Una lettera inedita di padre Arrupe sul padre Teilhard de Chardin

Pedro Miguel Lamet sj

Una lettera inedita di padre Arrupe

sul padre Teilhard de Chardin

Gesuita dal 1959. Docente di Estetica e Teoria del Cinema in diverse università. Autore di biografie, romanzi e volumi di poesie

Un documento, finora inedito, rivela fino a che punto il superiore generale della Compagnia di Gesù, padre Pedro Arrupe[1], aveva fra le sue preoccupazioni personali più sentite la figura del famoso ed eccezionale gesuita paleontologo e scienziato interdisciplinare, Teilhard de Chardin, che non aveva potuto veder pubblicate le proprie opere durante la sua vita a causa della proibizione della Santa Sede, e fu oggetto di un Monitum del Sant’Uffizio sette anni dopo la sua morte. Si tratta di una lettera lunga e meditata inviata nel 1981 dal padre Arrupe al provinciale di Francia, Henri Madelin in occasione del centenario della nascita dello scienziato. L’ha portata alla luce Leandro Sequeiros sj, presidente della sezione spagnola della Asociación Amigos de Teilhard de Chardin.

Lo ha sempre difeso

L’ammirazione di Arrupe per il brillante pensatore francese era già nota. Lettore assiduo delle sue opere, appena eletto Generale dei Gesuiti nel 1965, durante la prima conferenza stampa, alle domande dei giornalisti circa l’apparente contraddizione fra il Monitum emanato nel 1962 contro il pensatore francese e l’esaltazione di Teilhard da parte di diversi scrittori cattolici, Pedro Arrupe difese Teilhard affermando che “è uno dei grandi maestri del pensiero contemporaneo, il suo attuale successo non ci deve meravigliare. Di fatto egli ha compiuto un grandioso tentativo di riconciliare il mondo della scienza e quello della fede”.

Dobbiamo mettere in chiaro che il Monitum emanato solo tre anni prima non era una condanna formale. Affermava che le sue opere, pubblicate postume, “racchiudono tali ambiguità ed anche errori tanto gravi, che offendono la dottrina cattolica. Di conseguenza, gli Eccellentissimi e Reverendissimi Padri della Suprema Congregazione del Santo Ufficio esortano tutti gli Ordinari e i superiori di Istituti Religiosi, i Rettori di Seminari e i Direttori delle Università, a difendere gli spiriti, particolarmente dei giovani, dai pericoli delle opere di P. Teilhard de Chardin e dei suoi discepoli”. Significava di fatto la richiesta di ritiro delle sue opere dalle biblioteche dei seminari e delle università cattoliche . Nonostante la censura imposta da Roma alla sua opera, numerose edizioni dei libri di Teilhard de Chardin vennero stampate in tutto il mondo negli anni immediatamente successivi alla pubblicazione del Monitum. Negli anni Ottanta si cercò di riabilitare il suo pensiero, ma la Santa Sede confermò l’avvertenza del 1962.

Pedro Arrupe, oltre ad evidenziare come nella sua opera e nella sua spiritualità tutte le cose convergevano in Cristo, concludeva, di fronte ai giornalisti, che “non si poteva non riconoscere la ricchezza del messaggio del Padre Teilhard per il nostro tempo, e che il suo sforzo era del tutto nella linea dell’apostolato della Compagnia di Gesù”. Si può immaginare come queste parole furono accolte dalla stampa internazionale, in particolare quella francese. Arrupe dava un giudizio positivo di uno dei profeti più intuitivi del momento davanti ai suoi detrattori.

In un’altra occasione Arrupe ricordò le parole di Teilhard de Chardin: “il mondo sarà di coloro che sapranno dargli la più grande speranza”. E quando il suo stretto collaboratore Yves Calvez vegliava su di lui in ospedale dopo la trombosi celebrale che l’aveva colpito nel 1981, una notte gli lesse L’ambiente divino di Teilhard de Chardin, in special modo alcune frasi: “le potenze di diminuzione sono le nostre vere passività […] Per penetrare definitivamente in noi, Dio deve scavare in noi, crearvi un vuoto, farsi un posto”. Per Arrupe, lettore di Teilhard, era una delle certezze di cui viveva, come dimostrano i nove anni di prostrazione ed umiliazione che patì docilmente a causa della sua malattia e delle misure prese dalla Santa Sede.

Nel luglio del 1983, conscio delle difficoltà espressive e del difficile recupero per Padre Arrupe, chiesi il permesso di trasferirmi a Roma per poter conversare con lui, al fine di portare a termine il mio progetto, da tempo accarezzato, di scrivere una biografia di Arrupe, che apparve in seguito in diverse edizioni coi titoli Arrupe, una explosión en la Iglesia[2] e Arrupe, testigo del siglo XX y profeta del XXI. Non scorderò mai l’esperienza di quei colloqui con quell’uomo indebolito dalla malattia, pallido e affranto ma con una grande luce interiore. Mi diceva che, oltre a santa Teresa, san Giovanni della Croce, sant’Ignazio e san Francesco, gli autori contemporanei che più leggeva erano Karl Rahner, de Lubac e Teilhard de Chardin, e mi indicò un libro che teneva sul tavolo: una biografia di Teilhard per immagini. Non riusciva più a leggere e si limitava a guardare le foto della sua vita. Fu il suo ultimo libro sul comodino!

Dalla materia allo spirito

Nella lettera recentemente scoperta, afferma fra l’altro che Teilhard “si è preoccupato di restaurare una visione olistica del mondo, e in particolare di situare l’essere umano al suo vero posto, e propone le direttrici generali di una scienza antropologica completa”, senza alcun “riduzionismo” e che “si è sforzato di manifestare l’organicità dei legami fra la storia naturale e la storia delle religioni del mondo”. Circa il dibattuto tema dell’evoluzione, ha il merito di “aver invertito la visione dominante all’epoca in cui iniziava la sua carriera di scienziato: l’evoluzione delle specie viventi e che conduce sino all’uomo era la dimostrazione del materialismo, la condanna di uno spiritualismo che si riteneva potesse essere salvato solo in un’ottica fissista.” Opponendosi a questo, il padre Teilhard intendeva mostrare come l’evoluzione si traduce in un’avanzata della materia verso lo spirito.”

Teilhard era preoccupato di “annunciare la sua fede ad un mondo allontanatosi da Dio, o per il quale la Chiesa è una istituzione antiquata, chiusa in orizzonti angusti. Un testimone speciale di una vocazione di Gesuita, in cui la competenza tecnica, lungi da nascondere o cancellare l’impegno, concorre a stimolare e nutrire la sua preoccupazione apostolica e missionaria”. Arrupe  lo accosta al fenomeno dell’inculturazione e al padre Ricci in Cina. Una preoccupazione che “resta ancora grande e che tentiamo di tradurre nel segno di una presenza in diversi luoghi in cui la Chiesa è stata finora troppo spesso assente”.

Arrupe sottolinea un altro tratto della sua personalità: “il suo amore ardente per Cristo, posto al centro della sua passione per un mondo trasformato, e che si realizza nel cristianesimo.  Ai suoi occhi questo non è un ‘accessorio aggiunto al Mondo’, ma la pietra di fondamento e la chiave di volta”, giungendo alla conclusione per cui l’Incarnazione può dunque illuminare il mondo.

Adesione e unione a Cristo – aggiunge – hanno un significato particolare nell’esistenza dei sacerdoti e dei religiosi. Il padre Teilhard non solo viveva il suo sacerdozio e la sua vita religiosa con una grande intensità nel più intimo di sé, ma inoltre lo diceva, lo proclamava tanto ai credenti quanto ai non credenti. Proseguendo, Arrupe mette in evidenza anche il suo attaccamento alla Chiesa: “è necessario aggiungere che egli fu fedele ed obbediente. E che aveva obbedito per una profonda fede nella Chiesa e per l’amore che lo legava ad essa – lo sappiamo per il peso di sofferenze che questo gli costò”.

Pedro Arrupe vede in Teilhard  de Chardin una dimensione profetica: “ha avuto una intuizione profetica di un gran numero di problemi che dovevano impegnare e ancora impegnano il pensiero e l’azione della Chiesa.” “Tutto ciò, adempiuto nell’amore filiale a questa Chiesa che il Padre Teilhard non ha mai dissociato da Cristo, e dal suo amore simboleggiato dal suo cuore. Come ha scritto padre Teilhard: “Il Cristo. Il Suo cuore. Un Fuoco: capace di penetrare tutte le cose”.

Si tratta dunque di un documento importante per la biografia del padre Arrupe e un testo che lascia emergere un aspetto eminente della sua personalità: il suo ottimismo radicale, molto teilhardiano, la sua teologia immanentista, di fronte alle correnti pessimiste riguardo l’uomo e il mondo; il suo credere nel fatto che ogni uomo trova dentro di sé Dio, in qualche modo (anche i criminali, giunse a dire), la sua apertura al dialogo con la cultura, i non credenti e tutte le religioni; la sua speranza nel futuro e la profonda allegria che lo animava anche nei momenti peggiori e che gli ispirò le sue ultime parole prima di morire: “Per il presente, amen; per il futuro, allegria”. Nel caso di Teilhard, come in altri casi, si aggiungeva una circostanza aggravante: il soggetto, castigato “teologicamente”, era inoltre stato espulso dalla sua casa e dalla sua patria. Teilhard venne allontanato dalla Francia e obbligato ad emigrare negli Stati Uniti. Morì a New York il 10 aprile 1955.

 

LETTERA DEL PADRE GENERALE DELLA COMPAGNIA DI GESÙ, PADRE ARRUPE, AL PROVINCIALE DI FRANCIA, HENRI MADELIN (30 maggio 1981)

Curia Praepositi Generalis Societatis Iesu Roma – Borgo S.to Spirito, 5 – al R.P. Henri Madelin – Provincial, Paris

Roma, 30 maggio 1981

Caro Padre Provinciale, PC

In occasione del centenario della nascita del padre Pierre Teilhard de Chardin, non posso esimermi dal rivolgermi a Lei come rappresentante della Compagnia di Gesù in Francia, per condividere quel che significa per me la persona e l’opera di questo grande Gesuita sorto fra le vostre fila. Colgo volentieri l’occasione del Colloquio organizzato dal Centre Sèvres e dal Centre des Fontaines per approfondire la conoscenza degli aspetti chiave del pensiero religioso e scientifico del padre Teilhard. So bene che grazie ai partecipanti a questo Colloquio la mia parola si unirà a quella di molti altri, gesuiti e non, che mostrano un interesse cordiale per la persona e l’opera del nostro fratello. Il padre Teilhard mi è innanzitutto caro per quegli aspetti della sua attività che si iscrivono in modo così esemplare nella vocazione  gesuita: la ricerca aperta di una migliore comprensione della fede, pienamente attualizzata nell’impegno missionario per annunciare questa fede a coloro che ne sono lontani.

La sua ricerca di una comprensione della fede profonda e attualizzata si esprime in due dimensioni complementari. In primo luogo, all’interno di una scienza frammentata per l’impatto della specializzazione delle varie discipline, Teilhard si è preoccupato di restaurare una visione olistica del mondo, e in particolare di situare l’essere umano al suo vero posto, e propone le direttrici generali di una scienza antropologica completa, che sia allo stesso tempo fisica, biologica e sociologica, lasciando spazio alle specificità senza cadere nel riduzionismo.

Allo stesso tempo, per un assillo di coerenza interna che eviti qualunque forma di concordismo, Teilhard si sforza di manifestare l’organicità dei legami fra la storia naturale e la storia delle religioni del mondo.

Animato da questi obiettivi, il padre Teilhard ha osato porsi di fronte ai problemi aperti dalle visioni evoluzioniste che si sono imposte progressivamente nel campo delle scienze dalla natura e dell’uomo, ma nei confronti delle quali la coscienza cristiana si sottraeva ancora. Saldamente radicato nella fede della Chiesa grazie alla sua educazione famigliare e alla sua formazione in un ordine religioso, Teilhard apparteneva in tutto all’universo scientifico – per le sue competenze di geologo e ancor più di paleontologo – a quel tempo sconosciuto per molti tra i suoi fratelli nella fede.

Per una decisione, frutto di matura riflessione, e per temperamento, Teilhard rifiuta quanto ritiene angusto e ristretto, e non definisce incompatibili fra loro queste realtà – la fede e la scienza, entrambe vitali ai suoi occhi. Non solo: cerca di unirle, in un cammino di profondità.

Teilhard ha inoltre il merito di aver invertito la visione dominante all’epoca in cui iniziava la sua carriera di scienziato: l’evoluzione delle specie viventi e che conduce sino all’uomo era la dimostrazione del materialismo, la condanna di uno spiritualismo che si riteneva potesse essere salvato solo in un’ottica fissista. Opponendosi a questo, il padre Teilhard intendeva mostrare come l’evoluzione si traduce in un’avanzata della materia verso lo spirito. Questo punto di vista può essere oggi considerato ragionevole ed accettabile, anche se non possiamo aderire senza riserve a tutte le conclusioni teologiche che il padre Teilhard ha basato su questo punto di vista fondamentale.

Egli si pone dunque spontaneamente al di là delle semplificazioni di una ideologia scientifica che si fa vanto di un riduzionismo mortale per l’essere umano, e delle cose ai loro elementi, ma anche al di là della pigrizia e della timidezza di una fede che rifiuta il valore e il diritto delle ricerche umane. Era persuaso che al cristiano del futuro spetti di diventare “il ricercatore che si dedica finalmente per amore ai compiti della scoperta”, e si converte in un “adoratore di un più grande del mondo”, all’opera nello stesso mondo.[3]

Il padre Teilhard era inoltre, ma potremmo dire contemporaneamente, caratterizzato dalla sua preoccupazione – centrale, costante, perfettamente cosciente – di annunciare la sua fede ad un mondo allontanatosi da Dio, o per il quale la Chiesa è una istituzione antiquata, chiusa in orizzonti angusti. Un testimone speciale di una vocazione di Gesuita, in cui la competenza tecnica, lungi da nascondere o cancellare l’impegno, concorre a stimolare e nutrire la sua preoccupazione apostolica e missionaria.

A coloro che ritengono che il cristianesimo sia passato di moda, il padre Teilhard intende mostrare, e ci riesce in buona parte tanto fra i cristiani quanto fra i non cristiani, che il cristianesimo, la Chiesa costituiscono il cuore stesso del mondo, di questo mondo sottoposto ad una trasformazione tanto profonda, tanto da affermare che solo la Chiesa può portargli quella luce senza la quale il mondo sarebbe condannato alla rovina.

È superfluo sottolineare come l’audacia, l’ampiezza e la profondità di questa visione lo separino di molto dai cristiani timorosi. Le concezioni del padre Teilhard annunciano l’apertura al mondo e la preoccupazione per l’inculturazione che hanno caratterizzato l’insegnamento del Concilio, di Giovanni XXIII, di Paolo VI e che segnano oggi quello di Giovanni Paolo II.

Questi insegnamenti si situano nell’ambito della cura che è stata fondamentale nella Compagnia di Gesù, la capacità di essere audaci nei progetti apostolici, come quelli del padre Ricci in Cina, per citarne solo uno.  Cura che resta ancora grande e che tentiamo di tradurre nel segno di una presenza in diversi luoghi in cui la Chiesa è stata finora troppo spesso assente.

Il terzo aspetto della sua personalità e dell’opera di padre Teilhard è senza dubbio ancora più prezioso per noi: il suo amore ardente per Cristo, posto al centro della sua passione per un mondo trasformato, e che si realizza nel cristianesimo.  Ai suoi occhi questo non è un ‘accessorio aggiunto al Mondo’,  ma la pietra di fondamento e la chiave di volta. Cristo è per Teilhard “il Centro unico, prezioso e consistente, che sfavilla alla sommità del Mondo, proprio in direzione opposta a quelle regioni oscure, infinitamente decrescenti, verso cui si avventura la Scienza quando scende lungo le strade della Materia e del Passato”.[4]

L’Incarnazione può dunque illuminare il mondo, questo mondo del quale la scienza oggi dispiega l’immensità nello spazio e nel tempo; essa  rappresenta per il mondo, quel mondo in cui tutto ora ci si presenta in via di generazione, il “sì” di Dio che pone su di esso un divenire che Egli stesso ha lanciato. Attorno a Cristo, si forma una coerenza nei misteri della creazione, dell’incarnazione, della redenzione, verso la mutazione estrema, l’unica in grado di compiere il mondo in Dio.

Questa visione cristologica ha sostenuto tutti gli sforzi del padre Teilhard e ha guidato la sua testimonianza.  Era sempre cosciente che la sua impresa, incessantemente ricominciata, di situare con luminosità totale il posto di Cristo nell’universo evolutivo che la scienza moderna ci rende necessario accettare, era la forma – assai moderna – del servizio che i Padri della Chiesa offrirono per primi alla rivelazione di Dio in Gesù Cristo. Teilhard cercava di imitarli.

E siamo qui alla fonte di tutto ciò che è stato il padre Teilhard: fede in Cristo, adesione a Cristo ad un grado raramente raggiunto. Adesione e unione a Cristo hanno un significato particolare nell’esistenza dei sacerdoti e dei religiosi. Il padre Teilhard non solo viveva il suo sacerdozio e la sua vita religiosa con una grande intensità nel più intimo di sé, ma inoltre lo diceva, lo proclamava tanto ai credenti quanto ai non credenti. Questo esempio è attuale, dopo un tempo di discrezioni abusive.

Ed è anche attuale per tutti – non vorrei mancare di sottolineare questo aspetto – l’attaccamento del padre Teilhard alla Chiesa nella sua visione delle cose. È necessario aggiungere che egli fu fedele ed obbediente. E che aveva obbedito per una profonda fede nella Chiesa e per l’amore che lo legava ad essa – lo sappiamo per il peso di sofferenze che questo gli costò.

Teilhard teneva a “sentire con la Chiesa”, secondo l’espressione di sant’Ignazio. E alla fine, come lui stesso diceva, a “presentire” con essa.[5]

È buona cosa tornare a leggere tutta la sua opera, sempre all’interno di certi limiti, per riscoprire, a trenta o cinquant’anni di distanza, ciò che in essa c’è di presentimento di quanto si preparava nella Chiesa e quanto si sarebbe dischiuso nella seconda metà e alla fine del secolo XX.

C’è in lui una intuizione profetica di un gran numero di problemi che dovevano impegnare e ancora impegnano il pensiero e l’azione della Chiesa. Una sensibilità acquisita sicuramente soprattutto nella propria intimità.

Di ciò c’è tanto bisogno oggi, in un tempo non certo più facile per coloro che vogliono servire la Chiesa allo stesso modo.

Non dico probabilmente nulla di nuovo ai partecipanti al Colloquio dei gesuiti di rue Sèvres che hanno frequentato assiduamente l’opera del padre Teilhard. Ho condiviso con voi alcune delle ragioni che ho scoperto per proseguire e riprendere continuamento l’esplorazione del suo pensiero.

Voglio ancora una volta riprendere l’esempio, per i nostri tempi, del padre Teilhard, per incoraggiarci a ricercare una conoscenza profonda della fede nel dialogo del mistero di Cristo con  tutte le vere scoperte, così da annunciare questa fede a tutti coloro che possono essere sorpresi ma non per questo incapaci di comprendere. Tutto ciò, adempiuto nell’amore filiale a questa Chiesa che il Padre Teilhard non ha mai dissociato da Cristo, e dal suo amore simboleggiato dal suo cuore. Come ha scritto padre Teilhard: “Il Cristo. Il Suo cuore. Un Fuoco: capace di penetrare tutte le cose”.

Creda, in questa occasione, caro padre Provinciale, ai miei sentimenti più fraterni, per Lei e per tutti coloro ai quali Lei vorrà estendere i miei propositi.

Pedro Arrupe, SJ

Traduzione di Franco Bisio

 

 
 

[1] Pedro Arrupe sj (Bilbao 1907 – Roma 1991). Gesuita dal  1927. Preposito Generale della Compagnia di Gesù dal 1965 al 1983. Proclamato Servo di Dio nel 2019. È in corso la causa per la sua beatificazione (n.d.t.)

[2] Pubblicata in italiano col titolo Arrupe, un’esplosione nella Chiesa, Ancora, Milano 1993 (n.d.t.)

[3] Pierre Teilhard de Chardin, “La mistica della scienza” (20 marzo 1939), in L’energia umana, Il Saggiatore, Milano 1984, p. 242

[4] Pierre Teilhard de Chardin, “Scienza e Cristo ovvero analisi e sintesi” (27 febbraio 1921), in La scienza di fronte a Cristo, Il Segno dei Gabrielli Editori, Verona 2002, p. 62

[5] Pierre Teilhard de Chardin, “Cristianesimo ed evoluzione” (11 novembre 1946), in La mia fede, Queriniana, Brescia 1993, p. 167

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