Pierre Teilhard de Chardin e Gandhi di fronte alla non-violenza[1]
Juan María Parent Jacquemin (1933-2020) ha insegnato dal 1977 al 2002 discipline filosofiche e letterarie presso la Universidad Autónoma del Estadio de México, a Toluca.
Di fronte alle enormi ingiustizie che affliggono la maggioranza della popolazione mondiale e di fronte al fallimento, previsto o prevedibile, delle lotte violente scatenate nel corso del XX secolo, la voce e l’esempio di Gandhi ci fanno vibrare e rifiatare in vista di un nuovo cammino, quello della non-violenza attiva e militante. In questo articolo abbozziamo un confronto tra la figura di Gandhi e quella di Teilhard de Chardin: quest’ultimo non ebbe contatti con il Gandhi della non-violenza, ma la sua ricerca si indirizzò verso una direzione simile, come vedremo in seguito.
Trattare della non-violenza nel nostro ambiente può incontrare diverse difficoltà. La nuova verità contenuta in questa filosofia può essere avvertita ancora prima che venga espressa. Le prime espressioni hanno una forma difettosa. Ci possono attrarre, ma non sappiamo in quale direzione ci condurranno. Per lungo tempo andiamo a tentoni, ci scontriamo con molte realtà poco chiare, ci lasciamo catturare da diversi riflessi, prima di giungere allo splendore che ci guida con i suoi raggi.[2] Prendo questo riferimento da Teilhard de Chardin per iniziare questa lettura delle sue opere. Esso può applicarsi alla non-violenza, tema che mi avvicina al pensiero di Teilhard circa l’evoluzione. Non è difficile immaginare gli ostacoli che Teilhard dovette affrontare perché, come egli afferma, all’inizio qualsiasi idea o addirittura qualsiasi teoria scientifica è molto debole o semplicistica nelle sue esplicazioni. Un esempio che conferma questa affermazione si trova proprio in Gandhi che subì la stessa condizione sociopsicologica. La non-violenza gandhiana si è arricchita nei settanta o ottant’anni trascorsi dalla Marcia del sale[3], ad esempio. Oggi i riferimenti a Gandhi si rifanno più alla elevata rappresentatività della sua figura che alle tattiche da lui utilizzate. Di fatto, la pratica della non-violenza è stata portata avanti più da attivisti europei che indiani. La pratica della non-violenza, dopo la Seconda guerra mondiale, ha dato origine alla obiezione di coscienza e alla lotta antinucleare.
La nuova era nata così in Europa occidentale poggiava sul principio morale che si esprime in questa forma:
La violenza è rottura di controlli e di istituzioni, ma la sua assenza non è la non-violenza: può essere qualcosa di peggio, come il terrore e l’intimidazione.[4]
Questa nota iniziale elimina molte versione equivoche circa la non-violenza e la sua definizione, come azione rivolta alla giustizia e alla verità, e ci mostra quanto possiamo essere lontani da questa filosofia di vita. Ricavare dal pensiero di Teilhard idee che concordino con la non-violenza eleva il livello della discussione riguardo questa domanda: se questa visione del mondo sia compatibile con i nostri costumi, con il nostro ethos o no. La teoria dell’evoluzione di Teilhard è così un riferimento importante - nella sua iniziale eterodossia – per convalidare la teoria della non-violenza gandhiana. Ma, ci chiediamo, quando una teoria cresce fra altre che invece si esauriscono? In termini teilhardiani, parleremmo di un raggiungimento umano che si inserisce e completa la “sostanza umana”. L’idea si trova nel mondo scientifico o sociale, sorge in diversi punti contemporaneamente e queste incontri formano l’humus da cui la nuova idea raggiungerà il suo significato autentico, cioè si integra con il complesso delle conoscenze e dei procedimenti già confermati. Vediamo così quanto la non-violenza gandhiana sia stata superate e quanto la teoria teilhardiana dell’evoluzione sia stata convalidata nel corso degli anni.
Anche se Gandhi non si riferisce a Cristo allo stesso modo in cui lo fa Teilhard, è chiara la consonanza dei loro movimenti. La non-violenza è ricerca della verità che produce quella coesione sociale sulla quale Teilhard ha tanto insistito.
La grande affermazione iniziale di Teilhard de Chardin si concentra sulla generazione della complessità ricercata con ostinazione e richiesta “dall’evoluzione cosmica”. Ha cercato di squadernare l’estensione di questo impulso costante e progressivo, mostrando l’azione progressiva della “legge di complessità-coscienza” determinata dalla legge di cefalizzazione.[5] Questa legge di complessificazione[6] e di cefalizzazione si trova al cuore dell’opera del nostro autore. Questa tendenza ha ricevuto da lui anche il nome di “cristificazione”[7].
Marie-Joseph Pierre Teilhard de Chardin nacque a Sarcenat, Francia, nel 1881. Figlio di un proprietario agricolo appassionato di geologia, Teilhard si dedicò tanto a questa disciplina quanto agli studi impartiti nel collegio dei gesuiti al quale venne iscritto all’età di 10 anni. A 18 anni, entrò nel noviziato gesuita di Aix-en-Provence e svolse attività scientifiche, in qualità di geologo e paleontologo, dedicandosi anche allo studio di filosofia e teologia. A 24 anni, fu professore per tre mesi nel collegio gesuita del Cairo. Venne ordinato sacerdote nel 1911. Teilhard prese parte alla Prima guerra mondiale, nella quale scelse di svolgere l’attività di barelliere, invece di quella di cappellano. Il suo valore sul campo di battaglia gli valse una medaglia militare e la Legion d’Onore. Dopo la guerra, nel 1922, si laureò dottore in scienze. Svolse il suo insegnamento presso l’Istituto Cattolico di Parigi. Nel 1923, dopo l’attività docente presso l’Istituto, venne esiliato a Pechino per “difendere l’ortodossia minacciata dai suoi insegnamenti”, a parere dell’autorità ecclesiastica. Qui compì la sua prima missione paleontologica e geologica. Teilhard venne emarginato per la maggior parte della sua vita produttiva come scienziato perché le sue scoperte e gli studi che completavano il lavoro empirico lo condussero a studiare il fenomeno dell’evoluzione, teoria poco conosciuta della prima metà del XX secolo.
Durante il suo soggiorno a Pechino, partecipò alla scoperta della Grotta del cosiddetto “Uomo di Pechino” o sinantropo, e ampliò il campo di conoscenze circa i depositi sedimentari dell’Asia, le correlazioni stratigrafiche e la datazione dei fossili.
Rimase in Cina per tutta la durata del Seconda conflitto mondiale.
Di ritorno a Parigi, con una solida reputazione, influenzò la religione e la cultura francese e occidentale. Nel 1951 si stabilì a New York come membro della Fondazione per le Ricerche Antropologiche. Morì improvvisamente il giorno di Pasqua del 1955.
Una delle sue opere più rilevanti si intitola L’Ambiente divino (1926-1927). Quest’opera, rielaborata e corretta più volte, è il frutto di una meditazione personale. Nel testo pubblicato è evidente il suo amore verso il mondo senza perdere il contatto spirituale con la Chiesa. La meditazione sull’evoluzione si aggiunse alle sue ricerche e nel 1928 terminò il manoscritto della sua opera fondamentale Il fenomeno umano (1938-1940). In questo scritto il suo pensiero emerge con chiarezza. In esso presenta l’evoluzione come un processo non concluso. Teilhard coniò parole per indicare questa continuità: “cosmogenesi” per lo sviluppo di un mondo nel quale l’uomo ha un posto centrale; “noogenesi” per l’accrescimento della mente umana; ominizzazione e ultra-ominizzazione per le tappe della sua ominizzazione.
Il fenomeno umano, opera annunciata da tempo, venne proibita dalle autorità ecclesiastiche nel 1948. È stata tuttavia tradotta in più di venti lingue. È come una memoria scientifica che considera quello che lui chiama il fenomeno umano unendo abilmente l’analisi dei fatti scientifici con un tentativo di spiegazione che ricorre a ipotesi sempre più sintetizzatrici. Allo stesso modo Gandhi ampliò la sua coscienza del male e della verità fino a giungere alla visione assoluta dell’uomo come essere che si interroga sulla verità intesa come ricerca di Dio: “la diffusione della non-violenza è la missione della mia vita”.[8] dapprima gli Indù, poi gli Inglesi, infine il mondo intero per eliminare tutte le ingiustizie […]”.
Teilhard è famoso per la sua teoria secondo la quale l’uomo evolve mentalmente e socialmente verso un’unità spirituale finale. Avvicinando la scienza e il cristianesimo, afferma chela storia può essere descritta – nel migliore dei modi – come una Via Crucis. La possiamo comprendere alla luce del sacrificio redentore di Cristo. Alcune della sue teorie sono state oggetto di riserve ed obiezioni da parte della Chiesa cattolica romana, come abbiamo visto, e da parte dell’ordine gesuita, di cui era membro. Nel 1962 il Sant’Uffizio emanò un Monitum, un semplice avvertimento contro l’accettazione acritica delle sue idee. La sua dedizione spirituale non fu mai messa in questione.
Teilhard ritornò in Francia nel 1946. Non poté realizzare il suo desiderio di insegnare al Collège de France e pubblicare scritti di filosofia (tutte le sue opere maggiori furono pubblicate postume) e si trasferì negli Stati Uniti, trascorrendo gli ultimi anni della sua vita presso la Fondazione Wenner-Gren. Da qui partì per due spedizioni paleontologiche e archeologica nell’Africa del Sud.
Il paleontologo cattolico Teilhard de Chardin si chiedeva se, in un universo in espansione, il misticismo non avrebbe finito con l’abbattere i limiti dei culti angusti e della rigidità religiosa, e ancor più se questa evoluzione non ci avrebbe condotti verso un futuro ecumenico. Accanto a Teilhard troviamo in Julian Huxley uno dei maggiori rappresentanti della teoria e del concetto di evoluzione continua, secondo la quale tutto l’universo segue un processo di evoluzione, sotto diversi aspetti: fisico, biologico e sociale – la vita e la non vita possono essere comprese come parte di una processo di evoluzione cosmica: da qui derivano affermazioni metafisiche e implicazioni etiche. Teilhard de Chardin è l’altra mente rappresentativa di questo punto di vista. A suo giudizio, l’evoluzione cosmica è l’insieme degli strumenti messi in atto dalla religione cristocentrica per raggiungere la perfezione del tutto nel Punto Omega,[9] verso il quale muove l’evoluzione stessa. Ci troviamo così di fronte alla visione gandhiana orientata verso la verità che è Dio.
Per avvicinarsi maggiormente a Gandhi, precisiamo il senso del termine che lo stesso Mahatma ha coniato, di non-violenza. È un termine negativo, che inganna molti che non sono addentro questa filosofia, che richiede invece numerose definizioni e classificazioni; è invece proprio l’azione a descrivere meglio che cos’è la non-violenza: “La non-violenza è una filosofia di vita che tocca tutto l’universo, sia gli esseri inferiori sia i più nobili.”[10]
Dalla non-violenza come delicato strato di essere etico che avvolge tutta la vita, si passa alla non-violenza come habitus che dinamizza tutte le attività dell’uomo. Questa trasformazione dell’ethos è molto più visibile di qualunque cambiamento organico che avviene con l’azione o reazione non-violenta. La coscienza della non-violenza cresce nell’uomo che ne prende appunto coscienza e sfocia poi in una nuova soglia: la non-violenza è un modo di vivere e non solo una specie di tattica. L’orizzonte si apre senza limiti, davanti a questa coscienza illuminata. Movimento dall’istinto al pensiero, il messaggio di Gandhi continua vivo e spesso più attuale che mai. Con riferimento a Gandhi, la nostra esigenza è di far passare l’umanità da una cultura di guerra ad una cultura di non-violenza. “La non-violenza è una vera cultura, cioè uno sviluppo del senso critico, del gusto e del giudizio. La cultura della non-violenza prevede inoltre lo sviluppo dei saperi, delle leggi, dei costumi, dei modi di vivere, delle istituzioni sociali, delle scale inconsce dei valori, ovvero dell’ethos collettivo nella sua totalità.”[11]
Teilhard, come Gandhi, ci propone un atteggiamento, un punto di riferimento per il nostro pensiero: vere una visione del mondo che circonda più autentica; per questo:
la filosofia della non-violenza pretende di comprendere l’universale […] la sua visione abbraccia la totalità delle relazioni possibili fra gli esseri umani […] lascia aperta la porta che si apre verso il mistero dell’uomo.[12]
Gandhi è una luce nell’oscurità del nostro tempo, ci indica una rotta che è già in noi: il rifiuto dell’ingiustizia e della violenza. La non-violenza, intesa come metodo, ci conduce verso il culmine dalla umanizzazione prevista da Teilhard de Chardin. Sfortunatamente, l’enorme caos attorno a noi lascia supporre che la meta fissata dalla non-violenza si trovi ancora assai lontana. Lo abbiamo già detto, tutti gli inizi mostrano solo una pallida idea della realizzazione. Riflessione valida tanto per Teilhard e la sua evoluzione dell’uomo quanto per Gandhi nella sua ricerca della verità liberatrice.
Mahatma Gandhi e Sri Aurobindo[13], entrambi fondatori di una comunità spirituale, possono essere messi a confronto con il gesuita francese, paleontologo e teologo, poiché tutti costoro condividevano un’esperienza della coscienza cosmica e una profonda fede nell’evoluzione, entrambe dirette verso la divinizzazione dell’uomo, sia da prospettive religiose diverse.
Molti fra coloro che vivono in un contesto religioso puntano verso quella che i mistici chiamano quasi una rivoluzione in direzione di una vita più grande, una civilizzazione totale – la civilizzazione della coscienza. La necessità della sintesi pone questa condizione nel futuro:
L’Esito del Mondo, le porte dell’Avvenire, l’accesso al Super-umano, non si dischiudono in avanti per qualche privilegiato, o per un solo popolo eletto fra tutti i popoli. Non si apriranno che sotto la spinta di tutti insieme.[14]
Teilhard ritiene che lo sviluppo biologico raggiunto nell’uomo ci invita a considerare le altre evoluzioni psicologiche e sociali che tendono all’unità per cui l’amore è il fattore di maggior rilevanza. Gandhi si esprime negli stessi termini: “Se l’amore non è la legge del nostro essere, tutti il mio ragionamento andrebbe in pezzi”[15]. Non è pensabile una sensibilità più grande: il sostrato di queste due visioni e è l’unità sigillata nell’amore.
Non tutto quello che troviamo nell’insegnamento di Teilhard è accettabile e valido. I cristiani che confidano nella sapienza delle autorità si aiutano appoggiandosi ad esse, per trattenere ciò che può sussistere e individuare ciò che è già caduco.[16] Alcuni hanno criticato l’ottimismo ingenuo di Teilhard. Ad esempio, riferendosi alla bomba atomica, egli cadde nell’errore di coloro che pensano che armi di potenza maggiore possano impedire nuove guerre. Per fortuna, Teilhard riconobbe il suo errore e corresse la sua opinione nel 1947 comprendendo che – secondo quello schema – le guerre esisteranno sempre, e rivelandosi un sincero cercatore della pace.[17] “La pace può nascere fra gli uomini solo se scoprono di poter condividere con gli altri uomini la stessa verità e lo stesso bene”.[18] E così la stessa affermazione di Gandhi: “La via della pace è la via della verità. La scelta della verità è più importante anche della scelta della pace. Invero la menzogna è la madre della violenza”.[19] Purtroppo, gli intellettuali moderni si concentrano maggiormente su ciò che distingue gli uomini fra loro, sviluppando così l’egoismo e l’orgoglio che a loro volta sono il fondamento del razzismo e del nazionalismo. Una società in cui ciascun gruppo difende con gran forza il suo interesse particolare. Un’umanità che è costantemente sotto il pericolo della guerra. Questo eccesso di individualismo ci conduce alla dispersione e alla costituzione di masse umane. In esse non c’è interesse per il bene comune, mentre le non-violenza attiva promuove l’azione comunitaria in modo tale che le certezze sulle quali si fonda si possano fortificare.
Alla ricerca di un accostamento fra Gandhi e Teilhard, abbiamo considerato come l’etica apra uno spazio in cui entrambi si ritrovano pur partendo da diverse antropologie.
Javier Sicilia[20] afferma che, come nella parabola o come appare nell’Apocalisse, non troviamo la salvezza solamente in un altro mondo: essa chiama in causa questo mondo occupato dalla tecnologia, che egli chiama la bestia. Il modo di vivere tanto per l’uno, Teilhard, quanto per l’altro, Gandhi, porta con sé questo riconoscimento etico che si chiama “limite”, che noi ci poniamo quando, nel nostro amore per l’altro, riscopriamo il posto che Dio ha nelle nostre vite, e di fronte a questa pienezza, rinunciamo alle nostre possibilità di conoscere o di agire semplicemente in vista del piacere o del profitto. Questo limite, che possiamo considerare costitutivo della nuova etica, è una rinuncia: Gandhi col suo Ashram e Teilhard con la sua proposta del Punto Omega verso il quale tendiamo, rinunciando a quanto ci farebbe prospettare l’esito del nostro proposito.[21]
Questo amore di Dio ha trasfigurato tutte le attività umane, “i doveri del proprio stato, la ricerca della verità naturale, lo sviluppo dell’azione umana”.[22]
Il ritorno alla conocchia in Gandhi sembra essere la messa in pratica annunciata da Teilhard. Tutti i sistemi sapienziali, compreso quello di San Tommaso d’Aquino, richiamano la medietà, la proporzione. La scienza, nel suo significato originale, come era vissuto in altri secoli, è completamente diversa da ciò che oggi chiamiamo scienza.
L’etica che troviamo in Teilhard, come quella seguita da Gandhi, è un’etica della rinuncia o del limite autoimposto. Per Teilhard, significa specificatamente superare tutto quello che c’è nel mondo, e al tempo stesso, stimolare con convinzione e passione lo sviluppo di questo stesso mondo.
Sembra esserci qui un’apparente contraddizione, ma solo se pensiamo che questo impulso implichi la rinuncia a tutto quanto ci conduce nella corrente di Omega o della Satyagraha.[23] Questo mondo, per il quale impegniamo tutte le nostre energie, è composto da molti elementi oscuri e da altri altrettanto chiari; ci sono, agli estremi, le fiamme che uniscono nell’amore e il fuoco che corrompe nell’isolamento. Il processo completo da cui nasce gradualmente la Terra Nuova è una aggregazione accompagnata da una segregazione.
Anche Gandhi si esprime nello stesso senso: “Non vorrei vivere in questo mondo se ha da essere un mondo uno”.[24] La tendenza all’unità è un dato comune a queste correnti parallele sotto molti aspetti.
In entrambi i pensatori, troviamo la relazione fra mezzi e fini. Teilhard afferma che il valore dell’azione non sta solamente nella buona intenzione, ma anche nella “rettitudine oggettiva del suo termine”. Con parole gandhiane, l’albero si trova già nel seme. Vediamo anche la relazione con la verità, la ricerca della quale – secondo il Vangelo – ci condurrà alla luce (Gv 3,21). È questo un temi più importanti dell’Ambiente divino: l’etica contenuta in questi due messaggi che hanno segnato il pensiero occidentale spinge verso una conquista morale caratterizzata dallo sforzo e dal rischio.[25]
L’immagine proposta da Teilhard ci rivela il frutto della sua indagine antropologica: mostra quanto l’embrione sia fragile e di conseguenza difficile da decifrare. Perciò non troviamo nei germogli la qualità dell’essere alla sua nascita, ma solo alla fioritura. Osservati alla loro sorgente, i più grandi fiumi che non sono che sottili ruscelli.[26]
Con linguaggio più sintetico, Gandhi presenta la stessa riflessione allorché afferma che lo sforzo verso la giustizia e la verità si riconosce di mezzi utilizzati e non da un fine di cui sappiamo poco. “Si dice che i mezzi in fin dei conti sono mezzi. Io vorrei dire: i mezzi in fin dei conti sono tutto”.[27]
Questa lotta – per la via scientifica in uno e per la via sociale e politica nell’altro, si basa sulla fede solida e nell’avvenire dell’umanità. È nostro compito mettere in luce questa fede e se necessario consolidarla.
Nel linguaggio teologico[28] di Teilhard, questa evoluzione come progresso dell’umanità si risolve nel Cristo totale; infatti “tutte le creature gemono nelle doglie del parto”.[29]
La teoria teilhardiana dell’evoluzione apre un altro spazio in cui ritroviamo Gandhi: lo sviluppo umano.
Tanto la non-violenza gandhiana quanto l’evoluzione teilhardiana si concentrano sullo sviluppo umano. Teilhard suggerisce: “Bisogna superare questa insensibilità che tende ad occultarci le cose a mano a mano che diventano troppo vicine e troppo grandi”.[30] Questa riflessione, valevole per l’evoluzione biologica, è legittima anche per l’etica, allorché l’ingiustizia più vicina alla nostra visione si nasconde nell’autoinganno. La crescita umana può sembrare passiva per la cultura indiana; questa idea è stata certamente superata da Gandhi, che ha inserito in essa un dinamismo, una lotta, rispondendo con l’azione.
Affermazione particolarmente significativa nella non-violenza attiva, che nella mente di Gandhi e nelle sue proposte politiche e sociali diventa azione per la giustizia.
Troviamo qui una critica ai movimenti non-violenti, avanzata da coloro che non conoscono questa filosofia di vita, né le sue strategie e tattiche e che senza mezzi termini condannano la non-violenza per essere, dicono, strettamente legata alla mentalità indiana innervata di passività. Gandhi conosceva questa passività e per questo seppe aiutare i suoi conterranei ad opporsi alle loro tradizioni e modi di pensare.
Il fine dello sviluppo umano sarà la nostra sottomissione al Corpo di Cristo. La ricerca dell’unità nel pensiero non-violento è una strategia del militante di questa filosofia di vita. Teilhard lo afferma dal suo punto di vista scientifico ed evoluzionista. Questo incontro delle forze cosmiche verso il Punto Omega fa capire che gli uomini cercano o cercheranno o dovranno cercare l’unione fra di loro attorno ad una conoscenza o una simpatia che ci conduca ad essere un solo cuore e una sola anima – avendo comunque chiaro che, senza la presenza attiva di Dio, difficilmente questo processo si compirà.
Nel pensiero di Teilhard, lo spettacolo del mondo costituito da miliardi di galassie talvolta lascia l’osservatore frastornato nelle sue credenze circa il male o Dio. Questa metafora può essere applicata con la stessa intensità alla visione sostenuta da Helder Cámara all’interno della corrente non-violenta di opposizione alle ingiustizie della nostra società, con riferimento alla spirale delle non-violenza da lui descritta.[31] Oggi parliamo di una banalizzazione del male proveniente dal predominio della violenza in tutte le sfere della vita.
La coscienza, nella cosmologia di Teilhard, è in continuo sviluppo, senza limiti in nessuna delle estremità, in alto o in basso. È impossibile arrestarsi nel processo di sviluppo o evoluzione, perché qualunque conoscenza ottenuta è il principio di una nuova visione che include tutte le altre e ci conduce più lontano. Se osserviamo la dinamica gandhiana, troviamo che questa riflessione acquisisce valore e senso nella filosofia della non-violenza attiva, in quanto ci educa alla vita interiore affiancata dall’azione esteriore.[32]
Questo punto estremo di sviluppo, che Teilhard chiama Punto Omega, ha quattro attributi: l’autonomia che è la prima meta conseguita dalla non-violenza. Saremo non-violenti, cioè attivi nella lotta per la verità e la giustizia, quando saremo pienamente autonomi. Portare i bambini all’autonomia è la prima meta di qualsiasi educazione, e specificatamente dell’educazione alla non-violenza attiva e militante. In secondo luogo, troviamo l’attualità dell’azione non-violenta: essa non aspetta il domani, si interessa di come vivere il momento attuale. Il terzo attributo è la irreversibilità. La figura di Gandhi è credibile per come ha seguito il cammino intrapreso senza mai abbandonarlo. Infine, entrambi i pensatori ci proiettano verso la trascendenza.[33] Teilhard morì il giorno di Pasqua, trascendenza della morte e della risurrezione, Gandhi morì esalando il nome di Dio (Râma)
In molte occasioni, Gandhi si è trovato di fronte ad una alternativa: da una parte, la fede nel metodo e nell’obiettivo perseguito, dall’altra, la richiesta di prudenza, spesso malintesa, da parte dei suoi alleati. Questa difficoltà morale – che tutti i leader affrontano – crea nel combattente sociale il dubbio circa la validità della propria azione. Teilhard si è trovato di fronte allo stesso ostacolo. Parla dell’amore umano e delle via adottate dagli uomini per la sua realizzazione. La coppia umana ne è il modello, ma a sua volta corre il rischio della chiusura su se stessa. Teilhard afferma di aver scelto la via della “convergenza verso l’alto”, ossia l’incontro con l’altro in un movimento ascendente. Il Piccolo principe[34] dice: “amare è guardare nella stessa direzione”. E Teilhard: “In questa strada della convergenza in alto ho trovato – beninteso - dei momenti difficili. Non me ne sono mai sentito sminuito né perduto”.[35] A suo giudizio, la prudenza consiste nel dirigersi verso Omega e non tenere le possibili deviazioni. Sa riconoscere che siamo esseri umani e che la nostra lotta non è sempre limpida. Si purifica con il tempo e con l’azione. Come nell’ambito planetario, le forze esterne all’uomo o all’umanità ci preparano in vista di una totalizzazione e dello sviluppo delle energie interiori di spiritualizzazione. Di nuovo, per parte sua, l’azione gandhiana è alimentata dallo spirito e, allo stesso tempo, al di là della sua dimensione politica o sociale, conduce i suoi seguaci alla piena spiritualizzazione. Questa spiritualizzazione è costituita da ragione ed emozione e l’essere umano è anche istinto. La sapienza, di conseguenza, corrisponde nell’attribuire a ciascuna di queste facoltà il posto che le compete. La ragione non soffoca l’emozione, non reprime l’istinto, il discorso speculativo non perde il contatto con l’intuizione. Questa visione antropologica alimenta il pensiero che guida la non-violenza: l’unità di tutte le componenti dell’essere umano. La separazione da noi introdotta fra queste tre facoltà è puramente teorica, serve solo a facilitare la conoscenza dell’uomo. In realtà esse si pongono in relazione a causa della medesima natura composta dell’essere umano, individuo, cioè unito in se stesso e separato dagli altri.[36]
A partire da questa concezione dell’uomo, vediamo come per Teilhard l’umanità si sviluppi “verso stati di coscienza individuale e collettiva più elevati”. Questi stati di coscienza non hanno riguardato soltanto la ragione. Teilhard considera l’uomo nella sua pienezza, grazie alla sua visione peculiare nata dall’osservazione di ciò che ci ha preceduto. Ci indica così una meta comparabile con l’obiettivo svelatoci dell’azione gandhiana: l’integrazione dell’essere umano.
L’uomo, osservato da Teilhard, si è evoluto, senza mai al contempo retrocedere, verso stati di organizzazione e di coscienza. L’azione non-violenta è allo stesso modo un movimento permanente verso la vita comunitaria da cui prende forma la meta di organizzazione e coscienza. L’amore comunitario ha infatti come caratteristica il discernimento che comunemente è identificato con la ragione. Nella vita comunitaria, torniamo a costruire come esseri pienamente unificati.
Questo sviluppo – tanto umano quanto del vivente – che ci avvolge deve convergere nella giustizia e nella verità, dice Gandhi. Teilhard si spinge oltre e allarga i limiti di una visione etica e politica affinché possiamo elaborare un processo più onto-teologico: lo sviluppo è - a suo giudizio e come compito dell’uomo – mettere in atto la convergenza verso il Punto Omega.
Teilhard ci domanda, come fece Gandhi più volte pubblicamente: la vita che ci ha creato può essere spinta più lontano? La non-violenza attiva non si limita ad azioni singole ma si colloca nel grande sforzo della umanizzazione.[37]
Questo movimento verso la giustizia, la verità, o verso il Punto Omega, crea una speranza per il futuro – non è una dinamica per i pusillanimi o gli scettici, ancor meno per i pessimisti o i tristi, gli affaticati o gli immobilisti: la vita è movimento.[38] “Il mondo deve convertirsi nella sua massa[39], oppure perirà, per necessità fisiologica. E se si convertirà, ciò sarà per convergenza attorno ad una religione dell’azione”.[40] Lo stesso Teilhard, nella sua visione del progresso dell’umanità, ci interpella: “ci hanno parlato troppo di agnelli. Mi piacerebbe vedere un po’ uscire i leoni. Troppa dolcezza e non abbastanza forza.”[41]
Teilhard parla di un terzo “capitolo” della storia umana, del passo della riflessione (vale a dire, la coscienza) e della nascita della noosfera[42]. Possiamo, senza forzare il suo pensiero, applicarlo al nuovo modo della non-violenza. E l’idea si ripeterebbe: dalla nascita della sfera della non-violenza per sfociare in un quarto passo che è il luogo e l’ambito del pensiero in tutto l’universo.
L’obiettivo perseguito dai non-violenti si può riconoscere in questa affermazione di Teilhard, allorché – parlando della sua strategia – ci dice che la non-violenza è azione. La meta di questa azione, nel pensiero di Teilhard come in quello di Gandhi, è la comunità degli esseri umani. Teilhard lo osserva nei suoi studi sul passato dell’umanità e ci mostra come la tendenza di questa evoluzione è quella di avvicinarsi e di socializzare “come gli atomi di un corpo solido si cristallizzano”.
La comunità auspicata dai due pensatori trova il suo senso nell’unità della biosfera che riduce la pluralità; e, a causa della rivalità dell’esistenza individuale, questa unità è in questo momento (dello sviluppo umano) sospinta verso la dispersione: siamo in una fase caotica, ma chiara a sufficienza per riconoscere che il mondo attuale, nonostante i mali che cadono sotto i nostri occhi (guerre, violenze, ingiustizie) ha un senso definito verso l’unità ricercata dalla specie umana, la meno autonoma, la più interdipendente dell’universo. “Abbiamo bisogno l’uno dell’altro: a partire da questa semplice constatazione, possiamo costruire una cultura della non-violenza”.[43] Questa tendenza all’unione rende attraente, da un punto di vista religioso, il panteismo, per cui questo tipo di unione sembra essere il risultato finale della ricerca di unione sulla terra. Una religione apparentemente senza Dio, è stato detto, ma comunque una religione, tanto da dare la vita per essa. Teilhard respinge questa fede non accettata dal cristianesimo (ragione per la quale Gandhi non si considerava all’interno del cristianesimo), mostrando che questa unione sarebbe soltanto una fusione: in essa noi veniamo dissolti per essere assorbiti da Dio. Nel cristianesimo, al contrario, il nostro Dio ci spinge verso la differenziazione e la personalizzazione di tutto quanto si unisce a Dio. Questo oggetto di riflessione obbliga i lottatori della non-violenza a sapersi collocare chiaramente fra queste due filosofie: quella di Gandhi e del suo mondo indù e quella del mondo occidentale. Notiamo come i valori della non-violenza sono stati studiati ed insegnati di più nel mondo occidentale che in India, dopo la morte di Gandhi. Ciò significa che possiamo trovare in questa filosofia di vita tutti gli elementi concordanti con la nostra teologia. Prendiamo dagli studi di Teilhard in esempio di questa tendenza all’unità presente nella biosfera. Egli ci dice che i metazoi si associano in modo misteriosi e sembrano tentare, a volte con successo, la formazione di unità ipercomplesse.
“L’ultima parte di questo volume sarà dedicata allo studio di questa forma finale e suprema di raggruppamento in cui forse culmina, nel Sociale autoconsapevole, lo sforzo della Materia per organizzarsi”.[44]
Gandhi, senza riferirsi esplicitamente a Teilhard[45] che certamente non conosceva in modo approfondito - pur essendo contemporanei – afferma che, allo stesso modo in cui esiste questa forza di coesione tra gli esseri animati, deve esistere questa stessa forza chiamata amore.
Il tema dell’unione e dell’amore riguarda, come vedremo, entrambi i pensatori. Gandhi lo radicò molto profondamente nell’humus indiano. La resistenza passiva caratteristica del suo popolo e oggetto di fraintendimento da parte degli osservatori della non-violenza, si trasformò in Satyâgraha, e si unì alla profonda ricerca dell’essere e della verità presente nelle Upanishad. Chiamata “forza dell’anima” si trasformerà poi in Ahimsa o Non-violenza.[46]
È possibile, afferma Teilhard, che il cervello umano abbia raggiunto il suo massimo sviluppo di complessità fisico-chimica permesso dalle leggi della materia. Tuttavia, se andiamo al di là del livello individuale contenuto in queste leggi e ci volgiamo in direzione della organizzazione collettiva, possiamo riconoscere come stiamo soltanto cominciando ad entrare in essa. E Teilhard, con ottimismo, considera illimitato questo avvenire. Poiché questo sviluppo non può distaccarsi dal corpo, ciò significa molto per l’azione gandhiana, perché la difesa e la promozione dei diritti umani si esplicano nel corpo. Riflessione un po’ estranea in un ambiente, come l’India, in cui la religione insegna che occorre liberarsi del corpo per raggiungere il pieno compimento. Come Gandhi, Teilhard ci invita a far uscire dal corpo tutto quanto di potenza spirituale contiene. Se la visione di Gandhi e in generale della non-violenza si limita al potere del nostro corpo fisico, con Teilhard ci apriamo al corpo cosmico, creato in noi da una Weltstoff in continua evoluzione. Il cristianesimo apporta infine il fattore resurrezione, che offre al corpo il suo senso definitivo, ciò che invece non compare in Gandhi, che credeva nella reincarnazione come altra modalità di realizzazione per mezzo delle varie tappe di questo continuo rinascere.
Questo corpo, diverso l’uno dall’altro, si adegua alla forma dei suoi simili così che la forza vitale presente in ogni individuo non si espande in modo uniforme, con tutti simili fra di loro, ma si suddivide e crea un mondo di tonalità differenti. Questo concetto teilhardiano è ripreso indirettamente dalla non-violenza, perché rispetta le caratteristiche di ciascun individuo e promuove un’azione collettiva. La non-violenza è allo stesso tempo irradiazione e approfondimento, e Teilhard ci spiega che
“Per il solo fatto di sdoppiarsi, e poiché nulla può impedirle di sdoppiarsi continuamente, la Vita possiede una forza di espansione altrettanto irresistibile di quella di un corpo che si dilata o si trasforma in vapore”.[47]
Questa espansione è pensata da Teilhard come il dispiegarsi della noosfera ed è osservabile da coloro che sanno vedere tutta la preistoria e la tutta la storia umana.
Nel vivente non vediamo nessun limite a questa espansione. Di conseguenza non c’è alcuna ragione di abbandonare lo sforzo verso la pace e la non-violenza. “Una volta, essere rassegnati poteva significare l’accettazione passiva delle condizioni attuali dell’universo”:[48] questa affermazione di Teilhard si inserisce nel cammino della non-violenza che non si rassegna mai perché crede nel successo di questa lotta per la giustizia e la verità.
Come conclusione, sottolineiamo l’apporto di questi due pensatori, protagonisti del XX secolo. L’essenziale, cioè ciò che fa sì che una cosa sia quella cosa e non un’altra, è la via dell’Amore, che troviamo in entrambi con la stessa intensità. L’amore in Teilhard è la prova dell’evoluzione che ci attende, in Gandhi è la ragion d’essere di ogni azione che conduca alla Verità.
In secondo luogo, Teilhard ci offre la visione del futuro comunitario quale livello massimo d’evoluzione e Gandhi, senza elaborare una teoria, sviluppa l’ashram (comunità) e il concetto di swaraj, autonomia sociale che diventa un’esigenza di uomini e donne che vogliono il rispetto della propria dignità.
Una terza somiglianza è data dalla loro fede religiosa che rafforzava le loro affermazioni. È stato detto che Teilhard era un apologista, a causa del suo impegno per avvicinare la fede e la scienza in un’epoca di forti contrasti in Europa. Gandhi non si batté per la sua fede indù ma si rifaceva ad essa e la viveva intensamente; la sua lettura continua del Gîtâ rende evidente la sua relazione con la religione.
Henri Stern ha scritto una bella frase che può essere applicata ad entrambi i pensatori: “Si tratta sempre di controllare il proprio destino, invece di esserne vittima”.[49] Teilhard ci spinge infatti verso il Punto Omega che può essere Cristo risorto, come Gandhi ci conduce verso la verità “che è Dio”.[50]
Riassumendo, Teilhard e Gandhi camminano verso l’unità, che consiste in una convergenza che oggi è convergenza culturale e il suo orientamento è l’ascesa dell’umanità verso il Punto Omega in Teilhard, la Verità in Gandhi.
L’essere umano si trova al centro delle loro riflessioni e delle loro azioni. Teilhard ci ricorda che l’evoluzione è avvenuta riducendo ogni volta il proprio campo d’azione, così che alla fine è solo l’uomo che crea ed evolve in unità psicosociali che a loro volta si aggregano in un solo gruppo culturale.
[1] Originale “Pierre Teilhard de Chardin y Gandhi ante la no-violencia”, in Ciencia ergo sum 15 (marzo-junio 2008) 1, 91-99. Traduzione di Franco Bisio
[2] Pierre Teilhard de Chardin, La visione del passato, Jaca Book, Milano 2016, p. 1
[3] La Marcia del sale iniziò alle 6,30 del 12 marzo 1930.
[4] Edgar Morin, “Inventer une nouvelle politique”, Alternatives non-violentes 24-25 (1977) p. 30
[5] Cefalizzazione: termine creato da Teilhard. Indica lo sviluppo del cervello, futuro dell’umanità proposto da Teilhard
[6] L’avanzata dell’umanità ci porta ad una maggiore complessità
[7] La Cristificazione è la realizzazione dell’uomo in Cristo
[8] Mohandas Gandhi, Harijan, 7 luglio 1940
[9] Si può discutere a lungo circa il significato esatto del concetto di “Punto Omega”, perché Teilhard non ha dato una spiegazione definitiva del suo significato.
[10] Suzanne Lassier, Gandhi et la non-violence, Seuil, Paris 1970, p. 143
[11] Bernard Quelquejeu, “Peut-on parler de culture de la non-violence?”, ANV 109 (1999) p. 6
[12] Jean-Marie Müller, El coraje de la no-violencia, Sal Terrae, Santander 2004, p. 132
[13] Sri Aurobindo, rivoluzionario e yogi, lottò per l’indipendenza dell’India, ma la sua vocazione era più interiore. Scrisse, come Gandhi, sulla verità, verso una coscienza oltrementale, un nuovo ciclo di vita.
[14] Pierre Teilhard de Chardin, Il fenomeno umano, Queriniana, Brescia 1995, p. 228
[15] Mohandas Gandhi, La forza della verità – I, Sonda, Torino 1991, p. 121
[16] Cfr. Henri-Irenée Marrou, “Pierre Teilhard de Chardin”, in Témoignage chrétien 22 avril 1955
[17] Cfr. Pierre Teilhard de Chardin, L’avvenire dell’uomo, Jaca Book, Milano 2011, pp. 125-130
[18] Jean-Marie Müller, cit., p. 153
[19] Mohandas Gandhi, in Young India, 20 maggio 1926, p. 154
[20] Poeta messicano, fondatore e direttore della rivista Ixtus, sfortunatamente oggi non più pubblicata.
[21] Cfr. Javier Sicilia, “La bestia apocalíptica y la tecnología”, Ixtus 29 (2000), p. 35b
[22] Pierre Teilhard de Chardin, L’ambiente divino, Queriniana, Brescia 1994, p. 28
[23] Forza che nasce dalla verità o forza della verità, o anche forza dell’amore
[24] Mohandas Gandhi, Antiche come le montagne, Mondadori Milano 1987
[25] Cfr. Pierre Teilhard de Chardin, Le direzioni dell’avvenire, SEI, Torino 1996, p. 36
[26] Cfr. Pierre Teilhard de Chardin, Il fenomeno umano, cit., p. 177
[27] Mohandas Gandhi, Antiche come le montagne, cit. p. 115
[28] È stato detto che Teilhard non era un teologo, in parte per sminuire la forza delle sue argomentazioni. In effetti non si è dedicato alla teologia, ma possedeva tutti i fondamenti necessari per parlare di religione in termini accettabili.
[29] Cfr. Pierre Teilhard de Chardin, La mia fede, Queriniana, Brescia 1993, p. 75
[30] Pierre Teilhard de Chardin, L’ambiente divino, cit., p. 34
[31] Cfr. Pierre Teilhard de Chardin, Il fenomeno umano, cit., p. 212
[32] Cfr. ibid., p. 215
[33] Cfr. ibid., p. 277
[34] Mi riferisco al libro di Saint-Exupéry
[35] Pierre Teilhard de Chardin, Le direzioni dell’avvenire, cit. p. 103
[36] Jean-Marie Müller, cit., p. 75
[37] Cfr. Pierre Teilhard de Chardin, La visione del passato, cit., p. 166
[38] Cfr. Pierre Teilhard de Chardin, L’avvenire dell’uomo, cit. p. 54
[39] Occorre prestare attenzione nell’uso di questo termine. Gli esseri umani, quando non sono coscienti di sé, formano una massa; quando prendono coscienza della propria individualità formano una comunità. Anche se questa definizione non è riferita alla filosofia di Teilhard, possiamo accettarla per comprendere meglio il suo pensiero (vedi anche Mounier per queste definizioni).
[40] Pierre Teilhard de Chardin, La scienza di fronte a Cristo, Il Segno dei Gabrielli Editori, Verona 2002, p. 140
[41] Pierre Teilhard de Chardin, La mia fede, cit., p. 92
[42] Il concetto di noosfera per Teilhard indica lo spazio virtuale nel quale avviene la nascita della psiche (noogenesi), un luogo in cui accadono tutti i fenomeni (patologici e normali) del pensiero e dell’intelligenza)
[43] C.N. Powel, “Èducation à la non-violence”, Alternatives non-violentes 109 (1999), p. 47
[44] Pierre Teilhard de Chardin, Il fenomeno umano, cit., p. 101
[45] Teilhard non concordava con la lotta di Gandhi e concretamente criticò il ritorno alla conocchia che, a suo parere, andava contro il movimento scientifico (o tecnologico?) del mondo, movimento in cui credeva molto e fu causa della sue disavventure con la Chiesa.
[46] Suzanne Lassier, Gandhi et la non-violence, cit., p. 56
[47] Pierre Teilhard de Chardin, Il fenomeno umano, cit., p. 99
[48] Pierre Teilhard de Chardin, La mia fede, cit., p. 94
[49] Henri Stern, Preceptos de vida de Mahatma Gandhi, Châtelet, Paris 1998, p. 22
[50] Mohandas Gandhi, Harijan, cit.