affinità tra l’approccio tomistico e quello di Teilhard. Le riflessioni dei filosofi si dipanano, entrambe, all’interno di un orientamento universalistico ed universalizzante, di un itinerario globalmente rivolto alla composizione ed alla sintesi.
La questione fondamentale rimane, a nostro avviso, quella introdotta nell’inizio di questa riflessione: l’opzione metodologica che ci consente di avvicinarci al pensiero di Teilhard deve essere olistica, deve saper cogliere il “globale”, essere orientata alla comprensione e compenetrazione di quell’itinerario teleologico che riconosce la complessità e la immerge nell’armonia del cosmo.
Tommaso fonda la genesi e l’evoluzione di ogni aggregato umano sull’essenziale riconoscimento della libertà e dignità dell’uomo, figlio di Dio e fratello di Cristo; tutto ciò non richiama forse alla mente le speculazioni di Teilhard? Teilhard manifesta infatti una profonda fede nell’uomo, lo considera come soggetto di una “trasformazione rivoluzionaria” della terra, trasformazione che si compie tramite la riflessione dell’istinto “sotto forma del pensiero”; il gesuita descrive un uomo guidato “dall’ambizione vitale di invadere tutto e di superare se stesso”; d’altro canto persino dalla mitologia e dal folklore –egli afferma- “traspare la volontà profondamente radicata nella Terra di aprirsi una strada sino ai cieli”.
Il filosofo medioevale, come Teilhard, non si chiude nell’empireo della trascendenza, non propugna una visione che separi spirito e materia, salvaguardando le spiritualità e condannando invece la carne come elemento di perdizione, ma opta per concezione dell’uomo che, quale creatura di Dio, dotata di profonda razionalità, sa cogliere anche solo con l’uso della ragione la gerarchia dei valori, il principio ordinatore del mondo: nessuna contraddizione, dunque, tra natura e grazia, tra legge umana, legge divina e legge rivelata, ma un armonico contemperamento che è teologicamente orientato alla perfezione dell’uomo. L’Aquinate traccia le linee di un cosmo costruito secondo l’architettonico disegno di un’armonica gerarchia dei fini in cui ogni elemento si inserisce nell’altro sino a tessere la stupenda unità di un universo orientato a Dio. La natura, principio formale delle cose, si manifesta nell’intentio cioè nella realizzazione di un determinato fine; tale elemento teleologico, inserito nella teoria finalistica dell’universo di derivazione aristotelica, è compreso dall’intelletto, la cui funzione è appunto quella ordinante, capace di organizzare le cose secondo il criterio essenziale cui risponde l’architettura divina manifestata nell’intero cosmo.
Anche in Teilhard il rilievo dell’uomo è grande nel processo di evoluzione dell’universo: quell’individuo che in Tommaso è partecipe del mirabile progetto della divina Provvidenza fornisce per il gesuita un contributo necessario allo sforzo evolutivo, diviene protagonista di un processo cosmico che non potrà compiersi senza il suo contributo. Così “il processo di vitalizzazione in cui siamo coinvolti” non può “essere definito al limite superiore”, se non in termini “di ultrapersonalizzazione” Il contributo dell’uomo permette l’ingresso nella noosfera e l’accrescimento del “grado di personalità”, poiché un mondo “immaginato come in cammino verso l’impersonale… diverrebbe pertanto contemporaneamente impensabile e irrespirabile”; l’universo si caratterizza, dunque, per Teilhard quale “ascesa irreversibile nel personale” e l’opera dell’uomo diviene, in tale itinerario ascensivo, condicio sine qua non del percorso.
Anche nella società politica l’uomo assume valore centrale, sia per Tommaso che per Teilhard. Per Tommaso la civitas, in pieno accordo con Aristotele, è un opus rationis, un prodotto della ragione che, in sintonia con la natura umana tendente alla socialità, assume consapevolmente la communitas civitatis, la inserisce concretamente nella realtà storica, la organizza mediante le doti razionali. È una concezione tutt’altro che statica, bensì relazionale e dinamica, come quella di Teilhard, secondo la quale la ragione umana “ordina molti uomini in una certa comunità” e per questo deve essere teleologicamente orientata al bonum commune.
Al riguardo Teilhard, che si interroga sul significato, sul senso della democrazia rileva anch’egli una mirabile tendenza all’unità, in un mondo che gradualmente evolve verso il punto Omega, cioè verso quel Cristo di paolina memoria che ricapitola tutte le cose in sé.
Quel movimento inarrestabile verso l’unificazione che sembra introdurre un avvicinamento, una progressiva acquisizione di affinità reciproche tra individui, che presuppone un movimento avvolgente capace di generare un privilegiato canale di comunicazione tra gli essere umani, psichicamente compenetrati e compenetranti, non richiama forse alla mente il disegno tomista? Ci scorre dinanzi agli occhi quel mirabile meccanismo disegnato dall’Aquinate in cui ogni ingranaggio si inserisce perfettamente al proprio posto sino a comporre la mirabile armonia del cosmo; è un cosmo unificante e dinamico nel quale la natura e la grazia si sposano a consentire la progressiva approssimazione dell’uomo ai fratelli e a Dio, in un reciproco divenire che si compie nella compenetrazione reciproca, nel riconoscimento dell’altro, anch’egli figlio dell’unico Padre comune a tutti. L’ordo di cui parla Tommaso, un ordine che gradualmente comprende e compone in un movimento armonico ascensionale ogni essere vivente, non può forse paragonarsi alla “inarrestabile unificazione e organizzazione su se stessa” che caratterizza la specie umana? I movimenti autonomi delle parti che compongono l’universo teilhardiano e tomista si ricompongono sempre in superiore unità, sono perfettamente inseriti in un cosmo la cui tensione teleologica è fortemente orientata: il punto di convergenza dell’universo teilhardiano e di quello tomista è Dio, è l’Onnipotente, il Creatore da cui tutte le cose provengono e in cui tutte culminano.
Diversità e molteplicità degli esseri umani e delle configurazioni sociali e politiche, pur nella innegabile tensione all’unità dell’intera realtà, tessono un misterioso legame tra l’affascinante unicità di ogni individuo, che assurge alla dignità di figlio di Dio, tra l’originale conformazione e varietà irriducibile delle comunità di base e la loro riconduzione ad una mirabile sintesi, in grado di comprendere intera la realtà dei fenomeni. Scrive al riguardo Teilhard: “L’uno e il molteplice. Donde la dispersione? E come il ritorno all’unione?”[1]
Teilhard, come Tommaso, ricerca dunque la ragione, lo scopo di tale coesistenza, ne vuole individuare il principio evolutivo, esaminarne lo sviluppo, giungere infine al punto di ricongiunzione. L’approccio teleologico è palese sia nell’Aquinate che nel gesuita. Un cosmo che perfettamente si orienta verso la trascendenza costruendo quel mirabile meccanismo nel quale ogni ingranaggio si inserisce al proprio posto secondo il principio della gerarchia dei fini (Tommaso) o che evolve da Alfa (Dio o Cristo, causa prima di tutte le cose, motore del progresso universale) ad Omega (di nuovo Cristo che tutto riunisce in sé secondo la paolina ricapitolazione in sé di ogni cosa: così Teilhard). Quella realtà generata da Alfa, che si sviluppa attraversando la fase della dispersione ben richiama il pensiero dell’Aquinate anche nelle sue teorie politiche, teorie che dipingono una società estremamente varia, spesso dispersa e confusa nel mosaico infinito delle organizzazioni associative, delle situazioni personali e reali: eppure tale società si riconduce a perfetta unità nella sua proiezione teleologica verso Dio che tutto ricompone. La visione del mondo che i due filosofi presentano ad ottocento anni di distanza ha dunque notevoli punti in comune.
Norberto Bobbio e Teilhard de Chardin
Colpisce nelle riflessioni di Teilhard sul fenomeno democratico l’affinità col pensiero di un intellettuale dell’età a noi coeva, cioè di Norberto Bobbio che ha vissuto sulla sua pelle le limitazioni alla libertà umana volute dal fascismo e che trova nella democrazia una forma di governo perfettibile, ma positiva. Il modus procedendi dell’analisi bobbiana presenta infatti interessanti analogie con le speculazioni del gesuita francese, sia dal punto di vista metodologico che da quello contenutistico.
Intanto la struttura argomentativa delle speculazioni del giurista torinese presenta un approccio empirico ed analitico che, esteso all’intera sua sconfinata produzione, mostra di privilegiare la “distinzione” e la “comparazione” nell’analisi dei fenomeni. Il suo ragionamento procede dunque per coppie oppositive “riflette di volta in volta la tensione fra concetti di diversa natura o il conflitto fra punti di vista alternativi”[2] La contrapposizione degli opposti non contraddistingue forse anche il pensiero teilhardiano che, anche nell’analisi del fenomeno democratico, si muove fra personalizzazione e totalizzazione, tra liberalismo e socialismo?
Sia Teilhard sia Bobbio amano la democrazia, ne condividono i valori all’interno di quella teoria personalista che pone l’uomo e la sua dignità al centro di qualunque aggregato politico. Scrive al riguardo Bobbio: “Tenendo fermo il punto che persona significa individuo innalzato a valore la via da seguire è quella di trovare il valore dell’individuo nella storicità della sua esistenza, che è esistenza con gli altri, di giungere pertanto ad una fondazione non più metafisico-teologica, ma storico-sociale della persona”. “Col personalismo –aggiunge Bobbio nel 1962 – indico la tendenza a considerare l’uomo come fine in se stesso, l’individuo singolo, come centro di diritti verso la società, dalle libertà personali a quelle economiche” [3]
Diversa è la complessiva visione della vita, orientata a valori laici in Bobbio e a proiettata verso la trascendenza in Teilhard il quale inserisce le sue riflessioni in una prospettiva fortemente cristocentrica; ma ciò rende ancora più interessante osservare quanti punti in comune abbiano le loro speculazioni sia in relazione alla condivisa centralità della persona, sia nelle riflessioni dedicate alla democrazia, sia infine nell’opzione metodologica prescelta per dipanare il loro intero percorso speculativo.
A conferma di ciò rammentiamo quanto scrive in merito Teilhard:
“Dimostriamolo dapprima[4] a proposito di tre attributi leggendari (Libertà, Uguaglianza, Fraternità) indissolubilmente associati nel nostro spirito all’idea di ogni governo del popolo da parte del popolo; e poi nel caso del conflitto, più vivo che mai, che non cessa di opporre tra loro le due forme, liberale e socialista, di Democrazia”[5].
Emerge con evidenza, nelle parole di Teilhard, una dicotomia insita nel concetto stesso di democrazia e che si manifesta nelle sue forme applicative concrete: quella tra liberalismo e socialismo, modelli che il gesuita riconduce nel comune tronco del governo del popolo. Da tale approccio genetico si snoda un percorso dialettico che, nella contrapposizione di tesi ed antitesi, sfocia nella sintesi innegabile della concezione democratica, quello di un potere che nasce dal basso, che è espressione delle esigenze e del volere di una comunità che si organizza attorno ad un’idea e intende così tutelare le proprie radici comuni e realizzare i propri interessi. La democrazia indica, dunque, ontologicamente, il governo del popolo, ma il suo cammino nella storia non segue un itinerario lineare, privo di contrasti; al contrario esso è il risultato di continue opposizioni e confronti che segnano inevitabilmente le tappe del suo itinerario.
È singolare osservare a tale proposito come anche l’idea democratica di Norberto Bobbio proceda appunto per coppie oppositive, privilegiando la trattazione per antitesi delle questioni affrontate ed in particolare lo spinoso problema della democrazia. Ad una lettura attenta degli scritti dei due studiosi sul tema emerge infatti tale interessante analogia che si palesa su un duplice piano, quello del metodo prescelto per l’analisi e quello dei contenuti. Sappiamo bene che l’accostamento all’analisi evolutiva delle cose e del cosmo da parte di Teilhard privilegia un metodo globale, procede lungo un percorso itinerante non continuo né omogeneo che, fatto di monti di stasi e di ripresa, di bene e di male, di gioia e di sofferenza, traccia l’interminabile catena del divenire. Ebbene anche Bobbio privilegia il confronto dialettico, il conflitto fra punti di vista alternativi, confronto e conflitti che finiscono per costituire il cuore stesso dell’idea di democrazia, il suo contenuto irrinunciabile. Scrive al riguardo Franco Sbarbieri nell’introduzione a Politica e cultura: “Nell’approccio empirico e analitico, tipico di tutta la sua produzione, c’è chi ha colto correttamente, l’interesse per la ‘distinzione’ e il gusto per la ‘comparazione’. Proprio sull’arte della distinzione e della comparazione si fonda un costante procedere per coppie oppositive.[6] Eppure includere e sistemare i grandi temi della riflessione politica all’interno di un universo composito ma scientificamente organizzato sembra rispondere, oltre che ad un’esigenza metodologica, ad un impulso esistenziale, mai venuto meno, verso un ordine condivisibile” [7]
Ebbene un tale impulso sembra guidare anche le speculazioni di Teilhard che, pur nelle distinzioni e nel procedere dialettico, ricerca sempre l’unità e la composizione delle distinzioni in un universo armonico ed includente, ove ogni differenza trova opportuno riconoscimento e sistemazione ordinata.
L’idea di democrazia propugnata da Teilhard, come quella adottata da Bobbio, non si identifica, sic et simpliciter, con un generico concetto di uguaglianza, ma procede denunciando “grandi dicotomie”, rilevando tensioni tra idee contrapposte.
Scrive al riguardo Teilhard: “Ebbene, il così strano e persistente solco che non cessa di far sempre riapparire, in seno a tutti i movimenti detti ‘democratici’, le due nozioni opposte di liberalismo e di dirigismo (cioè di individualismo e di totalitarismo), se lo si nota, non spiega forse da solo che queste due forme apparentemente contraddittorie di ideale sociale corrispondono semplicemente alle due componenti naturali (personalizzazione e totalizzazione) la cui congiunzione definisce biologicamente l’essenza e il progresso dell’Antropogenesi? Qui centralità del sistema sull’elemento; là, al contrario, sul gruppo… Biologicamente, ripeto, non si dà vera Democrazia senza combinazione bilanciata dei due fattori complementari che si esprimono, allo stato puro, uno in regimi individualisti, l’altro in regimi totalitari.” [8]
Contrapposizione, dunque, come procedimento metodologico e analitico proiettato verso l’unità, la ricomposizione, l’innegabile riconoscimento della complessa natura dell’uomo, tesa a riaffermare la propria unicità ed irripetibilità senza mai negare la sua ontologica socialità. Individualismo e totalitarismo sono le due anime complementari della democrazia, ove persistono unità e complessità, identità molteplici e totalità-collettività come unicum, globalità come punto di congiunzione ed armonica ricomposizione delle individualità.
In termini sorprendentemente affini si esprime Bobbio quando scrive: “Tutta la storia del pensiero politico è dominato da una grande dicotomia: organicismo (olismo) e individualismo (atomismo). Anche se il movimento non è rettilineo, si può dire con una certa approssimazione che l’organicismo è antico, l’individualismo è moderno (o perlomeno da esso si può far cominciare la teoria dello stato moderno).”[9] Il contrapporsi di individualismo e totalitarismo, o se si preferisce di liberalismo e dirigismo o, ancora, per dirla con Bobbio, di organicismo (olismo) e individualismo (atomismo) attraversa la storia del pensiero politico, traccia l’itinerario stesso dell’evoluzione umana in un susseguirsi di fecondi contrasti e successive armonie sia nell’ottica bobbiana che in quella teilhardiana. Ancora una volta unicità e totalità si incontrano sposando, sia nelle speculazioni di Bobbio che in quelle di Teilhard, la tutela dell’originalità ed irripetibilità individuale, con la complessità orizzontale delle relazioni sociali; il tutto è ricondotto entro un sistema unitario profondamente garantista e rispettoso dell’uomo.
Teilhard ripetutamente segnala l’esistenza di un processo evolutivo di complessificazione crescente; in tal modo egli si apre inevitabilmente ad una prospettiva federale in senso lato, prospettiva che emerge con evidenza nei processi evolutivi umani nel momento in cui si sia capaci di assumere una “ermeneutica della noosfera”: occorre, dunque, come sostiene L. Mazzoni Benoni, “saper leggere ogni evento ed ogni fenomeno, interpretandolo non secondo i vecchi paradigmi storicistici, bensì assumendo una avveduta e ormai matura ermeneutica della noosfera: capace di riconsiderare in questa luce il passato, riposizionare le forze in campo ed infine collocare nella giusta ottica le opzioni attualmente all’ordine del giorno. Osservando tutto l’insieme in un’unica visione olistica ed universalistica (che potremmo con Teilhard definire anche finalmente ‘cattolica’)”[10]
Solo tale visione veramente ecumenica ed universalistica può introdurci alla speranza dell’avvenire, una speranza contemplata nella società globalizzata non meno che nell’evoluzione complessiva del cosmo. Precisa al riguardo Teilhard, dandoci ragione di un’ottimistica fiducia nel futuro solidale e convergente dell’umanità verso un percorso sofferto ma autentico di libertà: “Ora bisogna anche… che l’Universo si dimostri capace di risvegliare e mantenere in noi una sufficiente luce di speranza e un sufficiente calore di amore. Nessun altro scopo per l’uomo che
L’intera speculazione teilhardiana si snoda lungo il principio evolutivo, principio dinamico capace di conferire ordine ed organizzazione alla casualità degli accidenti, in un contesto di progressiva perfettibilità. Sulle orme di Aristotele, di Leibniz, di Spinoza, di Hegel, Teilhard ricostruisce l’architettura creativa del cosmo in un percorso che si dirige dal molteplice verso l’unificato, cioè verso quel punto Omega che funge da attrattore universale e verso cui convergono sia la biosfera che la noosfera, in cui si incontrano immanenza e trascendenza, mentre l’energia fisica trova il suo completamento nello spirito dell’amorizzazione di cui si irradia il cosmo.
Articolo apparso su Teilhard aujourd'hui 17 (febbraio 2015)
[1] Pierre Teilhard de Chardin, “La via dell’Ovest. Verso una nuova mistica”, in Le direzioni del futuro, tr. it., SEI, Torino 1996, p. 45.
[2] Norberto Bobbio, Politica e cultura, Einaudi, Torino 2005, dall’Introduzione di Franco Sbarbieri, p. XII.
[3] Ivi, p. XI.
[4] L’autore si riferisce alle antinomie preoccupanti insite nello “spirito di democrazia” (n.d.a.).
[5] Pierre Teilhard de Chardin, “L’essenza dell’idea di democrazia. Approccio biologico del problema”, in L’avvenire dell’uomo, tr. it., Jaca Book, Milano, 2011, p. 209.
[6] Prefazione alla Bibliografia degli scritti di Norberto Bobbio (1934-1993), Laterza, Roma-Bari 1995 p. XXV.
[7] Norberto Bobbio, Politica e cultura, cit. Introduzione di Franco Sbarbieri, p. XIII.
[8] Pierre Teilhard de Chardin, “L’essenza dell’idea di democrazia”, cit., p. 210.
[9] Norberto Bobbio, Liberalismo e democrazia, Simonelli, Milano, 2006, pp. 62-63.
[10] Luciano Mazzoni Benoni, “Planetizzazione: realtà e prospettive”, in Teilhard aujourd’hui. Versione italiana, n.10 (maggio 2012), p. 99.
[11] Pierre Teilhard de Chardin, “Il senso della specie nell’Uomo” in Verso la convergenza, tr. it., Il Segno dei Gabrielli, Verona 2004, p. 175.