Sacramento del Mondo? Una lettura incrociata delle concezioni eucaristiche di Jean-Luc Marion, Louis-Marie Chauvet e Pierre Teilhard de Chardin

Richard Tambwe

Sacramento del Mondo?

Una lettura incrociata delle concezioni eucaristiche di Jean-Luc Marion, Louis-Marie Chauvet e Pierre Teilhard de Chardin

 

Richard Tambwe è attualmente candidato al Dottorato in filosofia e svolge attività docente alla Duquesne University (Dipartimento di Teologia) di Pittsburgh, Pennsylvania. In è possesso di un Master in Disegno Architettico e Urbanistica (Università di Notre Dame, Indiana) e uno in Teologia (Santa Clara University, California). La sua formazione e attività di architetto lo hanno portato in diverse nazioni in Africa, Europa e America. È autore di Towards an African Ecclesiology in Stones (2011)

 

Introduzione

Una storiella di origine ignota, diffusa fra i Gesuiti in Africa centrale, racconta di un vecchio parroco e pastore di una povera parrocchia in campagna, che aveva l’abitudine di riempire col vino da Messa un grosso calice (sia celebrasse da solo o per un’assemblea). Il prete lo beveva tutto, dopo la consacrazione, tanto che gli erano necessarie sei o sette bottiglie di vino la settimana. Il vescovo della diocesi, essendo venuto a conoscenza della cosa, decise di compiere una visita pastorale in quella parrocchia. Dopo alcune messe concelebrate con il parroco, il vescovo riconobbe la fondatezza delle accuse, e fece presenti le sue preoccupazioni al prete. Il vescovo chiese: “Reverendo Padre, mi sono accorto che per la celebrazione eucaristica lei riempie quel grosso calice fino all’orlo. Lo fa ogni volta in cui celebra la Messa? E beve tutto quel vino da solo?” “Sì, mio Signore”, rispose il parroco, “Non cambiamo niente”. “E il vino?”, chiese il vescovo. “Non è cambiato niente”, rispose il parroco. Il vescovo allora espresse la sua preoccupazione circa l’eccessivo impiego di vino: “Le chiedo di moderare l’impiego di vino per la Messa quotidiana, e la imploro di essere attento alla situazione economica della nostra diocesi così impoverita. Come lei sa, abbiamo chiesto alle parrocchie di ridurre le spese. La quantità di vino che lei usa per la Messa pesa sulle finanze della parrocchia e della diocesi. Le chiedo di nuovo di impiegare il vino con moderazione”. Con un filo di rabbia, il parroco replicò: “Mio Signore, per il sangue di Cristo, non posso cambiare e mi piacerebbe che tutti, anche Vostra Signoria, comprendeste la mia posizione spirituale”. Il vescovo  non rispose nulla all’osservazione del prete e non ci fu nessun cambiamento in quella parrocchia riguardo le celebrazioni eucaristiche.

Porre questa storia all’inizio della discussione è un tentativo di anticipare lo scenario della lettura incrociata di tre libri di tre cristiani cattolici romani francesi riguardo all’Eucarestia: Pierre Teilhard de Chardin,[1] Louis-Marie Chauvet[2] e Jean-Luc Marion[3] – tutti e tre concentrando le loro visioni teologiche e le loro sensibilità sull’Eucarestia. Il quid pro quo fra il prete e il vescovo – laddove uno sottolinea un “abuso di vino” mentre l’altro non trova nulla di male nell’avere una particolare devozione per “il sangue di Cristo” - mette in luce le diverse sfumature che emergono da questa conversazione. In effetti, se il parroco avesse compreso il significato del Calice come lo intendeva Teilhard de Chardin, forse avrebbe potuto seguire il consiglio del vescovo, o avrebbe continuato a bere il sangue di Cristo, tremando. Possiamo chiederci se le cose sarebbero del tutto cambiate se il prete avesse preso sul serio il concetto di mediazione del corpo come descritta da Chauvet. O, per tirare in campo Marion, ci si può domandare se il modo di trattare l’Eucarestia da parte del prete permette di ricevere Cristo come dono. Questo è lo scopo di questo articolo: sforzarsi di comprendere meglio l’Eucarestia e celebrarla o partecipare ad essa in modo più significativo, e così facendo, migliorare la vita cristiana per il nostro tempo.[4]

La Messa sul Mondo di Teilhard non lascia indifferente nessun cristiano: o si ama o si disprezza. Leggere Teilhard con gli strumenti di teologia sacramentale di Marion o Chauvet atti a promuovere l’eucarestia come icona e a mettere in guardia contro gli idoli, può aiutare ad accostarsi a questo testo in modo differente e, soprattutto, favorire una più profonda pratica eucaristica, spirituale e materiale.[5] La domanda legata al nostro intento è se la “Messa” di Teilhard favorisce oppure ostacola la vera comprensione e pratica dell’Eucarestia. Le domande che ne discendono sono queste: la celebrazione quotidiana dell’Eucarestia, ci procura nuovi significati che ci danno forza o diventa solo una obbligatoria routine?[6] O, come direbbe Teilhard, quali sono “le vere estensioni dell’Eucarestia e la sua forza animatrice nel lavoro dell’uomo”?[7] In altre parole, in che modo  Gesù ricevuto nel sacramento assume corpo e volto nelle attività quotidiane? In che modo Gesù ricevuto nel sacramento trasforma i cristiani in collaboratori alla sua missione di redenzione del mondo? Come dovrebbero i cristiani celebrare l’eucarestia in modo che essa diventi più significativa nel loro contesto concreto, i loro pensieri più razionali, i loro sentimenti più profondi, i lavori che li vincolano, i riposi che attendono, le loro gioie occasionali e le loro sofferenze dolorose, le loro ambiziose speranze e le amare disperazioni, in tutto ciò i cristiani hanno e sono, e nella loro intera vita e nel mondo che li circonda? Questa è la sfida che la “Messa” di Teilhard pone e chi non l’ha percepito ha letto questo libretto troppo in fretta.

La tesi di questo saggio è che La Messa sul Mondo contenga sia profondi nutrimenti spirituali sia affermazioni ambigue che possono confondere i rituali sacramentali. Questa tesi prevede l’applicazione dei concetti di icona, idolo e sacerdozio di Marion (prima parte), e degli approcci di Chauvet a simbolo e rituali (seconda parte) alla comprensione teilhardiana della Messa. Il senso del progetto è poter aiutare la preghiera meditativa e la preparazione spirituale all’Eucarestia, specialmente quando, per diverse ragioni, non si può partecipare all’Eucarestia ordinaria. Per questo la discussione si conclude con la domanda se la riflessione di Marion sulla “fenomenalità” sacramentale può essere d’aiuto se immaginiamo di ricevere il dono eucaristico in condizioni limite, in cui la Messa tradizionale non sia disponibile.

 

1. La Messa di Teilhard e l’icona e l’idolo di Marion

1.1.La Messa sul Mondo nell’ambito degli scritti di Teilhard de Chardin

Ci sono come due ampi domini di pensiero nei numerosi scritti di Teilhard: 1) gli scritti rivolti a coloro che sono maggiormente attratti dall’amore celeste di Dio e in qualche modo trascurano tutte le preoccupazioni del mondo, e 2) gli scritti per coloro che sono maggiormente inclini a credere che il mondo sia la sola realtà, che sono mossi dall’amore cosmico per il mondo e cancellano il termine “Dio”. Dalla prospettiva della passione per la gloria di Dio, egli scrive quelli che potremmo chiamare “pensieri religiosi”. Sotto questa categoria possiamo menzionare: L’ambiente divino, Inno dell’Universo, Il cuore della materia, Il Cristico ecc. Dalla prospettiva del culto per il progresso terreno, i suoi scritti sono definiti “scientifici”. In questo secondo gruppo troviamo libri come: Il fenomeno umano, L’attivazione dell’energia, Il futuro dell’uomo, L’Œuvre Scientifique e così via.[8] La Messa sul Mondo appartiene al primo gruppo, quello degli scritti religiosi e costituisce il primo capitolo dell’Inno dell’universo. È stato inserito in questo volume per semplici scopi di pubblicazione. Si tratta peraltro di una piccola opera a parte.

Sia negli scritti religiosi sia in quelli scientifici, Teilhard pensava esistesse un modo per unire questi due ambiti apparentemente antagonisti.  “Ci deve pur essere un punto di vista dal quale il Cristo e la Terra appaiano situati in tal modo, l’Uno in rapporto all’altra, che io non potrei possedere l’Uno se non abbracciando l’altra, comunicare con l’Uno se non fondendomi con l’altra, essere assolutamente cristiano se non essendo disperatamente umano”.[9] A questo scopo, non si presenta come teologo o maestro, ma come testimone di un’esperienza personale come uomo di scienza, ed un uomo di scienza che è allo stesso tempo un uomo di fede.

Per quanto le loro visioni dell’Eucarestia siano diverse, mi sembra che Marion possa considerare Teilhard (e non sono sicuro che non l’abbia già fatto) come una di quegli “spiriti semplicemente onesti e consapevoli” per i quali “la fede ha le sue ragioni e la loro ragione scientifica ha le sue credenze”.[10] Comunque, nella Messa sul Mondo, Teilhard non solo combina in modo ammirevole fede e ragione sì da “credere per vedere e concepire”, ma c’è anche un continuo argomentare (apologia) con chiunque gli chieda le ragioni (lógos) della speranza che era in lui (I Pt. 3,15).[11] In essa. Teilhard esprime il suo amore eternamente rinnovato[12] per colui che si è donato nell’Eucarestia: Gesù.

In effetti, La Messa sul Mondo ha tenuto occupato Teilhard per molti anni. Già nel 1911, a neppure un anno dalla sua ordinazione sacerdotale, sottolineava già – nelle lettere che inviava ai suoi genitori e alla cugina Marguerite, gli aspetti di offerta e di accettazione che costituiranno elementi chiave della Messa.[13] Inoltre, pochi anni prima di morire, mentre si trovava in Sud Africa per ricerche sui fossili, Teilhard disse di aver ripreso la sua Messa e aver apportato vari “approfondimenti e chiarimenti”. Aggiungiamo che, in quanto preghiera, nella quale vengono espressi ogni sorta di pensieri – in un arco di quarant’anni di riflessioni e ripensamenti sulla stessa preghiera, dopo settantatré anni ben vissuti – una tale preghiera può essere ben considerata una sintesi di pensieri e sentimenti, dal punto di vista sia scientifico sia religioso.[14] Costituisce senza dubbio il capolavoro di Teilhard in termini di elevazione spirituale e ispirazione poetica. Fra tutte le opere di Teilhard, La Messa sul Mondo è la preferita da molti lettori. Pierre Leroy la definisce “questo poema lirico impregnato di linfa mistica”.[15]

Ma in cosa consiste questa linfa mistica – di cui parla Leroy – della Messa di Teilhard? Può fungere da icona come Marion la intende?

 

1.2. L’approccio eucaristico di Marion di fronte alla Messa di Teilhard

La teologia dell’Eucaristia di Marion evidenzia la necessità di evitare due moderne “idolatrie” – differenti ma dialetticamente correlate – legate al concetto di presenza reale: 1) l’adorazione perpetua e la processione eucaristica, poiché sembrano ridurre il Santissimo Sacramento ad una cosa, e 2) la concezione dell’Eucarestia come pasto per mezzo del quale Cristo si rende presente nella coscienza della comunità: Cristo non viene più ricevuto come dono, la presenza di Cristo sembra dipendere dall’atteggiamento mentale della comunità stessa.[16] 

Due elementi sono alla base del concetto di “presenza reale”: realtà (che deriva da res, cosa) e presenza (che implica una distanza fra colui che vede e l’Altro). Realtà, nell’Eucarestia, indica che Dio è diventato una “cosa”, “un oggetto tangibile” dell’Infinito nel finito, per lo meno per coloro che sono in grado di toccare e vedere con sensi rinnovati: Dio è entrato nel nostro mondo finito (transustanziazione) sotto forma di umile cibo. Dio “abban-dona” la divinità per comunicare gratuitamente l’amore come dono (don),[17] correndo il rischio di non essere riconosciuto come Dio. Nell’Eucarestia, la realtà di Cristo (come Dio e uomo) non viene abolita comunicando alle specie del pane e del vino; il finito non è mai puramente assorbito nell’Infinito, né le sacre specie dovrebbero essere considerate come meri segni, senza il loro riferimento divino.[18] Per cui nell’Eucarestia c’è la possibilità di non riconoscere in essa la persona e di mancarle di rispetto. Cristo è presente nell’Eucarestia. È il nostro “sguardo”, il nostro approccio alla realtà che richiede di essere modificato così che noi possiamo discernere la presenza di Cristo nell’Eucarestia. Per Marion, sia la realtà sia la presenza di Cristo nell’Eucarestia esistono “indipendentemente dalla nostra capacità di riconoscerle”. La distanza che separa ed unisce “realtà e presenza” corrisponde all’economia della nostra “conversione”. Possiamo guardare (regarder) l’Eucarestia o come un “idolo” (e perciò, vedere il divino a misura dello sguardo umano) o come una “icona” (per cui, invece di essere il risultato di una visione, essa ne provoca una: l’icona stessa modella lo sguardo dell’uomo in modo da fargli cogliere il divino un una dimensione che eccede le cose visibili). L’idolo avvia un circolo di riflessività, mentre l’icona trasforma l’uomo a propria immagine. Avvicinarsi all’Eucarestia come un’icona comporta lo sforzo di vedere, “attraverso” gli accidenti del pane e del vino, Cristo che appare “dietro” di essi”.[19]

La Messa spirituale di Teilhard, senza le specie del pane e del vino (cioè senza sacramentum), causa molte difficoltà alla ricezione del dono inestimabile della presenza reale del Cristo (la res sacramenti)? Ancora, se si ritrae dall’idolatria per mancanza della “cosa” lì di fronte, contribuisce al modo in cui funziona l’icona? Queste due domande devono essere tenute presenti quando leggiamo La Messa sul Mondo di Teilhard. Ma, al di là di Teilhard, chi altro può celebrare la “sua” Messa? Di quali preti stiamo parlando?

 

1.3. La concezione del sacerdozio di Marion e quella di Teilhard

Mettendo in guardia contro quello che chiama il culmine del clericalismo (il ripiegamento del corpo ecclesiastico su se stesso), Marion sottolinea l’eminente dignità dei battezzati e afferma che, dal punto di vista di Cristo, non esistono né laico né laicato. C’è un solo popolo di Dio cristiano che si raccoglie alla chiamata di Colui che li salva (Cristo). Contro la demagogia del richiedere ai battezzati di compiere uno sforzo ulteriore per essere laici (poiché è questa l’ideologia sottesa al laicato), che porterebbe ad una crescita della militanza laica e del potere clericale, Marion sostiene piuttosto la comunione dei due sacerdozi – il sacerdozio dei battezzati e il sacerdozio dei presbiteri. Il sacerdozio dei battezzati non è un’imitazione inferiore del sacerdozio dei presbiteri. Per il cristiano, il sacerdozio consegue dal suo battesimo – lo stesso per la cristiana. Il/la cristiano/a diviene un sacerdote perché egli/ella è eletto/a. il sacerdozio dei presbiteri si distingue dal sacerdozio battesimale, afferma Marion, solo per essenza (non per grado) e solo per il servizio di convocare, nel Nome di Cristo, il popolo sacerdotale. Seguendo l’esempio del sacerdozio di Cristo, che sta in un solo atto: compiere la volontà del padre – l’unico e solo sacerdozio di tutti i Cristiani può essere riassunto in una sola parola: conversione – conversione senza limiti. Marion aggiunge che si tratta di rendere cosmica la liturgia convertendo sé stessi al punto di convertire anche il mondo.[20]

Ci sono somiglianze fra la concezione del sacerdozio di Marion e quella di Teilhard come risulta dalla seguente preghiera che Teilhard riporta nel suo diario nel 1916:

“O Gesù, dacci quindi finalmente quei cristiani, e quei preti, veramente umani come te, che realmente portano la sofferenza della terra, che vibrano sinceramente alle speranze del loro tempo e del loro mondo (…) Il prete non è solo colui che si avvolge nei rituali, non si rinchiude in chiesa e nell’amministrazione dei sacramenti, né si lascia assorbire dal lavoro. È il modello ed il primo – fra uomini e donne - ad essere entusiasta e a soffrire, il primo ad assalire il Reale, a piegarlo a migliorarlo.”[21]

Sebbene Teilhard, nella Messa sul Mondo, affermi esplicitamente di essere prete, non dice se il suo sacerdozio sia consacrato o quello del battezzato; invece, sostiene soltanto che deve il suo sacerdozio a Cristo: “…je vous offrirai, moi votre prêtre, sur l’autel du monde…”[22] e “… et là, - fort d’un sacerdoce que vous seul, je le crois, m’avez donné -...”[23] Che egli debba il suo sacerdozio a Cristo conferma, sia pure implicitamente, l’accordo di Teilhard con la concezione del sacerdozio dei fedeli di Marion. Non deve sorprendere che Teilhard più avanti dica: “: “J’ai peur, aussi, comme tous mes frères, de l’avenir trop mystérieux, et trop nouveau vers lequel me chasse la durée. Et puis je me demande, anxieux avec eux, où va la vie…”.[24] Che si sia prete consacrato o semplicemente un/a cristiano/a, si dovrebbe sempre ricordare che si deve il sacerdozio a Cristo.

Inoltre, la Messa di Teilhard è alla portata di tutti i battezzati : non richiede la presenza di un ministro che convocasse il popolo di Dio. In più, la sua vocazione è chiaramente cosmica. Su questo, come su altri aspetti del sacerdozio sopra menzionati, penso sia appropriato accostare Marion a Teilhard e promuovere questa Messa spirituale per una migliore comprensione del sacerdozio nella Chiesa.

Poiché questa riflessione è stata intrapresa nell’era post-COVID-19, ossia dopo aver sperimentato il culto collettivo per mezzo di Zoom o altre applicazioni digitali, mentre eravamo fisicamente separati gli uni dagli altri, mi chiedo se la Messa spirituale di Teilhard – cioè una Messa con o senza un prete consacrato – possa favorire l’incontro con Dio in luoghi non convenzionali ma sacri,[25] purché ci sia amore e ricezione del dono nel ringraziamento. Per converso, quando un prete consacrato presiede in qualche luogo, la consacrazione dell’Eucarestia può essere condivisa in luoghi diversi da quello in cui si trovano le specie del pane e del vino? Dopo tutto, la res sacramenti (la grazia di Cristo) che opera nella transustanziazione non trascende qualunque barriera fisica e temporale?[26] Oppure queste ultime domande sono troppo provocatorie, fino al punto di aprire – involontariamente – un vaso di Pandora per la frammentazione della Chiesa o altre deviazioni rituali? Forse è il momento di coinvolgere Chauvet che, nella stessa linea, afferma “la Chiesa non può mai essere in pacifico possesso dei suoi riti liturgici, deve cioè costantemente resistere alla tentazione di imprigionarsi – come pure Dio – in essi”.[27]

 

2. La Messa di Teilhard a confronto dell’approccio di Chauvet su simboli e riti

 

2.1. Aprire possibilità teologiche per celebrazioni ecclesiali digitali e per la Messa di Teilhard

Dopo essersi schierati a fianco del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali che, nel 2002, escludeva del tutto la possibilità di sacramenti in Internet, e riaffermando il contesto delicato e transitorio hic et nuncdell’Eucarestia, Bauer e Tücker pongono la seguente questione : “Cosa – o più precisamente, chi – è assente quando l’Eucarestia è assente?”[28] La loro risposta è che il dono della presenza di Gesù (Egli stesso) è puramente iniziativa di Cristo (attraverso una forma sacramentale, cioè una presenza nascosta comunicata per mezzo di un segno sacramentale); il dono eucaristico trasforma la percezione del tempo, e deve essere ricevuto all’interno di una comunità reale, in modo che “la dimensione di communio spiega che cosa perdiamo quando perdiamo l’Eucarestia”.[29] Per quanto non sia in disaccordo con quanto affermano, mi sembra che Bauer e Tücker non vadano fino al fondo della loro domanda, poiché si attengono alle tradizionali forme del pane e del vino, ed alla tangibilità corporea della comunità celebrante. In effetti, se avessero meglio approfondito la comprensione del dono eucaristico come una icona (fino a considerare lo schermo stesso come una parte iconica), così non limiterebbero l’incontro digitale con Cristo all’adorazione eucaristica, in cui il “guardare a” si connette al “suddividere in” gli elementi, la sola condizione in cui “il dono comincia a rivelarsi del tutto”.[30]

Cercando di portare avanti, nelle pagine seguenti, la discussione aperta da Bauer e Tücker, presenterò dapprima la Messa di Teilhard e il significato dei suoi simboli. In effetti, non avendo né pane né vino né altare, Teilhard ha osato elevarsi al di là di questi simboli, e ha offerto a Dio, sull’altare della Terra intera, le fatiche e le sofferenze del mondo.[31] Discuterò poi brevemente la trattazione di Chauvet su simboli e riti. I due elementi possono chiarire sia le ambiguità della Messa di Teilhard sia i limiti delle celebrazioni ecclesiali virtuali.

Credo che associare il simbolismo di Teilhard con le leggi rituali di Chauvet possa aprire delle prospettive teologiche, indicando pure delle sfide pastorali da superare. Ancora più importante, applicare la concezione di fenomenalità sacramentale di Marion alla Messa di Teilhard, permette di comprendere che, in questa Messa, l’invisibilità della res sacramenti viene traslata, consegnata e abbandonata per una diversa invisibilità del sacramentum, la cui evocazione rimanda ad eventi reali nella vita di Teilhard. Marion afferma infatti che tutti i sacramenti (compresa la riconciliazione nel quale non viene impiegato nessun sacramentum materiale) può essere descritto sul modello dell’Eucarestia come processo di “essere e donazione” sacramentale.[32] In altre parole, ciò che dà al sacramento la sua “sacramentalità” è in particolare la donazione di Cristo che rende Dio visibile, a partire dall’Incarnazione stessa.

 

2.2. Partecipare alla Messa di Teilhard

Il breve scritto La Messa sul Mondo è suddiviso in cinque parti: 1) L’Offerta, 2) Il Fuoco al di sopra del Mondo, 3) Il Fuoco nel Mondo, 4) Comunione, 5) Preghiera. Alcuni commentatori preferiscono però suddividerla in tre parti: 1) L’Offerta; 2) la Consacrazione e 3) La comunione.

2.2.1 L’offerta: Crescita e diminuzione sotto le forme del pane e del vino

Nella “Offerta”, Teilhard esprime a Dio 1) dove si trova;[33] 2) il momento in cui sta pregando;[34] 3) perché offre una Messa spirituale di quel genere;[35] 4) il significato che attribuisce ai simboli della patena e del calice. Richiama inoltre 5) ciò che il sacrificio divino era nell’antichità,[36] in contrasto con ciò che, a suo giudizio, occorrerebbe per sfamare Dio e dissetarsi.[37]  Infine, 6) presentando a Dio “l’Ostia totale” (cioè la “Creazione”, intesa sia come materia del sacrificio sia come colei che lo offre), 7) Teilhard confessa di essere “senza rimedio, ben più di un figlio del Cielo, un figlio della Terra”.[38]

Di queste sette concetti, il più importante, a mio parere, è ciò che a cui lui si riferisce coi nomi di “pane” e “vino”. Cosa intende per patena e calice? Nella concezione teilhardiana dell’Eucarestia, il pane rappresenta la nostra fatica (sforzo), le speranze del mondo, la luce che spunta, “ogni vita che germinerà, crescerà, fiorirà, maturerà.”[39] In breve, il pane simboleggia la crescita. Ma questa crescita non è un fatto individuale. Riguarda l’umanità nella sua totalità. È il motivo per cui Teilhard evoca il ricordo degli “amici eccezionali”, di “coloro che mi circondano e mi sostengono a mia insaputa”, e “soprattutto, quelli che hanno fede nel progresso delle Cose e oggi, con passione, inseguiranno la luce”.[40] Per Teilhard, la crescita include il desiderio di cercare Dio pur senza certezze e in modo imperfetto, come espresso da San Paolo: “perché cercassero Dio, se mai arrivino a trovarlo andando come a tentoni” (At 17,27).[41] Egli va oltre: la crescita comprende non solo le persone e le loro aspettative, ma anche “la luce ed il profumo diffusi nell’Universo”.[42] Luminosità e profumo per Teilhard non provengono solo da sentimenti e buoni comportamenti, ma dalla complessità dell’universo e delle sue forze naturali, o ciò che gli uomini hanno trasformato in forze positive. La crescita è “la Creazione” stessa, in tutto ciò che ha aspetto positivo, bellezza e grazia. Perciò, la crescita particolare è rappresentata dalla piccola ostia singola, mentre la crescita del mondo intero nella sua totalità è rappresentata dalla “Ostia totale”.

 Allo stesso modo per il calice: Teilhard lo vede colmo di vino di sofferenze: tutto ciò che nel mondo diminuisce, come pure tutto ciò che muore. Tutto il succo spremuto dai frutti della terra, tutto ciò che sta per perire sotto il sole che sorge ed ogni forza di morte in attesa di corrodere e troncare, deve essere versato nel calice. Il calice di Teilhard contiene inoltre “l’amarezza di tutte le separazioni, di tutte le limitazioni, di tutti i decadimenti sterili”.[43] Il vino nell’Eucarestia di Teilhard raffigura tutti le delusioni e le esasperazioni, ombre e notti, paure e lacrime, nostalgie e ansie, miserie e sofferenze, peccati e morti. Mentre la crescita sotto il simbolo del pane comprende i progressi in tutta la natura, le diminuzioni che tingono il vino eucaristico si riferiscono in genere all’azioni e ai pensieri umani, come se la natura, come tale, fosse per Teilhard solo perfetta (Gen 1,31). Di fatto, Teilhard verserebbe facilmente calamità naturali come tsunami, uragani, eruzioni vulcaniche e così via, nella coppa di vino affinché diventino il sangue eucaristico di Cristo.

 

2.2.2. Consacrazione: Cristo come Fuoco al di sopra e nel Mondo

La “consacrazione” avviene in due modi: 1) come un’evocazione del fuoco dal di sopra[44] e 2) come un riconoscimento del fuoco nel Mondo, che unisce in modo orizzontale tutte le creature.[45] Mentre il primo rimanda ad una sorta di epiclesi, il secondo rimanda all’idea di solidarietà: “che le creature, cioè, non siano solo talmente solidali tra loro che nessuna possa esistere senza tutte le altre che la circondano, – ma che siano talmente sospese ad un medesimo centro reale che una vera Vita, sperimentata in comune, conferisca loro, in definitiva, consistenza ed unione.”[46] La “Consacrazione” nella Messa di Teilhard è il processo con cui si riceve la grazia di riconoscere che “attorno a me, tutto è il Corpo e il Sangue del Verbo”.[47] Questo è il motivo per cui, alla sua conclusione, egli prega: “Affinché, in questo giorno, nessun veleno mi sia nocivo, affinché nessuna morte mi uccida, affinché nessun vino m’inebri, affinché in ogni creatura Ti scopra e Ti senta. – o Signore, fa’ che io creda!”[48]

2.2.3. Comunione e Preghiera: identificazione con Cristo

Ci sono quattro passaggi per la comunione nella Messa sul Mondo: 1) l’adorazione,[49] 2) il desiderio di essere trasformati in Dio,[50] 3) partecipare al corpo di Cristo e 4) bere al calice del Signore. Ma, in generale, la Comunione implica prendere parte alla gioia di Cristo (crescita) e alla passione (diminuzione) come vissuti dalla Chiesa.

La Comunione con la crescita del mondo che è divenuto corpo di Cristo è l’accettare di essere annessi a Cristo, arrendersi e dirigersi verso imprese faticose e verso un continuo rinnovamento di idee, acquisire tatto e sensibilità verso ciò che, nel tutto, è al di sopra di tutto. Teilhard crede che colui/colei che è colmato/a di un appassionato amore di Gesù nascosto nelle energie di crescita nel mondo, - la Terra, come una madre, lo/la solleverà e gli/le permetterà di contemplare il volto di Dio.[51]

Di conseguenza, poiché il desiderio di essere uniti a Dio va al di là della vita e oltre la morte, bisogna ricevere anche la comunione col sangue di Cristo. Altrimenti, la comunione non sarebbe cristiana. Il potere di apprendere e sperimentare la santa presenza di Cristo si sviluppa a partire dal vortice di conflitti ed energie. Perciò, bisogna passare per una fase di diminuzione. Dunque, “su colui/ colei che avrà amato appassionatamente Gesù nascosto nelle forze che fanno morire la Terra, la Terra, venendo meno, chiuderà le sue gigantesche braccia; e, con essa, egli /ella si risveglierà nel seno di Dio”.[52]

La contemplazione che è iniziata nella Comunione continua nella Preghiera di ringraziamento che la segue.  Gesù è percepito e riconosciuto per mezzo del suo Sacro Cuore come una figura gloriosa di un mondo che è avvampato nelle fiamme. È con uno scambio di richieste e di disponibilità al Signore Gesù che Teilhard termina la sua Messa. Ma è questa una vera Messa, tanto da poter essere ritenuta un sacramento? Rivolgiamoci a Chauvet, considerato esperto nel campo, per avere dei criteri di giudizio.

 

2.3. Valutazione dei concetti di simboli e riti in Chauvet

Nel suo testo ormai classico Sacraments: the Word of God at the Mercy of the Body, Chauvet non solo definisce il triplice aspetto della vita sacramentale, come pure dell’identità cristiana (Scrittura, Sacramenti ed  Etica), ma esamina che due elementi fondamentali dei sacramenti: simbolo e rituale (capp. 4-5). Chauvet afferma in effetti che la loro celebrazione è essenzialmente sia simbolica sia ritualistica.[53] Distingue segno e simbolo in quanto rappresentante - il primo – l’ordine della conoscenza o dell’informazione, e – il secondo – l’ordine del riconoscimento o della comunicazione fra soggetti. Segni e simboli sono governati da due principi logici differenti: 1) uno mira agli “oggetti” (il segno): “dire qualcosa circa qualcosa”, e 2) l’altro ai “soggetti” (il simbolo): “dire qualcosa a qualcuno”, ma essi nondimeno sono i due poli di ogni espressione umana.[54] I sacramenti appartengono all’ordine del “fare”, e questo “fare” è simbolico.[55] I sacramenti mirano ad un unire compiutamente Cristo e la Chiesa (e più ampiamente Dio e l’umanità), tenendo conto che Cristo e la Chiesa sono rigorosamente distinti, e i membri della Chiesa sono anche uniti fra loro come figli e figlie di dio, o fratelli e sorelle in Cristo.[56] Al di là dell’utile o dell’inutile, come la manna nel deserto, la grazie dei sacramenti non possiede un valore che possa essere calcolato o capitalizzato, o riposto per un uso successivo.[57] I sacramenti sono “rivelatori” dell’identità cristiana, ma hanno la pretesa di essere suoi “agenti”, di compierla.[58] Perciò, compresi come simbolici, realizzano una duplice azione nella celebrazione cristiana: sono sia operatori (effettivi agenti di simbolo e rituale) sia rivelatori (doni gratuiti di Dio per mezzo del mistero della Pasqua di Cristo).

Ogni sacramento è un rito; non possiamo dire nulla sul significato dei sacramenti senza tener conto dell’atto stesso della loro celebrazione, la loro attuazione rituale, la loro “pratica.”[59] Prendere in considerazione la celebrazione rituale significa riconoscere che i sacramenti sono antropologici. Come esseri umani, i cristiani si attendono molto dalle celebrazioni liturgiche, spesso con esigenze contraddittorie. Poiché una celebrazione sacramentale è un processo rituale, non può concedersi una libertà totale. Il rito ha le sue leggi.[60] Chauvet elenca dunque cinque leggi liturgiche. Primo, come modo di procedere, “non dire cosa stai facendo, fa’ ciò che stai dicendo”[61] così da promuovere un tipo di linguaggio più comportamentale (e pragmatico) che mentale (e semantico). La liturgia non è il luogo per discutere su Dio ma per accogliere l’azione di Dio.[62] Secondo, la natura festosa delle celebrazioni cristiane deve mantenere l’essenziale (la riserva) del simbolo. La festosità è inevitabile nella celebrazione. C’è tuttavia bisogno di far proprio un sentimento di moderazione – non un eccessivo contenimento – della celebrazione, per simboleggiare sia gli aspetti gioiosi sia quelli dolorosi della vita e della condizione umana.[63] Terzo, per conservare una distanza fra la “scena” rituale e la “scena” della vita quotidiana, il legittimo officiante deve essere riconosciuto dal gruppo come tale, evitando così sia un eccesso sia una mancanza di gerarchia, sia troppa sia troppo poca separazione.[64] Quarto, poiché i termini “rito” (sostantivo) e “rituale” (aggettivo) designano qualcosa che è compiuto ogni volta allo stesso modo, un rito non si inventa; è sempre ricevuto (dalla tradizione, dalle generazioni precedenti, o dal fondatore); deve avere perciò la caratteristica di essere programmato, la caratteristica di essere pastoralmente negoziato fra il troppo e il troppo poco.[65] Il rito deve conservare la sua funzione di protezione in relazione al coinvolgimento personale dei partecipanti, lasciando che la liturgia adempia il suo ruolo di sostegno. Un rito è salvo solo se c’è una quantità di prevedibilità sufficiente ad evitare la paura del “Cosa succede adesso?”[66] Quinto, la pratica rituale non deve ammette il più o meno; assegna posizioni in modo tale da sapere chi fa cosa e in quale misura, e da permettere alle persone di porsi sul particolare sentiero della vita che esse hanno adottato in risposta alla chiamata di Dio, per vivere la santità alla quale il Vangelo li ha destinati, e assumere le proprie responsabilità nella missione della Chiesa. Perciò, coloro che hanno incarichi pastorali di amministrare i sacramenti devono assicurarsi che le persone non chiedano soltanto il guscio senza il suo contenuto vitale, i segni dell’appartenenza senza l’impegno della propria vita che dà senso a questi segni, la circoncisione della carne senza la circoncisione del cuore.[67]

In base ai criteri di Chauvet sopra elencati, la Messa di Teilhard non è una Messa; non è un sacramento, nonostante abbia in comune molti valori fra quelli presenti nella concezione di simboli e rituali propria di Chauvet. Non sono in essa manca la “liturgia della Parola di Dio”, ma anche la sua epiclesi non menziona la discesa dello Spirito Santo sui doni da consacrare. Per quanto ricca da un punto di vista simbolico, la Messa di Teilhard non da stata da lui ricevuta in modo rituale, mentre oggi noi possiamo riceverla da lui. È una  Messa atipica.

Potremmo certamente fermarci qui e negare qualsiasi statuto sacramentale alla Messa sul Mondo ed ogni celebrazione ecclesiale virtuale. Tuttavia, considerando la innegabile bontà spirituale di questa Messa spirituale e di alcune celebrazioni digitali, possiamo anche seguire il consiglio di Chauvet di evangelizzare i riti.[68] Possiamo allora porre delle questioni teologiche per considerare altre possibilità di ricevere il dono eucaristico nel caso di situazioni limite come quelle degli anni del COVID-19 (2020-2021). In effetti, le la validità dell’Eucarestia celebrata secondo l’Anafora di Addai e Mari (cioè senza le parole dell’istituzione) è stata riconosciuta ormai da più di dieci anni,[69] perché lo stesso spirito non dovrebbe associarsi a riflessioni sui problemi sopra sollevati circa la Messa spirituale e le celebrazioni ecclesiali virtuali? È sotto questo aspetto può risultare molto utile la descrizione di Marion della fenomenalità del sacramento.

2.4. Fenomenalità  sacramentale per la Messa di Teilhard?

La tesi di Marion è che la res sacramenti (la grazia di Cristo) per quanto invisibile, è data totalmente per mezzo della visibilità del sacramentum (le specie di pane, vino e acqua) come icona del dio invisibile che abban-dona totalmente la Deità.[70] Per quanto Marion non scriva molto riguardo la memoria, ci si deve chiedere se un sacramentum invisibile come nel caso della Messa di Teilhard, ma fenomenologicamente visibile (come il ricordo che emerge alla coscienza) possa anch’esso servire da icona che rivela la res sacramenti.

Mi sembra che ciò possa essere esteso alla visione teilhardiana dei simbolici pane e vino cosmici, poiché per lui, come abbiamo visto, questi simboli si riferiscono a persone, elementi ed eventi specifici in un magnifico caleidoscopio di risonanze simboliche. Essi sono certamente fenomeni ed è possibile guardare in senso teologico la loro correlazione alla res sacramenti.[71] Di nuovo, l’obiettivo non è spodestare o sostituire la Messa tradizionale. La questione è se sia teologicamente possibile pensare altre situazioni-limite come quella descritta da Teilhard. In secondo luogo, poiché un numero sempre maggiore di teologi concordano oggi circa la necessità di insegnare il Cristo Cosmico ripreso dal concetto paolino di Col 1,15-20, uno sviluppo in quella direzione non darebbe un contributo a questa conversione? In terzo luogo, interrogandosi a fondo sulla onnipresenza di Dio per mezzo di Cristo in tutta la creazione, la fede nel dono eucaristico non verrebbe liberata dalla limitazione dell’hic et nunc del sacramentum, in modo tale che la visione digitale sia dell’atto di consacrazione sia delle specie potrebbe diventare parte della realtà sacramentale?

Conclusione

Alla conclusione della sua preghiera nella Messa sul Mondo, Teilhard formula tre richieste: 1) gli venga insegnato il vero significato della purezza, 2) gli venga mostrata la vera natura della carità e 3) gli venga dato il desiderio di continuare a procedere, scoprire, fare e sperimentare il mondo, come anche di penetrare sempre più intimamente in Dio, poiché si dichiara disposto a dedicarsi completamente al Signore Gesù.[72] Questa preghiera e questa disponibilità a Gesù possono essere, a ben vedere, l’esito logico di questa riflessione. Il vero significato dell’Eucarestia conduce infallibilmente ad offrire sé stessi a Gesù e ad unirsi gradualmente a Lui. È il motivo per cui nella Messa sul Mondo il pane è il simbolo di ogni crescita e il vino rappresenta il dolore. E, in mancanza di pane e di vino fisici, la crescita non include soltanto eventi felici, gli uomini, le donne e le loro aspirazioni, ma anche la “Creazione” stessa in tutti i suoi aspetti positivi, mentre il declino comprende tutti le delusioni e le esasperazioni, ombre e notti, paure e lacrime, nostalgie ed ansie, miserie e sofferenze, peccati e morti.

Teilhard ha compreso che, per mezzo della consacrazione di crescite e diminuzioni che diventano il Corpo e il Sangue di Cristo, Cristo stesso anima e dà consistenza a tutte le creature nel mondo. La comunione nella crescita del mondo che è divenuta il Corpo di Cristo, perciò, è l’accettazione dell’essere annessi a Cristo, il desiderio di andare al di là della vita, fino alla morte, per poter diventare veri cooperatori nella sua missione di redenzione del mondo. Ne consegue comunque che si deve anche ricevere la comunione nel sangue di Cristo attraversando una fase di diminuzione.

Per mezzo della comunione nel suo Corpo e Sangue, Cristo attrae verso l’alto chiunque voglia progredire più intimamente in lui. Più è profonda l’intimità con Gesù, più chiare appaiono le cose e più comprensibili diventano gli eventi del mondo. È il motivo per cui Teilhard è convinto che la presenza di Dio negli uomini e nelle donne assume gradi infinitamente diversi dall’uno all’altro: nelle stesse precise circostanze, Dio può essere presente un po’, molto, sempre maggiormente, o per nulla.

Infine, secondo lo spirito della Messa sul Mondo e l’ispirazione di Teilhard, c’è (e ci sarà sempre), nella celebrazione dell’Eucarestia, nella formazione al sacerdozio ministeriale e nella comprensione del sacerdozio dei fedeli, una necessità di “inculturazione” e di apertura al mondo, così che le nostre messe siano più significative. In questo senso la Messa di Teilhard può essere di ispirazione per la scoperta di nuovi significati teologici nella celebrazioni ecclesiali online, per quanto restino da affrontare delle sfide pastorali.

 

 

 

[1] Pierre Teilhard de Chardin, “La Messa sul Mondo”, Editions du Seuil, Paris 1965 (tr. it in Inno dell’universo, Queriniana, Brescia 1992), Jean-Luc Marion, Le Croire pour le Voir, Parole et Silence, Paris 2010 (tr. it., Credere per vedere, Lindau, Torino 2012) e Louis-Marie Chauvet, Sacraments. The Word of God at the Mercy of the Body, Liturgical Press, Collegeville MN 2001. Il libro di Marion è stato scelto fra le sue molte pubblicazioni perché è una raccolta di dodici articoli che coprono un periodo di trent’anni (dal 1979 al 2009). Marion afferma che questi articoli condividono lo stesso obiettivo e la stessa polemica, per diverse circostanze e sollecitazioni, con una costanza che però ha avuto scarso riscontro. Come per quello di Chauvet, questo libro è diventato un classico della teologia sacramentale. Pierre Teilhard de Chardin è stato un gesuita, nato in Francia il 1° maggio 1881 e morto, come aveva sempre desiderato, la Domenica di Pasqua, 10 aprile 1955, a New York. Teilhard aveva ereditato dalla madre un particolare amore per la Messa ed una speciale devozione per il Sacro Cuore di Cristo, mentre suo padre come aveva favorito in lui l’amore per la scienza. Di qui, i due fuochi del pensiero di Teilhard: l’amore per il Cristo e l’amore per il Mondo. Come hanno notato Marguerite Teillard-Chambon, sua cugina, Claude Cuénot, suo biografo, e Thomas M. King, uno dei suoi numerosi commentatori, Pierre Teilhard de Chardin è stato prima di tutto un prete cattolico: questo fu il suo interesse nella sua Messa sul Mondo, che fu la guida della sua visione della vita per più di 40 anni, durante i quali si è manifestata la qualità del suo sacerdozio. Non era soltanto un prete, ma un prete immerso pienamente nella sua vocazione.  Vedi Thomas M. King, Teilhard’s Mass: Approaches to the “Mass on the World”, Paulist Press, Mahwah NJ 2005, pp. 1-36. Pierre Leroy, “Portrait de Teilhard de Chardin”, in Etudes 354/5 (Mai 1981), 586-596, qui 593-594. Alcune parti dell’analisi su Teilhard de Chardin in questo saggio sono apparse come Richard Tambwe, “For more Living the Eucharist: A Reading of Teilhard de Chardin’s The Mass on the World”, in Hekima Review 36 (2006) pp. 35-50 e Richard Tambwe, “Vivere al meglio l’Eucarestia secondo La Messa sul Mondo”, in Teilhard aujourd’hui 43 (ottobre 2023), pp. 55-73. Esse sono state qui rielaborate ed usate dietro permesso.

[2] Prete cattolico romano francese, teologo e scrittore, Louis-Marie Chauvet, 82 anni, ha contribuito al rinnovamento della teologia dei sacramenti integrando nuove categorie, in particolare dalla filosofia del linguaggio. Chauvet non solo definisce effettivamente il triangolo interattivo di Scrittura, Sacramenti ed Etica, ma insiste fortemente sul fatto per cui la fede non può essere vissuta se non nella mediazione del corpo. Vedi Louis-Marie Chauvet, Sacraments. The Word of God at the Mercy of the Body, tr. di Madeleine Beaumont, Liturgical Press, Collegeville MN 2001, Kindle version 149/4261

[3] Jean-Luc Marion è un filosofo francese ed un teologo cattolico romano laico, nato il 3 luglio 1946. È convinzione di Philipp W. Rosemann che il pensiero di Marion sia, nel suo nucleo autentico, eucaristico. In effetti, dopo aver richiamato gli studi di Marion su Cartesio, in cui concludeva che la modernità non è fondata tanto sul deliberato rigetto del cristianesimo quanto su un tentativo (sia pure mal condotto e problematico) di difenderlo, Rosemann cita “La Splendeur de la Contemplation Eucharistique” e i capitoli 5 e 6 di Dio senza essere di Marion come testi che giustificano la propria affermazione sulla centralità dell’Eucarestia nel pensiero di Marion stesso. Philipp Wolfram Rosemann, “J.-L. Marion’s Eucharistic Realism”, in The Mystery of Faith: Reflections on the Encyclical Ecclesia de Eucharestia, The Columba Press 2005, pp. 224-244, qui p.  231

[4] Vedi Sebastian Madathummuriyil, Sacrament as Gift: A Pneumatological and Phenomenological Approach, Peeters, Leuven 2012, pp. 7-8. Madathummuriyil esamina la teologia sacramentale in cinque momenti, fra i quali Louis-Marie Chauvet e Jean-Luc Marion rappresentano l’indirizzo postmoderno, ponendo i sacramenti all’interno della critica della metafisica come onto-teologia. Madathummuriyi, Sacrament as Gift, cit., pp. 41-62

[5] La qualità “spirituale” allude al fatto che Teilhard non necessariamente utilizzava mezzi “fisici” come “pane”, “vino”, “patena”, “calice” per celebrare la sua Messa. Si trattava più di un atto mentale che di un esercizio fisico come gli Esercizi Spirituali di Sant’Ignazio di Loyola (1491-1556), fondatore della Compagnia di Gesù, alla quale Teilhard apparteneva.

[6]  Riguardo la vita sacramentale cristiana, Madathummuriyil nota quanto segue: “Oltre ai credenti convinti, ci sono molti altri che frequentano la chiesa per un senso di obbligo o per abitudine. Ce ne sono anche altri per i quali la religione diventa un riferimento in occasione di un evento fortemente negativo, o in importanti fasi della vita quali matrimonio, funerali, ecc. Nondimeno, ci sono coloro che continuano ad essere comunità di persone che si riuniscono la Domenica aspettandosi che il senso religioso possa aiutarli a dare forma significativa alla settimana che li attende.” Madathummuriyil, Sacrament as Gift, cit., p. 46

[7] Thomas M. King, Teilhard’s Mass, cit., p. 17

[8] Accanto agli scritti “religiosi” e “scientifici”, Teilhard era un appassionato scrittore di lettere. Riteneva le lettere un mezzo per condividere con gli amici ed i parenti tutti i problemi con cui si trovava a lottare durante la sua vita, il suo bisogno di assoluto, il suo duplice amore per il mondo e per l’Assoluto ed il suo senso di missione come prete nella Chiesa Cattolica. Nella prefazione che Christopher F. Mooney SJ ha scritto per la traduzione inglese della Introduzione a Teilhard de Chardin di P. Wildiers, afferma che Genesi di un pensiero, una raccolta delle lettere alla cugina Marguerite, può essere un valido punto di ingresso nel labirinto del suo pensiero, perché vi sono riportati i suoi sentimenti, speranze ed ambizioni più profondi (Norbertus N. Wildiers, Introduction to Teilhard de Chardin, Harper & Row, New York 1968, pp. 11-21). Allo stesso modo, dobbiamo ricordare la sua corrispondenza con Léontine Zanta, con Lucile Swan, con Jeanne Mortier, con Auguste Valensin o con Maurice Blondel, solo per citarne alcuni.

[9] Pierre Teilhard de Chardin, “La vita cosmica”, in La vita cosmica. Scritti del tempo di guerra 1916-1919, Il Saggiatore, Milano 1971

[10] Vedi Marion, Credere per vedere, cit., p. 39. “L’irrazionalismo più minaccioso – afferma Marion – non viene dalla credenza, ma dalla mancanza di credenza e di fiducia, insomma dalla mancanza di fede nella razionalità stessa, nella sua potenza e soprattutto nella sua legittimità (…) Il contrario della fede non consiste tanto nel dubbio, la miscredenza o nell’incredulità, ma nella malafede. [D’altra parte], il contrario della razionalità non va ricercato nell’irrazionalismo, non si trova neppure nella credenza, ma nell’ideologia [che si nutre] con le malattie della razionalità”, Marion, Credere per vedere, cit., p 31 Inoltre, partendo dal Commento di Sant’Agostino al Vangelo di Giovanni in cui egli chiede non di cercare di capire al fine di credere, ma di credere al fine di capire, Marion aggiunge: “Non si tratta di vedere, cioè di conoscere con in modo razionalmente evidente nella luce (sensibile o intellettuale) per credere (assumere per vero o affermare sempre di più), ma, al contrario, di credere per vedere e comprendere. [Se] il sapere consiste nel far emergere il significato corretto, o il meno inappropriato per poter vedere infine il fenomeno nella sua interezza, lasciar[si] attribuire il significato più appropriato alla diversità dell’intuizione e degli adombramenti, ecco il lavoro d’invenzione della ragione [attraverso] assunzioni, provvisorie e crude (…) Per vedere, bisogna credere, ma credendo si fa esclusivamente un’operazione di ragione.” Marion, Credere per vedere, cit., pp. 33-34

[11] Cfr. Marion, Credere per vedere, cit., p. 40

[12] L’amore è proprio una degli aspetti più importanti che Marion elenca per una riuscita contemplazione eucaristica: “La presenza, quando amiamo – dice – non solo tollera che l’amato non sia sempre (qualcosa) davanti a noi, ma spesso si nutre di questa stessa mancanza (qualche volta anche con la fantasia) (…) [Solo] chi ama sperimenta la presenza dell’amato...” Inoltre, suggerendo che il nostro sguardo attraversa l’oggetto eucaristico per potervi percepire il dono nascosto e scorgere la presenza di Dio, Marion propone l’esempio della contemplazione di una tela in un museo, che richiede “attenzione, cultura, tempo – in poche parole, un po’ di amore… [al fine di] trasformare una sensazione in una percezione”. Vedi Jean-Luc Marion, “Splendeur de la Contemplation Eucharistique”, in La Politique de la Mystique: Hommage à Mgr. Maxime Charles, Criterion, Limoges 1984, pp. 17-28, qui pp. 19, 24-25

[13] Per i dettagli biografici a riguardo, vedi King, Teilhard’s Mass, cit., pp. 4-36. Teilhard partecipò alla Prima guerra mondiale sul campo come portaferiti, ed imparò dai soldati “il senso di elevarsi ad un livello più alto dell’esistenza umana”. Scoprì a quell’epoca anche quelli che definì “i due atti fondamentali della religione: offerta ed unione, dei quali la Messa è l’espressione più intima.” Qui parlava di una comunione con la Terra che conduce ad una comunione con Dio. Smobilitato nel 1919, Teilhard riprese gli studi di paleontologia alla Sorbona e ottenne il dottorato nel 1922. Partecipò quindi con padre Émile Licent ad una spedizione di ricerca in Cina. È durante questa spedizione, a Ordos, nel 1923, che Teilhard mise a punto lo schema essenziale della Messa sul Mondo, continuando comunque a lavorare ancora su di essa.  In effetti, nella corrispondenza tenuta da Teilhard con le sue amiche di Parigi, in particolare con Léontine Zanta e Jeanne Mortier, ci sono indicazioni del fatto che egli aveva cominciato a scrivere La Messa sul Mondo prima di trovarsi a Ordos e, nel 1929, avrebbe voluto stenderla in forma “più matura” col nome di Il Sacramento del Mondo. Ma egli morì senza aver potuto soddisfare questo desiderio.

[14] L’aspetto di “sintesi” della Messa sul Mondo nell’ambito delle opere di Teilhard andrebbe giustificato. La lunghezza di questo intervento non mi permette di ripercorrere l’assai vasta produzione di Teilhard al fine di provare l’assunto che ho proposto.

[15] Pierre Leroy, “Portrait de Teilhard de Chardin”, cit., p. 593

[16] Rosemann, “J.-L. Marion’s Eucharist Realism”, cit., pp. 232-233

[17] Poiché la fenomenologia in ultima analisi afferma la possibilità di un fenomeno o di fenomeni che determinano le condizioni della propria datità, la fenomenologia di Marion può essere caratterizzata da “fenomeni saturi”. Per Marion, l’amore o carità è il fenomeno saturo per eccellenza e l’Eucarestia è essa stessa un fenomeno saturo dell’amore. Vedi Rosemann, “J.-L. Marion’s Eucharistic Realism”, cit., p. 232

[18] Rosemann, “J.-L. Marion’s Eucharistic Realism”, cit., pp. 234-235

[19] Ibid., pp. 236-237

[20] Marion, Credere per vedere, cit., pp. 109, 121-124

[21] Nell’originale francese: Oh Jésus, donnez-nous donc enfin de ces chrétiens, de ces prêtres véritablement humains comme vous, qui souffrent réellement de la souffrance de la terre, qui vibrent sincèrement des espérances de leur temps et de leur monde!... Le prêtre ce n’est pas celui qui se drape dans les rites, ni se confine dans l’église et l’administration des sacrements, ni s’absorbe dans les œuvres. C’est le modèle et le premier des hommes, celui qui est le premier de s’enthousiasmer et à souffrir, le premier à attaquer le Réel pour le faire plier et s’améliorer.Pierre Teilhard de Chardin, Journal 1915-1919, Fayard, Paris 1975, p. 200.

[22] “Ti offrirò io, Tuo sacerdote, sull’altare della Terra totale…”, Teilhard de Chardin, Inno dell’Universo, cit., p. 9

[23] “… e lassù, in forza di un sacerdozio che solo Tu, credo, mi hai conferito…”, ibid., p. 10

[24]Come tutti i mei fratelli, ho anche paura dell’avvenire troppo misterioso verso il quale mi spinge la durata. E poi, ansioso con loro, io mi chiedo dove vada la vita…”, ibid., p. 18. Corsivo mio

[25] Mi riferisco a Giacobbe a Bethel (Gen 28, 10-22). Giacobbe si sveglia dal sonno e dice: “Certo, il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo” (Gen 28,16). Il Signore “è” “in” “questo luogo”. Giacobbe è convinto che Dio “è” in quel luogo in cui sta parlando, non nel passato o nel futuro; l’autentico tempo dell’incontro con Dio diventa “il presente”. Certo, Dio era con i nostri antenati e Dio sarà con i nostri figli e i figli dei nostri figli, ma noi abbiamo bisogno di incontrare Dio adesso mentre parliamo e riflettiamo e preghiamo… Poiché Dio “è” nel luogo, quello è un luogo sacro anche se in quel momento Giacobbe non lo sapeva, era andato lì solo per passare la notte. Dio gli appare in un luogo sacro che Giacobbe ha visitato solo per riposare una notte. Giacobbe non ha alcuna idea del fatto che “il luogo” in cui è arrivato è sacro; solo quando si sveglia si rende conto che è sacro. Il luogo era Bethel (Gen 28, 19), un sito sacro che esisteva già ai tempi di Abramo (Gen 12,8). L’inconsapevolezza di Giacobbe circa la santità del luogo e la sua stessa condizione di peccato mettono in evidenza la gratuità del dono di Dio.

[26] Dorothee Bauer e Jan-Heiner Tücker dell’Università di Vienna discutono delle possibilità pastorali e dei limiti teologici della digitalizzazione in contesti religiosi, per concludere che la partecipazione fisica alla liturgia eucaristica non può essere sostituita da offerte di tipo virtuale. Evidenziando la mancanza di piena partecipazione e collaborazione nelle celebrazioni ecclesiali digitali, affermano anche quanto segue: “in queste celebrazioni manca la compresenza corporea dei partecipanti come pure la possibilità di ricevere fisicamente la Comunione. Le celebrazioni digitali possono offrire riti belli da vedere e parole edificanti da ascoltare, ma non è possibile odorare, toccare o gustare nulla. Visus e auditus sono soddisfatti, ma tactus, odor e gustus si perdono nel cyberspazio. Non c’è Battesimo senz’acqua, Cresima senza crisma, Eucarestia senza pane e vino. Format virtuali mostrano una tendenza alla de-incarnazione.” Vedi Dorothee Bauer e  Jan-Heiner Tücker, “Real Presence Under Digital Conditions? Gift of Presence – Transformation of Time – Real Community”, in Dansk Teologisk Tidsskrift 85 (2022), 35-59, qui 38-40. Ma possiamo ipotizzare che altro pane e vino in  altri luoghi, presentati da altri gruppi di fedeli, beneficino della consacrazione di un prete consacrato, che si trova in un altro luogo? Questo risolverebbe l’obiezione sollevata prima? Bauer e Tücker citano inoltre Teresa Berger, “Partecipatio Actuosa in Cyberspace? Vatican II’s Liturgical Vision in a Digital World”, in Worship 87 (2013), pp. 533-537 e Daniella Zsupan-Jerome, “Virtual Presence as Real Presence? Sacramental Theology and Digital Culture in Dialogue”, in Worship 89 (2015), pp. 526-542

[27] Chauvet, The Sacraments, Kindle 131/4261

[28] Bauer e Tücker, “Real Presence Under Digital Conditions?“, cit., pp. 40-41

[29] Ibid., pp. 41-48. “Quando riceviamo la comunione – affermano i due autori – non siamo noi ad assimilare il corpo di Cristo all’interno dei processi biochimici del nostro organismo. È piuttosto Gesù col suo Spirito ad incorporarci nel mistico organismo del suo corpo (…) Non è la comunità dei fedeli che commemora a dar origine alla presenza di Cristo per mezzo di un atto collettivo di commemorazione. Se così fosse, la presenza reale di Cristo non sarebbe altro che un idolo auto-fabbricato. No, è lo stesso Cristo esaltato che ci gratifica della sua presenza pneumaticamente donata per mezzo delle parole della Sacra Scrittura e i doni del pane e del vino” (pp. 47-48)

[30] Bauer e Tücker, “Real Presence Under Digital Conditions?“, cit., p. 55. “Se compresi come un’icona, i doni eucaristici guidano la nostra attenzione al di là del segni materiali del pane e del vino, verso il mistero della presenza eucaristica. (…) Per la comunicazione digitale, quindi, lo schermo deve restare un’icona che crea spazio per un simile incontro autentico…” (p. 54)

[31] Nell’originale francese: Puisque, une fois encore, Seigneur, …je n’ai ni pain, ni vin, ni autel, je m’élèverai par-dessus les symboles jusqu’à la pure majesté du Réel, et je vous offrirai, moi votre prêtre, sur l’autel de la Terre entière, le travail et la peine du Monde.” Teilhard, La Messe sur le Monde, cit. p. 9

[32] Nell’originale francese: C’est à partir de l’Eucharistie que doit se poser et éventuellement peut se formuler l’articulation entre le symbole sacramentel et ce à quoi il offre l’accès, la ‘chose du sacrement’ (res sacramenti) -la grâce du Christ, telle qu’elle gouverne tous les autres sacrements, à commencer par le baptême. Tous, selon cette articulation des extrêmes, celle qu’accomplit l’Incarnation du Verbe dans notre humanité. [Dans] tout sacrement, il s’agit de rendre visible la grâce invisible de Dieu accordée à l’Église dans le Christ.Marion, Le Croire pour le Voir, cit., pp. 149-151.

[33] “Non più nelle foreste dell’Aisne ma nelle steppe dell’Asia”. Pierre Teilhard de Chardin, Inno dell’universo, Queriniana, Brescia 1992, p. 9

[34] È il mattino, poiché scrive: “il sole appena incomincia ad illuminare l’estremo lembo del primo Oriente”, ibid. N.M. Wildiers, nella sua Introduzione alla Messa sul Mondo, aggiunge che “a quanto pare, era il giorno della Trasfigurazione del 1923”. Ibid., p. 7.

[35] “Sono senza pane, senza vino, senza altare… io, Tuo sacerdote”, ibid., p. 9

[36] “Le primizie del raccolto e il fiore del gregge”, ibid., p. 10

[37] “L’accrescimento del mondo travolto dall’universale divenire”, ibid.

[38] Ibid.

[39] Ibid., p. 12

[40] Ibid., p. 9 e p. 14

[41]Si forte attrectent eum”, come Teilhard cita in latino come per accentuare lo sforzo di cercare di toccare Dio… Ibid., p. 14

[42] Ibid.

[43] Ibid., p. 18

[44] “Abbassa su di noi, Te ne supplico, le tue mani potenti, le tue mani premurose, le tua mani onnipresenti, quelle mani che non toccano qua e là (come farebbe una mano umana), ma che, immerse nella profondità e nell’universalità presente e passata delle Cose, ci raggiungono al tempo stesso attraverso tutto ciò che vie è di più vasto e di più intimo in noi e attorno a noi”, ibid., pp. 11-12

[45] Scrive Teilhard: “Tu, o Signore Gesù, ‘in cui tutte le cose trovano consistenza’, rivelaTi infine a coloro che Ti amano come l’Anima superiore ed il Focolaio fisico della Creazione. È in gioco la nostra vita: non lo vedi Tu? Se non potessi, io, credere che la tua Presenza reale anima, ammorbidisce, riscalda anche l’infima delle energie che mi invadono o mi sfiorano, non morirei forse di gelo?”, ibid., p. 14

[46] Ibid.

[47] Ibid., p. 16

[48] Ibid. Nel Cristico, ricorda King, “Teilhard parla ancora delle parole della Consacrazione come da applicare non solo al pane e al vino sacrificali ma, si noti, all’intera massa di gioie e sofferenze prodotte dalla Convergenza del Mondo nel suo progredire”. Thomas M. King, Teilhard’s Mass, cit., p. 32

[49] “Mi prostro, o Signore, dinanzi alla tua Presenza nell’Universo diventato ardente e, sotto le sembianze di tutto ciò che incontrerò, e di tutto ciò che mi accadrà, e di tutto ciò che realizzerò in questo giorno, io Ti desidero e Ti attendo”, ibid., p. 17

[50] “O Signore Gesù, accetto di essere posseduto da Te, legato all’inesprimibile potenza del tuo Corpo”, ibid.

[51] Ibid., p. 18

[52] Ibid., p. 19. Si possono qui ricordare tutte le controversie avanzate dalle autorità ecclesiastiche contro Teilhard negli anni ’20. Riguardo al “peccato originale, ad esempio, Teilhard vedeva la storia di Adamo ed Eva come una parabola della condizione umana e non come un resoconto storico delle origini umane, poiché l’umanità discendeva probabilmente da più di una singola coppia. Nessuno/a teologo/a oggi lo nega, ma il Magistero di quell’epoca reagì negativamente. Sottoscrivendo una dichiarazione in cui veniva dolorosamente costretto a riformulare alcune delle sue posizioni, egli scriveva: “Certo, credo che mi comunicherò con gioia profonda a questo piccolo calice, ma vorrei almeno essere certo che contenga il sangue di Cristo”. Cfr. Thomas M. King, Teilhard’s Mass, cit., p. 19. Scriveva altrove: “Senza alcuna amarezza e con ottimismo crescente, vedo (o credo di farlo) che il ‘nuovo Dio’ sorge sempre più gloriosamente all’orizzonte. Posso dire che questa è stata la gioia più profonda che abbia mai provato nella mia vita. Nunc dimttis. Come è triste che questa visione mi ponga in apparente conflitto con il Magistero! Speriamo che io muoia prima che accada una vera e propria rottura. Un simile evento causerebbe più danno che bene alla causa in cui credo tanto”. Lettera del 9 maggio 1951. Pierre Leroy, Letters from my friend Teilhard de Chardin, Paulist Press, Ramsey / New York 1980, p. 90

[53] Chauvet, The Sacraments, cit. p. 68

[54] “Come il nostro corpo, la nostra mente ha bisogno di due gambe per camminare diritto: segni e simboli”, Ibid., pp. 76-79, 83, 92

[55] Ibid., p. 85. Fra le molte caratteristiche di un simbolo, Chauvet enumera le quattro seguenti: 1) la simbolizzazione è un atto e non un’idea (p. 84); 2) ognuno degli elementi del simbolo è rilevante solo nella sua relazione con l’altro: preso da solo, indipendentemente dalla sua relazione ad un tutto, un simbolo regredisce verso l’immaginario (p. 84); 3) il simbolo non appartiene al dominio del valore o dell’utilità (p. 85); l’atto della simbolizzazione è allo stesso tempo “rivelatore” e “agente” (p. 85). Corsivo mio.

[56] Ibid. L’essere-Cristo di Gesù, per quanto dipendente essenzialmente da Dio, non è separabile dalla Chiesa. La funzione dei sacramenti è precisamente simboleggiare questo “matrimonio” indissolubile (ved Ef. 5,33): non si può parlare dell’uno senza l’altra (p. 86)

[57] Ibid., p. 88. I sacramenti sono gratuiti e donatori di grazia: come gratuita, la grazia non è qualcosa di dovuto, dipende dalla generosità di Dio, che prende da sé l’iniziativa; come donatrice di grazia, la grazia ha a che fare con la bellezza, con quel modo di essere piacevole che non può essere calcolato e quindi viene dato senza prezzo (p. 88). La grazia dei sacramenti non va intesa tanto come un “qualcosa” (sia pure spiritualizzato) quanto piuttosto come un processo di “riceversi” come figlia o figlio, come sorella o fratello in Cristo per mezzo dello Spirito (p. 89). Senza questa percezione, possono originarsi per la liturgia le seguenti deviazioni: il didatticismo teologico, l’estetismo dell’apparenza o l’ottusa ossessione del moralismo (p. 87).

[58] Ibid., p. 90

[59] Ibid., p. 97

[60] Ibid., p. 98

[61] Ibid., p. 100

[62] Ibid.

[63] Ibid., pp. 101-102

[64] Ibid., pp. 103-104. L’eccesso di separazione simbolica (prevalente nelle liturgie preconciliari) dava origine a liturgie ieratiche che, poco a poco, non parlava più ai partecipanti, se non per mezzo di una conservazione nostalgica del passato – col pericolo di rendere i partecipanti al culto del tutto passivi nel presente. La liturgia diventa così sclerotizzata. De-simbolizzata, vale a dire, esclusa dai valori rilevanti per i contemporanei e per il loro stile di vita – essa corre il rischio di favorire una relazione con Dio svuotata di qualsiasi aggancio alla storia attuale, ossia una relazione governata dall’immaginario. La tentazione inversa, la mancanza di separazione, deve anch’essa essere evitata, nonostante sia una reazione contro la frattura troppo radicale fra liturgia e vita o fra il Cristo celebrato e il Cristo che è “al centro della nostre vite”. Questa tentazione è pericolosa perché – nel volere avvicinare troppo la liturgia alla vita, si banalizzano il linguaggio, gli oggetti, i gesti e lo spazio del rito. È importante che la celebrazione rituale allontani i partecipanti da ciò che è immediatamente utile, per creare uno spazio di gratuità. La liturgia crea una disconnessione simbolica che pone l’assemblea in un altro mondo, non utilitaristico, creando simbolicamente spazio per Dio, uno spazio di gratuità in cui Dio possa venire e dimorare (pp. 104-106).

[65] Ibid., pp. 106-107. La natura conservatrice della liturgia è una della più grosse trappole per la fede cristiana, ma sostenere una mancanza di programmazione è non meno disastroso per la liturgia.

[66] Ibid., p. 108

[67] Ibid., pp. 110-111

[68] Ibid., pp. 111-113. Il rito è del tutto aperto al meglio come al peggio: deve essere evangelizzato. Il rito deve essere abitato dalla parola di Dio e dallo Spirito. Quindi, per evangelizzare i riti cristiani, dobbiamo tenere in conto alcuni valori della nostra società postmoderna, come democrazia e spirito critico.

[70] Marion, Credere per vedere, cit., pp. 193-202. Nell’originale francese: “Trois modèles s’offrent à la théologie pour penser rigoureusement, dans le sacrement, une continuité entre le visible et l’invisible en lui : la relation de la substance aux accidents, de la cause à l’effet et du signe au référent. Aucun d’entre eux ne peut, comme tel, assurer la cohérence phénoménale du sacrement… Pour définir la phénoménalité du sacrement, il faudrait concevoir qu’en lui l’invisible se traduise, se livre et s’abandonne dans le visible au point d’y apparaître en tant que l’invisible qu’il reste. (…) [A] partir du principe que rien ne se montre, qui d’abord ne se donne, un raisonnement par analogie devient-il possible et légitime, pourvu qu’il nous conduise à mieux concevoir ce que nous ne pourrons cependant jamais comprendre… Par analogie, la phénoménologie de la donation [démontre] une manifestation intrinsèque à la théologie, qui définit la personne même du Fils, de part en part ordonné à la manifestation du mystère éternel de Dieu dans l’Esprit. Le Christ se manifeste en tant que le Fils, à titre d’‘icône du Dieu invisible, premier-né de toute création’ (Col. 1,15). Icône, donc visibilité –de Dieu, donc de l’invisible, éternelle articulation du visible à l’invisible comme tel et qui le reste même dans sa manifestation… La phénoménalité de ce qui se donne s’étend à la donation de l’invisible, bref qualifie le sacrement comme un phénomène de plein droit, quoique par analogie, parce que ce qui se donne se donne jusqu’à la mort et la mort de la Croix, parce que celui qui le donne se donne absolument. Le Christ se donne assez pour que même la face invisible du Père puisse parmi nous se montrer.”

[71] Per mostrare l’aporia del dono, Marion si rifà alla tesi di Sant’Agostino secondo cui la fede verso cose che non possiamo vedere – come amicizia, benevolenza, volontà e soprattutto amore, non ne impedisce anche la conoscenza nel senso più stretto, poiché vi sono cose che conosciamo perfettamente benché non possano che rimanere invisibili ai nostro sensi fisici. Marion, Credere per vedere, cit., p. 229

[72] Pierre Teilhard de Chardin, Inno dell’Universo, cit., p. 22