Una Trinità mediatica cattolica: Marshall McLuhan, Walter Ong, Andy Warhol

Nick Ripatrazone

 

Una Trinità mediatica cattolica: Marshall McLuhan, Walter Ong e Andy Warhol[1]

Americano, scrittore, insegnante, curatore culturale della rivista Image, Nick Ripatrazone ha scritto per diverse riviste prestigiose, sull’inglese Catholic Herald si occupa di arte e cultura americana. I suoi libri più recenti sono Longing for an Absent God: Faith and Doubt in Great American Fiction (2020), Wild Belief: Poets and Prophets in the Wilderness (2021)  e Digital Communion: Marshall McLuhan’s Vision for a Virtual Age (2022)

Artist and underground filmmaker Andy Warhol poses with one of Polaroid's new film cameras, the Polavision camera, which features instant replay on television screens, Feb. 1, 1978. (AP Photo/Dave Pickoff)

L’artista e regista underground Andy Warhol con una delle sue nuove telecamere Polaroid, la Polavision, che riproduce sullo schermo le immagini in tempo reale: 1 febbraio 1978 (AP Photo /David Pickoff)

 

“Conduco esperimenti “, scriveva Marshall McLuhan, “non spiego, - esploro”. Nel 1967 pubblicava The Medium Is the Massage, un singolare viaggio nei modi in cui i nostri sensi sperimentano i media elettronici. Nello stesso anno, Walter Ong, SJ – che si era laureato sotto la guida proprio di McLuhan – mandava in libreria The Presence of the Word,[2] uno sguardo approfondito e al contempo visionario sulla nostra evoluzione dalla comunicazione orale a quella elettronica. Sempre nel 1967 Andy Warhol creava una   serigrafia seriale raffigurante Marilyn Monroe – “più guardi la stessa precisa cosa – diceva Warhol – più perde di significato, e tanto meglio ti senti, e anche più vuoto”.

McLuhan, Ong e Warhol hanno fornito una profonda visione dei media, una visione cattolica. Il cattolicesimo non era accessorio per le loro teorie e la loro arte; era la loro struttura, il loro spirito e il loro sostegno. Cinquant’anni dopo, le loro simultanee creazioni ci dicono qualcosa sia di legato al loro tempo sia di preveggente. Possiamo definirle trascendenti.

Tutti gli oracoli predicono da qualche luogo, e la fonte di McLuhan era Pierre Teilhard de Chardin, SJ. Teilhard aveva elaborato il concetto di “noosfera”, una fase evolutiva in cui una “pellicola pensante” ricopre il mondo.  Questa “meravigliosa macchina pensante”, questa coscienza collettiva somiglia molto ad un internet biologico. Immaginiamo come l’audace teoria di Teilhard dovesse suonare alle orecchie di un accademico come McLuhan, uno studioso di letteratura alla ricerca di modelli e connessioni nella storia dei media e della comunicazione.

McLuhan così descrisse il suo progetto intellettuale all’allora direttore editoriale di America, Clement McNaspy, SJ:  “Dobbiamo confrontarci con il mondo secolare nelle sue manifestazioni più evidenti, e, con i suoi stessi termini e postulati, costringerlo a prendere coscienza della sua confusione, della sua ignoranza, e della terrificante deriva della sua logica. Non è necessario menzionare il cristianesimo. È sufficiente far sapere che chi è all’opera è un cristiano.”

Anche solo questo, apparentemente, era un problema. Per quanto il concetto di “villaggio globale” di McLuhan dipendesse dalla noosfera teilhardiana – consideriamo frasi come “il processo evolutivo si è spostato dalla biologia alla tecnologia in modo evidente dalla comparsa dell’elettricità” – egli esitava   a riconoscere i meriti  dell’opera del gesuita francese. Nel suo libro Hooking Up,[3] lo scrittore Tom Wolfe individua due ragioni per questo comportamento. Come cattolico convertito, McLuhan era “molto devoto” e “la Chiesa aveva dichiarato eterodossa l’opera di Teilhard”. E nonostante le private ammissioni di McLuhan nelle sue lettere, egli era comunque membro di una comunità intellettuale laica e doveva evitare espliciti riferimenti religiosi.

The Medium Is the Massage è l’opera di un teorico che si diverte a giocare. Il libro contiene mini-saggi, poemi in prosa e mosaici tipografici, contrapposti ad immagini complementari  e contrastanti, fotografie, disegni, ritagli dai media, ed estratti da James Joyce (il libro vedeva la collaborazione  del disegnatore Quentin Fiore). Sebbene l’oggetto specifico di McLuhan fosse la televisione, era chiaro che “tutti i media ci manipolano completamente” (ecco spiegato il “massaggio” del titolo: i media ci frizionano e inducono rilassamento. Entriamo di fatto in un altro stato).

Nell’elettrico fiume della televisione, “l’informazione scorre su di noi, istante per istante e continuamente”. In qualità di spettatore, “le immagini  ti vengono proiettate addosso. Lo schermo sei tu. Le immagini si avvolgono intorno a te. Tu sei il punto di fuga”. Se da una parte “la tecnologia elettrica rafforza e incoraggia unificazione e coinvolgimento”, dall’altra impedisce la fuga. Il mondo digitale non va da nessuna parte, e neppure noi.

I detrattori di McLuhan sono scettici di fronte a queste affermazioni lapidarie. Lui  avrebbe accolto con un sogghigno queste critiche. Aveva una particolare abilità nel guardare il mondo un po’ di sbieco, concentrandolo in aforismi allusivi – simili a dei tweet. Le sue brevi frasi non sono abbastanza liriche per diventare poesia, ma possono sembrare estratte da preghiere sconclusionate.

Quelle preghiere, abbozzi, appelli – comunque le si voglia chiamare – diventano più comprensibili nel  contesto del suo essere  cattolico. Questa identità diventava  pian piano sempre più evidente allorché McLuhan rispondeva alle lodi o alle critiche circa la sua opera. Dopo aver detto scherzosamente “Sono stato duramente rimproverato dai miei confratelli cattolici per la mia ignoranza di terminologia e concetti della filosofia Scolastica”, continuava con una aperta affermazione pubblica: “Il concetto cristiano di Corpo mistico – tutti gli uomini intesi come membra del corpo di Cristo – è divenuto, sotto l’aspetto tecnologico, un dato di fatto, dal punto di vista dell’elettronica “.

Il brio di The Medium Is the Massage coesisteva con una grande tensione nell’opera di McLuhan: dobbiamo temere o abbracciare l’era digitale? In una intervista si mostrava speranzoso: “Il computer ci spalanca la promessa di una condizione tecnologicamente compiuta di comprensione ed unità universale, una condizione di assorbimento nel logos che potrebbe legare l’umanità in una sola famiglia e creare una situazione perpetua di armonia collettiva e di pace. Questo è il vero impiego del computer: non  l’accelerare le operazioni  di marketing o il risolvere problemi tecnologici, ma il rendere più rapido il processo di scoperta e l’organizzare gli ambienti e le energie terrestri – o anche galattiche.”

Richiamando Teilhard, McLuhan concludeva: “La comune integrazione psichica, resa finalmente possibile dai media elettronici, potrebbe creare l’universalità della coscienza anticipata da Dante, allorché prevede che gli uomini continueranno a muoversi come frammenti spezzati finché non saranno uniti in una coscienza che tutti li comprende. Da un punto di vista cristiano, è solo una nuova interpretazione del Corpo mistico di Cristo, e Cristo, dopotutto, è la suprema estensione dell’uomo.”

Ma in privato McLuhan era più prudente. In una lettera a Jacques Maritain, egli ritorna alle sue prime teorie riguardo l’invenzione di Gutenberg. Anche se la stampa a caratteri mobili aveva condotto alla riproduzione di massa dei libri, a quel tempo “l’individuo si percepiva come un’entità frammentaria”. Bisognava ancora percorrere una distanza, e distanza significa ritardo. Ora, “la persona elettronicamente orientata si percepisce come inclusiva in modo tribale di tutta l’umanità.” Questo potrebbe essere un bene. Ma McLuhan forse la pensava diversamente: “Gli ambienti dell’informazione elettronica, nel loro essere ovviamente eterei, rafforzano l’illusione del mondo come fosse  una sostanza spirituale. Questo è un presentabile facsimile del corpo mistico, una sfacciata manifestazione dell’Anticristo. Dopo tutto, il Principe di questo Mondo è un grande ingegnere elettronico”.

Le idee di McLuhan sono talvolta non del tutto coerenti, e perciò spesso fraintese. Amava mettere in discussione. Ma il suo scopo finale non era la “opacità e obliquità” dei giudizi di valore, era piuttosto “interessato alla comprensione dei processi”. McLuhan era un ispiratore, e ciò si può ben vedere nell’opera di colui che era stato suo studente, Walter Ong. Le espressioni stringate di McLuhan erano perfette come slogan. Le osservazioni di The Presence of the Word sono molto più scientifiche, ma non meno predittive riguardo il nostro presente digitale.

Nelle prime pagine del libro Ong introduce un’analogia: “È utile pensare alle culture in termini di organizzazione della funzione sensoriale … l’intero apparato sensoriale compreso come un complesso operativo”. Siamo sopraffatti dal rumore, e la cultura ci insegna come specializzarci, come organizzare la nostra percezione. “Con una sufficiente conoscenza dell’apparato sensoriale utilizzato in una specifica cultura, potremmo con ogni probabilità definire quella cultura come un intero, praticamente in tutti i suoi aspetti”.

Walter Ong, S.J. (image: Saint Louis University)

Walter Ong, SJ (foto: Saint Louis University)

 

A differenza di McLuhan, Ong si occupa soprattutto della modalità suono. “I processi elettronici tipici dell’odierno mondo delle comunicazioni sono di per sé di una natura prettamente infravisibile – neanche lontanamente immaginabili in termini di vista”. Anche se l’era elettronica ci ha resi attenti alle profonde differenze fra “la vecchia cultura orale e la cultura iniziata con la scrittura e giunta a maturazione con il carattere alfabetico”, egli si rifà a McLuhan quando afferma che “la simultaneità è un segno sia della prima cultura orale sia della cultura elettronica… La vita primitiva è simultanea perché non ha strumenti di registrazione, così che il contatto cosciente con il suo passato è governato da ciò che la gente ne dice”.

Il nostro mondo digitale è simultaneo, assoluto, sovrabbondante di possibilità. Cosa significa ciò per la comunione con gli altri? “La frammentazione della coscienza iniziata con l’alfabeto è stata a sua volta rovesciata dai media elettronici che hanno reso l’uomo presente a se stesso in tutto il globo, creando una intensità di auto-possesso su parte di umanità – un’esperienza nuova, talvolta inquietante. Davanti a noi stanno ulteriori trasformazioni”.

Noi stiamo vivendo adesso queste trasformazioni, e la domanda di Ong rimane: “Il grido di Nietzsche ‘Dio è morto’ potrebbe derivare dal fatto che Egli non può più essere subito trovato nei vecchi segni , nell’apparato sensoriale di nuova generazione, dove la parola è in relazione del tutto diversa con il complesso di consapevolezza  mediante il quale in precedenza l’uomo si situava nel mondo?” Ong e McLuhan erano entrambi osservatori; invece di cercare di fermare l’onda del cambiamento elettronico, intendevano comprenderne l’ascesa e la caduta.

Nel frattempo, un altro cattolico sembrava essere del tutto a suo agio nel cavalcare quell’onda. Nel 1967 Warhol stava mettendo in scena in tutto il paese l’evento multimediale “Exploding Plastic Inevitable”. Luci stroboscopiche pulsavano. I film di Warhol venivano proiettati sulle pareti. Danzatori e le loro ombre disegnavano immagini con i loro movimenti. Altoparlanti trasmettevano al massimo volume canzoni pop simultaneamente. I Velvet Underground, la band di cui Warhol era manager e produttore – alla sua maniera warholiana – suonavano dal vivo.

Nessuno definirebbe cattolico il contenuto dei provocatori spettacoli di Warhol, ma ciò significherebbe scambiare il medium per il messaggio. Gli show di Warhol erano manipolazioni ed esperienze sensoriali. Egli voleva alterare gli stati dei sensi. McLuhan apprezzava gli esperimenti di Warhol tanto da includere un ampio collage dallo show in The Medium Is the Massage. Volti in bianco e nero dal film di Warhol tappezzano la parete. I Velvet Underground e i danzatori sfumano gli uni dentro gli altri al suono di due frasi dal Finnegan’s Wake di Joyce: “History as she is harped. Rite words in rote order”. McLuhan accompagna queste pagine con parole che richiamano Ong: “Siamo avvolti dal suono. Esso forma una rete impenetrabile attorno a noi”.

Alto e basso, sacro e profano, temporale ed eterno: il paradosso è insito nella narrazione e nell’arte cattolica. Warhol ne fu uno dei migliori profeti visuali. Al funerale di Warhol, lo storico dell’arte John Richardson tolse il velo: Warhol era un cattolico devoto, e la sua fede era la “chiave della sua psiche di artista”. Assisteva tutti i giorni alla messa presso la Chiesa di San Vincenzo Ferrer a New York e serviva pasti ai senzatetto. “Non giudicate Andy dalla facciata”, spiegava Richardson. “L’osservatore impassibile era in realtà un angelo che registrava tutto”.

Warhol non è certamente l’unica celebrità ad aver condotto una doppia vita ma, a differenza di molti, il suo cristianesimo nascosto non era mai veramente nascosto. Lou Reed dei Velvet Undeground e John Cave si ritrovarono al funerale di Warhol e crearono un album su di lui intitolato “Songs for Drelia”. Una canzone in particolare, “Work”, cattura perfettamente le origini e l’etica da lavoratore di Warhol. “Andy era un cattolico, l’etica scorreva nelle sue vene. / Viveva da solo con sua madre, collezionando pettegolezzi e giocattoli. / Ogni domenica, quando andava in Chiesa / si inginocchiava e diceva, ‘È solo lavoro, tutto quello che conta è il lavoro’”.

Warhol si circondò di artisti, fotografi, poeti e manager cattolici: Fred Hughes, Gerald Malanga, Paul Morrissey, Bob Colacello, Natasha Fraser-Cavassoni, Christopher Makos, Robert Mapplethorpe e Vincent Fremont. Nello stesso anno in cui creò “Exploding Plastic Inevitable”, Warhol creò una serigrafia seriale di Marilyn Monroe. La variazioni di ombre e colori, partendo dall’infinita ripetizione di un volto, gli infondono vita e trasformazione. C’è qualcosa di vagamente liturgico nel metodo ripetitivo di Warhol.

Ciò non significa che quel tipo di pop art fosse devozionale. Warhol riservò questo aspetto per la sua sequenza dell’Ultima Cena. Alexandre Iolas commissionò a Warhol una serie di serigrafie basate sulla famosa opera di Leonardo da Vinci. Per un artista che aveva reso mistico ciò che era profano – pensiamo ai barattoli di minestra e alle bottiglie di gazzosa – questo era un contesto diverso. Fu la risurrezione stampata di un capolavoro, una parola artistica fatta carne, mimetizzata, serigrafata, infusa di pop e di pietà. Warhol creò più di cento copie a partire dal capolavoro di Leonardo, la sua ripetizione soffusa del ritmo della preghiera. McLuhan non visse abbastanza da vederla, ma l’avrebbe apprezzata.

Da qualche parte fra il suo fascino pubblico e il suo privato cattolicesimo da operaio, riposava uno spirito simile all’inscape di  Gerard Manley Hopkins, una capacità di penetrazione che porta a credere che anche gli oggetti più profani ed artificiali esistono in un mondo divino. Il fascino che Warhol provava per la morte era il riconoscimento della sua stessa mortalità – perfettamente appropriato per qualcuno attratto dalla vita di Cristo.

Cinquant’anni fa, McLuhan, Ong e Warhol videro arrivare l’era elettronica e non chiusero gli occhi. Scoprirono modelli eterni, momenti di illuminazione, una nuova opportunità per la comunione,   la chiarezza e il misticismo. C’è Dio nella macchina? Non lo sappiamo. Ma se ci affidiamo alla guida di questi cattolici visionari, potremo anche avere delle sorprese.

 

 

[2] La presenza della parola, tr. di Rosanna Zelocchi, intr. di Renato Barilli, Il Mulino, Bologna 1970 (n.d.t.)

[3] La bestia umana, tr, di Stefania Bertola, Mondadori, Milano 2003 (n.d.t.)

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