Teilhard de Chardin mistico e teologo, Teilhard de Chardin filosofo, Teilhard de Chardin scienziato. Spesso abbiamo incontrato queste definizioni presentate come incompatibili fra loro. Eppure uno solo è il soggetto, uno solo è l’uomo cui vanno attribuite. In qualunque ambito egli scrivesse, Teilhard si portava appresso l’intero bagaglio della sua conoscenza, della sua esperienza.
Nella sua riflessione e nella sua attività scientifica l’aspetto umano aveva un ruolo fondamentale. Considerava la scienza come un privilegio attribuito all’uomo, un compito mediante il quale lo scienziato non si limitava ad una descrizione distaccata o disinteressata del mondo, ma si poneva al servizio dell’umanità per una migliore conoscenza della natura e per un futuro più sereno e giusto per l’umanità.
Le scoperte più importanti di Teilhard riguardano gli ominidi – il Sinanthropus pekinensis del Pleistocene inferiore – e quando ritenne che il passato fossile non lo interessasse più proprio perché passato, si rivolse ad identificare le linee di sviluppo dell’umanità per ritrovarle nel presente e per indicare le strade del futuro.
Nella visione del mondo teilhardiana, infatti, l’uomo non occupa un posto periferico. Laddove molti scienziati – si pensi in modo particolare a Jacques Monod in Il caso e la necessità – ritengono l’uomo un semplice accidente nell’universo, un numero casualmente uscito sulla roulette cosmica, Teilhard afferma invece che l’universo è comprensibile solo a partire dalla realtà umana. La coscienza è infatti, per Teilhard, la chiave di volta del cosmo intero: la sua apparizione, con la venuta dell’uomo, impone allo scienziato di andare a cercare, nel passato, i suoi antecedenti. In un universo in evoluzione, nulla può apparire all’improvviso, senza antecedenti. Di qui, la certezza espressa da Teilhard dell’esistenza, anche ai gradi inferiori della materia, di un “interno” delle cose.
È infatti all’opera, secondo Teilhard, una “legge di complessità-coscienza” che regola l’apparire delle nuove specie e la loro evoluzione. Con l’uomo, essere estremamente complesso, la coscienza fa la sua comparsa evidente: ma, grazie allo studio dei fossili (partendo dai roditori, in particolare della Cina), Teilhard ha riconosciuto prima all’interno della stessa specie, poi in ampie popolazioni la presenza di canalizzazioni, nel senso dell’emergenza, in specie sempre più lontane e differenziate, di forme sempre più cerebralizzate. È quella che Teilhard definisce “ortogenesi”, o evoluzione direzionata: dalla “microortogenesi” (nella stessa specie), alla macroortogenesi (in più specie), essa è stata infine allargata con la “megaortogenesi” all’intero universo. È appunto la legge di complessità-coscienza: è possibile constatare un’evoluzione verso forme sempre più complesse, e poi, dopo la comparsa della vita, verso forme sempre più dotate di coscienza, in misura incoativa dapprima e pienamente dispiegata nell’uomo. A livello del previdente, dove non si può parlare di coscienza (Teilhard usa il termine di “psichismo”) la complessità si manifesta nell’organizzazione della materia, nell’informazione. La fisica quantistica sembra qui confermare questa intuizione, quando afferma che la base del mondo non è materiale, e che la comune esperienza quotidiana del mondo materiale deve lasciare il posto ad una diversa percezione. È la materia ad essere un caso particolare di organizzazione dell’energia, non viceversa. Non dobbiamo più cercare di spiegare con difficoltà come possa nascere lo spirito – ammesso che esista, secondo il materialismo riduzionista – dalla materia, ma siamo in grado di integrare tutto in un’unica visione. Teilhard intuì, inoltre, in uno scritto del gennaio 1955, l’azione direzionale del genoma nei meccanismi della selezione.
Pur attribuendo all’uomo un ruolo fondamentale nell’evoluzione, Teilhard non ripropone il vecchio antropocentrismo di impronta filosofica: l’uomo “microcosmo” al centro del “macrocosmo”. Teilhard prende sul serio l’evoluzionismo e la centralità dell’uomo diventa così dinamica: l’uomo è la “freccia”, la linea di direzione dell’universo. In questo modo il passato assume un senso e il futuro si apre davanti a noi secondo un senso ben preciso. Se l’uomo è al centro in movimento del divenire cosmico, la vicenda umana non può essere ritenuta come separata dal resto dell’universo. Secondo Teilhard l’uomo deve assumersi la responsabilità del futuro non solo della specie ma del cosmo tutto intero. Occorre riconoscere a Teilhard una “sensibilità ecologica” non comune, in tempi nei quali questa espressione non era neppure usata. Non sono mancati i critici che hanno messo in guardia dall’eccessiva fiducia riposta da Teilhard nel potere della scienza e della tecnica: quella scienza che ha portato a costruire la bomba atomica e quella tecnica che sta causando un’emergenza ambientale sempre più drammatica.
Occorre però dire che l’ottimismo teilhardiano è sempre stato controllato, proprio grazie alla sua considerazione della scienza come attività umana, senza pretese prometeiche. E di un certo grado di ottimismo c’è probabilmente bisogno anche oggi, allorché si affrontano problemi mondiali ed epocali, e forte è la tentazione di ritenere la situazione ambientale in uno stato di degrado irreversibile. Teilhard ha spesso parlato di “zest”, di “gusto” per la ricerca e per la vita in generale, necessario per dare un senso alla propria attività e all’esistenza, minacciate dallo scoraggiamento, dalla sensazione che più nulla ci fosse da scoprire e da conquistare.
Non va poi dimenticato che la visione teilhardiana è intrisa di profonda spiritualità: ed è una spiritualità che non fugge dalla natura o dal mondo, ma proclama la necessità – e la bellezza – di immergersi e confrontarsi con la “pericolosa” e “santa” materia. Accanto alla sua educazione e alla sua scelta religiosa, la sua formazione di paleontologo ha sicuramente avuto la sua importanza nel modellare questa sensibilità – grazie al lavoro sul terreno, immerso nella natura spesso selvaggia in diverse parti del mondo. Teilhard non ha avvertito che raramente la tensione fra le due ali del suo spirito, quella religiosa e quella scientifica: animato da un grandissimo senso dell’unità, ha avvertito il bisogno di essere un ponte fra mondi pericolosamente estranei.
Lo dimostra la sua concezione della noosfera, la “sfera del pensiero”: un’unica pellicola pensante che avvolge la terra, che pulsa grazie all’azione di tutte le menti. La linfa scorre in questa entità grazie alle infinite reti di comunicazione che vanno dalle strade alle telecomunicazioni, fino a coinvolgere – e Teilhard sembra proprio averlo previsto – la “cybersfera” informatica e virtuale. Una sfera che ha cominciato a svilupparsi con la comparsa dell’uomo, ma che non ha finito di crescere, di evolvere verso un futuro di sempre maggiore complessità ed integrazione. Questo futuro ha per Teilhard un nome: il Punto Omega, culmine dell’evoluzione, della sua complessità e della sua coscienza. È un nome che rimanda immediatamente al libro dell’Apocalisse, e infatti Teilhard non nasconde che questa realtà finale assume i tratti divini di un Dio che ricapitola tutto: ma la noosfera è un’opera umana, e l’umanità sempre più unita si dirige, sia pure con difficoltà e tentennamenti, verso quella meta.
Secondo Teilhard la coscienza umana appare dunque come la direzione di tutto il processo cosmico-evolutivo, che diviene cosciente di sé proprio con l’apparire della specie umana. Per questo motivo, Teilhard è pare aver anticipato la definizione del cosiddetto principio antropico, principio secondo il quale, nella sua versione chiamata “forte”, è possibile riconoscere nell’universo l’azione di una finalità in vista della comparsa sulla terra della vita e del pensiero: questo per le numerose e complesse condizioni a livello cosmico, locale ed ambientale necessarie a far giungere a questo risultato. In effetti, è possibile riconoscere un’affinità fra il principio antropico e la visione teilhardiana. Ma vanno sottolineate anche le differenze. I sostenitori del principio antropico sono perlopiù dei fisici, che si muovono quindi su parametri e realtà diversi da quelli studiati da Teilhard. Il loro lavoro, poi, consiste in una specie di movimento a ritroso, dalla situazione attuale alle condizioni iniziali dell’universo. Teilhard è invece partito dalle scoperte paleontologiche per identificare la legge di complessità-coscienza e trovare così spiegazione della particolare posizione dell’uomo nella natura.
Non è possibile dunque separare in Teilhard l’apporto delle sue diverse esperienze e riflessioni: proprio per questo la sua sintesi appare ancora oggi così potente e la sua influenza, non sempre riconosciuta in modo esplicito, feconda nei campi più diversi dell’attività umana.
Dalla rivista “Scienza e conoscenza” del 24 novembre 2005, pp.32-36