Piccolo viaggio nella complessità con Teilhard de Chardin

Gérard Donnadieu

Presidente Onorario dell'Associazione degli Amici di Teilhard de Chardin

Professore di Teologia fondamentale all' Ecole Cathédrale

(Collège des Bernardins)

 

La scoperta della straordinaria complessità del mondo che ci circonda sarà considerata la grande avventura intellettuale della fine del XX° secolo. Complessità del cosmo, degli organismi viventi, delle società umane, ma anche di tutti quei sistemi artificiali concepiti dagli uomini e che sono, come l’impresa industriale o commerciale ad esempio, nello stesso tempo di natura (fattura) tecnica, organizzativa, economica e sociale. Il fenomeno della globalizzazione degli scambi, siano essi commerciali, finanziari o culturali, non fa che accelerare questa presa di coscienza della complessità e accentuarne gli effetti.

Certo, la complessità è sempre esistita, anche se la percepiamo solo di recente. A lungo,   nella loro ricerca di conoscenza e di sapienza, gli uomini hanno cercato delle spiegazioni semplici e logiche al rigoglio esuberante del mondo. All’inizio questo fu il programma della filosofia, poi, nell’età moderna, quello della scienza positiva, fondata sul metodo cartesiano e caratterizzata dal tentativo di riduzione della complessità ai suoi componenti elementari. Metodo straordinario del resto, poiché è all’origine dei grandi progressi realizzati dalla scienza nel corso del XIX e XX secolo.

Tuttavia questo metodo, perfetto per lo studio dei sistemi semplici, costituiti da un numero limitato di elementi con interazioni lineari (cioè che possono essere descritte da leggi matematiche continue e additive) non va più bene quando si prende in considerazione la complessità organizzata, quale la si incontra nei grandi sistemi biologici, economici e sociali. Si richiede allora un altro approccio, basato su nuove rappresentazioni della realtà che tengano conto dell’instabilità, dell’apertura, della fluttuazione, del caos, del disordine, dell’indefinitezza, della creatività, della contraddizione, dell’ambiguità, del paradosso.

Questo nuovo modo di vedere il mondo ha un nome: approccio sistemico. Nato negli Stati Uniti all’inizio degli anni ‘50, conosciuto e praticato in Europa a partire dagli anni ‘70, questo approccio apre una strada originale e promettente alla ricerca e alla pratica. Il procedimento ha dato luogo già a numerose applicazioni sia in biologia che in ecologia o in economia, nelle terapie familiari, nel management delle imprese, nell’urbanistica, la sistemazione del territorio ecc. Si basa sull’apprendimento pratico (concreto) di un certo numero di concetti quali: sistema, interazione, retroazione, regolazione, organizzazione, finalità, visione globale, evoluzione ecc. Si concretizza nella formulazione di modelli che utilizzano ampiamente il linguaggio grafico e vanno dall’elaborazione di modelli quantitativi, in forma di “carte”, alla costruzione di modelli dinamici e quantificati, che operano su computer e si risolvono in simulazioni.

Nuovo discorso del metodo, altro atteggiamento dello spirito, educazione dello sguardo e dell’intelligenza, l’approccio sistemico ha dato luogo già a un gran numero di lavori. Alcuni sono molto teorici, a volte al limite della filosofia o delle matematiche; altri invece riguardano un particolare campo (le terapie familiari per esempio) e pretendono di essere assolutamente pratici. Anch’io, nel 2004, ho pubblicato con un amico un lavoro di sintesi[1] che voleva essere rigoroso, perché non trascurava i concetti e le teorie, e nello stesso tempo operativo perché era illustrato da numerose applicazioni prese dagli ambiti più diversi (management, economia, biologia, etnologia, psico-sociologia ecc.)

 

Prima parte: la sfida della complessità

“Il nostro problema è la complessità”, ha scritto il filosofo della scienza  Michel Serres,[2]  cercando di enunciare le caratteristiche del pensiero occidentale in questa svolta di millennio. E aggiungeva:” Essa caratterizza uno stato, un sistema in cui il numero degli elementi e quello dei collegamenti interattivi è immensamente grande o inaccessibile. Così di qualsiasi cosa del mondo, così dei sistemi del mondo, così di un qualsiasi luogo del sapere, così dell’enciclopedia e del linguaggio, così dei nostri gruppi e delle nostre società,  dell’economia, così di quella molteplicità spazio-temporale  in trasformazione, e che senza dubbio è di gran lunga la più complessa, che chiamiamo ‘storia’.”

Il termine “complesso” viene dal latino complexus, da un verbo che significa abbracciare, inglobare. La complessità caratterizzerà dunque il procedimento di un osservatore che cercasse di abbracciare un più o meno gran numero di elementi di diverse specie che formano un tutto. Ma Edgar Morin osserva che esiste anche un’altra etimologia che porterebbe al significato “tessere insieme”. All’interno di quel tutto allora, l’accento andrebbe messo sull’interazione (legame, relazione, scambio, comunicazione...) fra i componenti.

Globalità e interazione, ecco già due grandi caratteristiche che troviamo ogni volta che ci confrontiamo con la complessità. Questa complessità nasce continuamente dai vari oggetti e dalle varie situazioni che incontriamo sulla nostra strada e che indichiamo col termine generico di  ciò che è osservabile.

 

  1. La nozione di complessità

Come osserva Henri Atlan:[3] “...il senso della complessità nasce immediatamente quando incontriamo un gran numero di elementi costitutivi diversi”. Si può misurare dalla varietà, nel senso del matematico e biologo Ross  Ashby, cioè dal numero di configurazioni diverse che possono essere create dagli elementi che formano il sistema.

Diamone subito due esempi:

 

    1.   Collocare i partecipanti attorno al tavolo di una riunione

 Se la collocazione è completamente libera e risulta solo dal caso, le configurazioni possibili per N partecipanti corrispondono agli scambi di N oggetti, ossia un numero totale dato da N! (funzione fattoriale definita da N!=1x2x3.....x N). Questo numero, chiamato varietà prende prestissimo valori molto alti. Così, solo per 10 partecipanti ci sono circa 4 milioni di possibili configurazioni.

Naturalmente è un caso eccezionale che la collocazione sia completamente libera. Dei posti possono essere riservati in anticipo al presidente della sessione, al segretario, ai più importanti fra gli intervenuti; due partecipanti che vengono dallo stesso ufficio si metteranno spontaneamente vicini ecc. Ci sono dunque delle regolarità all’interno del sistema, alcune disposizioni essendo vietate, altre obbligatorie. Queste regolarità permettono di riconoscere nella riunione una forma stabile molto marcata (riunione d’informazione, di scambio, di brainstorming ecc.) e non un semplice magma. Per indicare queste regolarità parleremo di ridondanza (secondo un preciso significato che sarà definito più in là).  La ridondanza interviene dunque per limitare il numero di configurazioni teoricamente possibili, cioè la varietà. Al limite, se è possibile una sola configurazione, la ridondanza è massima e la varietà rimanente è nulla.

 

    1.    Funzionamento di una rete di attori[4]

Consideriamo ora un’interazione molto più complessa di quella della semplice vicinanza dell’esempio precedente. Si tratta dell’influenza che un attore può esercitare su un altro attore.  A priori, e per due attori, A e B, sono possibili soltanto quattro configurazioni:

                    A influenza B

                    B influenza A

                     A e B s’influenzano reciprocamente

                     A e B non esercitano nessuna influenza l’uno sull’altro.

Se però il numero di attori cresce, il numero delle possibili configurazioni assume prestissimo un valore astronomico. Per N attori, la formula matematica che dà il numero C di configurazioni è C= 2N(N-1). Se N= 20, otteniamo C >1080, cioè l’ordine di grandezza del numero di particelle elementari contenute in tutto l’universo. Anche qui l’esistenza di ridondanza nelle rete ridurrà la varietà....ma resta sempre un margine considerevole.

 

    1. Riepilogo

A partire da questi due esempi, si può trarne una teoria e cercare di dirne qualcosa di più? Riassumiamo l’analisi proposta da Henri Atlan[5] che si basava su lavori precedenti.

In primo luogo, i due esempi, e in particolare il secondo, mettono in evidenza che la varietà risulta molto più dalla combinazione e dalla ricchezza delle relazioni fra gli elementi che dal numero degli elementi stessi. Per misurarla Ross Ashby ha proposto la formula:

 

                                    V: varietà

   V =  log C                C: numero di configurazioni che il sistema può

                                    assumere

                                    log: logaritmo a base 2

 

La ridondanza, misurata da R viene poi a limitare questa varietà, poiché alcune configurazioni sono vietate o imposte in forma ripetitiva.

La varietà residua che,  in un certo senso,  può essere considerata un primo approccio alla complessità del sistema, è fornita allora dalla formula di Atlan:

 

                                                 H = V (1- R)

 

Se la ridondanza è massima (cioè R= 1), H = 0 e il sistema è perfettamente conosciuto. Non presenta all’osservatore nessuna complessità. Non si può dire, per questo, che sia semplice, può essere anche molto complicato. Non bisogna confondere infatti complessità e complicazione. Quest’ultima può essere  decifrata avendo tempo a disposizione, mentre non si arriverà mai a domare la complessità. Un programma informatico, per esempio, può essere estremamente complicato e comportare un numero grandissimo di istruzioni, non per questo è complesso. Ciò che è complesso non è opposto a ciò che è semplice, ma a ciò che è trasparente, determinato, prevedibile, in qualche modo senza mistero.

 

-   Se la ridondanza è nulla (cioè R = 0) rappresenta la massima varietà teoricamente possibile. Nessuna struttura, nessuna forma stabile è riconoscibile nel sistema che appare come un puro prodotto del caso.  In un certo senso, non se ne può dire niente perché ogni descrizione significante presuppone proprio un riconoscimento di forma. La nozione stessa di complessità scompare.

La ridondanza introduce un ordine nel sistema; ci permette di riconoscervi un’organizzazione. In mancanza di ciò,  il sistema appare caotico, disordinato, informe, senza una vera identità; la più piccola brezza che viene dall’esterno ne cambia l’apparenza. Ma inversamente, se la ridondanza è totale, non solo la struttura è completamente stabile (il più delle volte in modo ripetitivo e scontato), ma il gioco degli elementi è ugualmente predeterminato. Tra questi due estremi, tra una complicazione ridondante e una varietà senza struttura, fra l’ordine e il disordine, si trova la via stretta della complessità.

Possiamo allora capire meglio la metafora di Henri Atlan[6] che definisce la complessità  come uno spartiacque tra il cristallo (ordine ripetitivo) e il fumo (struttura evanescente), come anche la famosa esclamazione di Paul Valéry: “ perché due pericoli minacciano il mondo: l’ordine e il disordine!”

 

  1. La nozione di sistema

Nella parte precedente abbiamo incontrato varie volte la parola feticcio dell’approccio sistemico, la parola sistema. La parola viene utilizzata sia per indicare un oggetto complesso, una situazione complessa che la rappresentazione (o modello) che stiamo cercando di dare di quell’oggetto o di quella situazione. Si parla dunque di una realtà naturale chiaramente identificabile o di una semplice costruzione intellettuale che esisterebbe solo nel nostro spirito?

Ricordiamoci la celebre apostrofe di Claude Bernard del 1865: “I sistemi non esistono in Natura, ma nello spirito degli uomini”. Positivista convinto, Claude Bernard intendeva così respingere l’uso di quel concetto, secondo lui legato all’età metafisica dell’umanità: “Chi ha mai visto un sistema?” borbottava. Oggi potremmo obiettargli: chi ha mai visto un buco nero, il Big Bang, un atomo, un’onda-corpuscolo? Per Claude Bernard, la spiegazione scientifica non poteva basarsi che sul processo analitico di riduzione a ciò che è elementare. Un secolo dopo, il paesaggio intellettuale è molto cambiato: un altro biologo, Ludwig von Bertalanffy[7] può scrivere: “Dovunque, intorno a noi, dei sistemi” e un economista, Jacques Lesourne[8] rincara: “ Niente di più facile che trovare esempi: un gas, una cellula, un computer, un dinosauro, il fegato, un uomo, un’azienda, un agglomerato urbano, un paese, il sistema nervoso, l’economia nazionale”. Per lui, in qualche modo, ogni oggetto naturale o artificiale e anche ogni situazione costituita dal raggruppamento di parecchi di questi oggetti sarebbe un sistema!

Possiamo misurare a questo punto la difficoltà del dibattito. Dopo aver rifiutato di  vedere sistemi nella natura, ora non si vedrebbe altro che questi. È necessario almeno un chiarimento semantico. Infatti, all’interno della comunità scientifica  interessata alla questione, il termine si è imposto solo a seguito di lunghe discussioni e, senza dubbio, come ripiego.

Di origine greca, sustêma che significa “insieme coerente”, la parola significa nello stesso tempo una dottrina filosofica (il sistema di Leibniz) e un insieme ordinato di oggetti naturali (il sistema solare). Inoltre, alcuni suoi derivati, come l’aggettivo sistematico, hanno oggi cattiva reputazione; tendono ad indicare un atteggiamento che si presume dogmatico, se non totalitario (avere lo spirito di sistema); mentre il termine sistemico vorrebbe indicare invece un atteggiamento dello spirito caratterizzato da apertura alla diversità e all’incertezza.

Dobbiamo dunque precisare il senso che diamo qui a questa parola-contenitore. Per questo, niente di meglio che partire dalle definizioni che gli stessi sistematici hanno proposto.

La definizione più ampia, più generale, meno restrittiva la dobbiamo a Jacques Lesoume nell’opera che abbiamo appena citato. Per lui “un sistema è un insieme di elementi in interazione dinamica”. Questa definizione ha il merito di far comparire già alcune idee-forza,  quelle

  • di complessità, legata alla pluralità degli elementi e alla loro interazione
  • di movimento, perché l’equilibrio di un sistema è dinamico e le sue parti non sono inerti le une in rapporto alle altre.

Nello spirito di questa definizione, Edgar Morin[9] apporta delle utili precisazioni: “ Un sistema è un’unità globale di interrelazioni fra elementi, azioni o individui”. Vediamo che qui l’accento è messo sulla globalità o totalità del sistema e sull’importanza delle relazioni che non riguardano solo le componenti materiali o umane, ma anche delle azioni. Si passa quindi da una coerenza fra costituenti del sistema  a una coerenza fra relazioni.

Ma questa definizione ampia, perfetta per legittimare la modellizzazione delle situazioni complesse (cosa che spiega il favore di cui gode fra gli economisti) è considerata insufficiente, quanto a precisione, da altri sistematici, soprattutto biologi. Poiché si occupano principalmente di oggetti complessi ben delimitati, questi scienziati, seguendo l’esempio di Joël de Rosnay, vorrebbero restringere e precisare questa definizione Per loro: “Un sistema è un insieme di elementi in interazione dinamica, organizzati in funzione di un fine”. Ecco dunque introdotto un riferimento alla finalità (o alle finalità) del sistema, finalità evidente per i sistemi artificiali concepiti dall’uomo,  indiscutibile per i sistemi biologici che funzionano sempre in vista di uno scopo implicito: mantenersi in vita e riprodursi! Per questi ultimi, e col nome di teleonomia, Jacques Monod[10] ha riconosciuto tale proprietà, contro voglia del resto, perché la nozione ripugnava al suo positivismo. Su questa linea di una definizione ristretta, soprattutto applicabile agli oggetti complessi, il testo più completo e più preciso è senza dubbio quello di Francis Le Gallou:[11]Un sistema è un insieme che forma un’unità coerente e autonoma di oggetti reali o concettuali (elementi materiali, individui, azioni....), organizzati in funzione di uno scopo (o di un insieme di scopi, obiettivi, finalità, progetti...), per mezzo di un gioco di relazioni (interrelazioni reciproche, interrelazioni dinamiche...), il tutto immerso in un ambiente.”

Ma tutte queste definizioni, al di là del loro interesse intellettuale e della loro utilità per delimitare il campo di osservazione, servono poco per l’azione. La ricchezza del concetto di sistema, infatti, non si rivela che attraverso l’utilizzazione che se ne fa sugli oggetti e le situazioni del mondo.

 

  1. La deriva di complessificazione

Ciò che è osservabile ci interpella non solo in occasione del nostro incontro analitico con oggetti complessi. Ci interroga anche riguardo a fenomeni di lunghissima durata che ci vengono presentati con sempre maggior precisione dall’astrofisica, la geologia, la paleontologia, la storia.

Per quali misteriosi meccanismi le molecole organiche si sono assemblate fra loro tre miliardi di anni fa, per dare origine alla vita? Come è stato possibile, per dare supporto al pensiero e alla coscienza, lo sviluppo di quel monumento alla complessità che è il cervello umano con i suoi cento miliardi di neuroni, ciascuno interconnesso in media tremila volte? Come è stata possibile la nascita, e poi lo sviluppo, delle civiltà?

Tutte queste domande hanno qualcosa in comune. Sfidano gli scienziati a pensare fenomeni in cui interagiscono una moltitudine di fattori, in cui si combinano principi di regolazione e di squilibrio, in cui si mescolano contingenza e determinismo, creazione e distruzione, ordine e disordine, in cui proliferano sistemi dall’architettura sempre più elaborata. Dall’atomo al cervello umano, fino alla società globalizzata si assiste a una fantastica crescita di complessità. Una complessità che risulta innanzitutto dalla ricchezza e dalla diversità delle relazioni o connessioni, anch’esse strutturate secondo architetture ordinate e regolari. Per questa ragione, riprendendo l’esempio del cervello, un insieme gassoso di cento miliardi di atomi non presenterà mai caratteristiche paragonabili a quello dei cento miliardi di neuroni interconnessi.

Nell’evoluzione del cosmo si passa così da sistemi semplici (la particella elementare, l’atomo) a sistemi molto organizzati (l’animale, la società) di cui è possibile, il più delle volte, individuare l’architettura interna a base di ridondanza. Questi sistemi organizzati stanno all’opposto degli aggregati (un mucchio di sabbia, una nuvola, una stella, una folla...) che, pur comprendendo un gran numero di elementi, sono solo debolmente organizzati.

Poiché non esiste organizzazione senza ridondanza, la riduzione della varietà sarà dunque, in un primo tempo, l’effetto normale dell’organizzazione. Così, l’ordine ripetitivo del cristallo irrigidisce i corpi in fusione e le molecole perdono la libertà di posizione di cui disponevano allo stato liquido. Ma, in un secondo tempo, l’organizzazione fa comparire possibilità relazionali nuove fra sotto-insiemi stabilizzati di elementi,  che vengono chiamati allora sotto-sistemi. Così, incontreremo relazioni fra i sotto-sistemi stessi fra loro, o un sotto-sistema particolare e alcuni elementi, cosa che introduce la nozione di livelli di organizzazione, sulla quale torneremo nella parte seguente (seconda parte) Questa crescita della ricchezza relazionale permette a sua volta di fare emergere nel sistema nuove configurazioni....e di lì un corrispondente aumento di varietà e così via

Quando questo secondo effetto è più forte del primo, la complessità del sistema tende ad aumentare. Si dice allora che si ha a che fare con un’organizzazione complessificante e si parla di complessificazione. È il caso dell’evoluzione della vita, poi dell’evoluzione sociale e  culturale. Nel corso dei tempi geologici, poi storici, compaiono sistemi sempre più complessi. La cosa è evidente nella figura che segue  che sovrappone ai due infiniti di Pascal (l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande), un terzo infinito, l’infinitamente complesso, orientato nel senso della freccia del tempo dell’evoluzione. Sulla scala dei tempi geologici, poi storici, nell’intervallo di spazio che separa l’infinitamente piccolo (la particella elementare dal diametro stimato in 10-15 metri) dall’infinitamente grande (l’insieme delle galassie (dal diametro supposto di 1026 metri), si dispiega quindi il gigantesco fenomeno della complessificazione.

     L’esistenza di questo fenomeno è stata riconosciuta quasi un secolo fa da Teilhard de Chardin[12] col nome di legge di complessificazione o di complessità crescente. A questa prima legge, Teilhard ne aggiunge una seconda, la legge di complessificazione-coscienza, volendo significare con questo termine che l’iper-complessità, a partire da una certa soglia, si accompagna alla comparsa di “ psichismi” (stati psicologici) sempre più ricchi. E questa comparsa diventa, a sua volta, un fattore supplementare di varietà nel gioco delle relazioni....da cui nuove possibilità di crescita della complessità.

 

 

 

A questo stadio della riflessione si possono fare due osservazioni complementari:

 

  1. A metà fra l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo, l’uomo e le creazioni umane (i sistemi economici, politici, sociali, culturali) occupano un posto privilegiato nella crescita in complessità. Come fronte d’onda della complessificazione, costituiscono in qualche modo  il cervello pensante dell’evoluzione. La cultura, la storia, lo “spirito” si trovano ad essere reinserite, come propone Edgar Morin, nell’ordine delle realtà naturali.
  2. Il tempo dell’evoluzione complessificante scorre in senso inverso rispetto a quello della fisica. Dal famoso secondo principio della termodinamica noi sappiamo infatti che l’evoluzione di un sistema chiuso non può avvenire che nella direzione della scomparsa della sua organizzazione interna (equiprobabilità delle configurazioni), individuata dalla crescita dell’entropia. Al tempo entropico si opporrebbe quindi il tempo neghentropico.

 

La contraddizione fra queste due temporalità tuttavia è solo apparente. Considerato in senso restrittivo, il tempo entropico riguarda sistemi chiusi mentre il tempo dell’evoluzione lo si osserva unicamente nei sistemi aperti. Ora, tutti i sistemi complessi sono aperti! In un universo in cui l’entropia è, di necessità, crescente, possono quindi esistere – per un dato tempo – dei focolai locali di complessificazione, per il tempo che questi focolai attingono energia e materia dal loro ambiente. Un isolotto di complessità in mezzo al gran fiume dell’entropia, questa sarebbe insomma la situazione della nostra Terra e dei fenomeni biologi e sociali che continuano a svilupparvisi.

 

Seconda parte: l’approccio sistemico o un nuovo Discorso del metodo

Per entrare nella lettura della complessità, lettura che articola conoscenze scientifiche di ogni tipo, esiste un metodo: l’Approccio sistemico. Ne ho già fatto una presentazione sintetica in numerose mie opere[13] e  un’esposizione molto più scientifica in un altro libro.[14] Presenteremo ora brevemente questo metodo e, per fare ciò, ne riprenderemo alcune nozioni-chiave e strumenti di base.

 

La triangolazione sistemica

Essendo molto adatta alla fase d’investigazione di un oggetto individuato, come un sistema o un fenomeno complesso, la triangolazione sistemica consiste nell’osservarlo congiuntamente sotto tre aspetti diversi, ma complementari:

  • L’aspetto funzionale è soprattutto sensibile alle finalità dell’oggetto. Si cerca di rispondere spontaneamente alle domande: che cosa fa il sistema nel suo ambiente? A cosa serve?
  • L’aspetto strutturale mira a descrivere la struttura dell’oggetto, il concatenamento dei suoi vari componenti. Si ritrova a questo punto il procedimento analitico della scienza classica, ma con una sfumatura importante: l’accento viene messo molto più sulle relazioni fra i componenti che sui componenti stessi, più sulla struttura che sugli elementi.
  • L’aspetto storico (o genetico, o dinamico) è legato alla natura evolutiva dell’oggetto, dotato di una memoria e di un progetto, capace di auto-organizzazione. Molto spesso, la storia del sistema è la sola che permette di dar conto degli aspetti del suo funzionamento. Per i sistemi sociali conviene proprio partire, per l’osservazione, da questo aspetto.

         

 

                                                                                      

Naturalmente la triangolazione sistemica si sviluppa combinando fra loro queste tre vie d’accesso. Per far questo, ci si sposta da un aspetto all’altro, secondo un processo di spirale ad elica che permette, ad ogni giro, di crescere in profondità e comprensione. La verità è pensata come il fine mai raggiunto di un processo asintotico il risultato di una ricerca mai terminata; non può mai identificarsi con un’idea o un concetto posseduto dogmaticamente.

 

  1. L’anello e i suoi aspetti sorprendenti

La nozione di anello trae la sua origine dalla cibernetica che ha messo in evidenza l’esistenza, nei sistemi artificiali creati dagli uomini, di fenomeni di retroazione (feed-back in inglese). Dalla scienza  dei sistemi artificiale questo concetto di anello di retroazione si è poi generalizzato passando alle scienze della vita e alle scienze umane e sociali. In tutti questi sistemi, aperti sul loro ambiente e in interazione con esso, esistono variabili di entrata e variabili di uscita. Le entrate sono sotto l’influenza dell’ambiente del sistema e le uscite sono il risultato della sua attività interna. Chiamiamo anello di retroazione ogni meccanismo che permette di rinviare all’entrata del sistema, sotto forma di dati, informazioni direttamente dipendenti dall’uscita.

 

                 

 

Esistono tre tipi di anelli di retroazione:

  • gli anelli positivi (o esplosivi), sui quali poggia la dinamica del cambiamento. La re-iniezione verso l’entrata dei risultati dell’uscita contribuisce a rinforzare l’evoluzione già in corso delle variabili di uscita. Gli effetti sono cumulativi (effetto “palla di neve”) e si ottiene un comportamento divergente che prende la forma o di una espansione indefinita, o esplosione, o di un blocco totale dell’attività.
  • gli anelli negativi (o stabilizzatori) sui quali poggiano l’equilibrio e la stabilità. La retroazione stabilizza l’evoluzione delle variabili di uscita, cosa che presuppone l’aver fissato in precedenza il valore di equilibrio desiderato per queste variabili (chiamato valore di consegna). Il sistema appare allora come finalizzato, cioè teso verso la realizzazione di un fine.
  • gli anelli ago-antagonisti che s’incontrano nei sistemi viventi e nei sistemi sociali e che possono mostrarsi sia positivi che negativi, senza che si possa prevedere il momento di questo cambiamento di polarità. Questi anelli sono all’origine di fenomeni totalmente contro-intuitivi e particolarmente difficili da gestire con la logica abituale. Segnaliamo che l’ago-antagonismo[15] è presente nella comunicazione inter-umana, base della conduzione di ogni sistema socio-culturale.

L’esistenza di anelli di retroazione rende difficile distinguere fra la causa e l’effetto di un fenomeno all’interno di un sistema. È il famoso paradosso dell’uovo e della gallina: l’effetto retro-agisce sulla causa che diventa effetto ed è impossibile dire quale si trova all’origine! A dà B che dà A che dà B…

 

                                                 

 

Si parla allora di causalità circolare. Una sua conseguenza è quella di rendere spesso inatteso e imprevedibile il comportamento dei sistemi complessi, di facilitare la comparsa di alcune reazioni-risposte spontanee che prendono la forma di effetti perversi. È per questa ragione che, nello studio dei sistemi complessi, non bisogna mai aprire o tagliare un anello di retroazione. Nella sistemica, questo è considerato l’errore imperdonabile. Un anello deve sempre essere studiato nella sua globalità dinamica senza mai separare i due poli.

Generalizzando questa nozione di causalità circolare all’insieme di un sistema complesso composto da una miriade di anelli di retroazione, Edgar Morin arriva a parlare di globalità ricorsiva, o principio di ricorsività per definire questa sorprendente proprietà. Scrive:[16] Un processo ricorsivo è un processo in cui i prodotti e gli effetti sono nello stesso tempo cause e produttori di ciò che li produce”.

 

  1. Livelli di organizzazione e principio d’ emergenza

Il funzionamento di un sistema si basa sull’esistenza, nel suo essere più nascosto, di molti anelli di retroazione, alcuni negativi, altri positivi, altri ancora ago-antagonisti. Articolati fra loro secondo una logica di rete, questi anelli armonizzano le loro azioni per mantenere la stabilità del sistema e, nello stesso tempo, adattarlo alle evoluzioni del suo ambiente. Questo è il processo di regolazione.

Quella che viene chiamata struttura del sistema non è altro che la descrizione della rete di queste catene di regolazione. Generalmente questa struttura è gerarchizzata secondo numerosi strati o livelli di organizzazione (architettura dei diversi organismi e attivazione della loro sinergia nel vivente, organigramma delle funzioni in un’azienda ecc.)

Ad ogni livello di organizzazione possono comparire nuove e sorprendenti proprietà che, per se stesse, non si trovano nei livelli di organizzazione inferiori. È il principio di emergenza, così definito da Edgar Morin:[17] Si chiamano emergenze le qualità o proprietà di un sistema che presentano caratteristiche di novità in rapporto alle qualità o proprietà dei componenti considerati o disposti diversamente in un altro tipo di sistema”. Ci troviamo in questo caso in contrasto con la fisica di Aristotele secondo la quale il cambiamento che avviene (o atto) in una sostanza era già presente (in potenza) nella sostanza iniziale.

L’emergenza è una caratteristica della complessificazione all’opera nell’universo, a partire dalle particelle elementari fino alle più elaborate costruzioni umane, passando dai sistemi viventi. Questa osservazione è all’origine di una tipologia dei sistemi dovuta al filosofo e sistematico americano Mario Bunge, tipologia basata sul loro supposto ordine di apparizione nel tempo. Il grafico qui sotto va letto dal basso verso l’alto.  A partire dai sistemi viventi, troviamo emergenza di auto-organizzazione creatrice. A partire dall’uomo, abbiamo emergenza di auto-finalizzazione, poiché l’essere umano è capace di darsi un proprio progetto, come è capace di darlo alle costruzioni artificiali, simboliche e sociali che concepisce e che, tutte insieme, compongono quella che Teilhard de Chardin chiamerà la Noosfera.[18]

sistemi  sociali

sistemi artificiali                                                             sistemi simbolici

sistema umano

  sistemi viventi

  sistemi chimici

                                                                                                                                         sistemi fisici

 

 

  1. La modellizzazione sistemica

La modellizzazione è innanzitutto un procedimento tecnico che permette di rappresentare un oggetto o una situazione, e persino eventi considerati complessi, per conoscerli ed agire su di essi. Si utilizza in tutti gli ambiti scientifici interessati dalla complessità.

Ma la modellizzazione è anche un’arte con cui si esprime la propria visione della realtà. La stessa realtà, colta da due modellizzatori diversi, non si esprimerà per forza nello stesso modello. Tuttavia se si vuole che il proprio modello sia operativo, cioè che permetta a chi lo utilizzerà di orientarsi nella complessità e di agire su di essa in modo efficace, deve tener conto di alcuni criteri e rispettare alcune leggi di costruzione. Deve anche cercare di essere quanto più semplice possibile, affinché il suo modello sia comprensibile e facilmente trasmissibile. Da qui il frequente ricorso all’analogia (tipo di ragionamento valorizzato dalla filosofia di Aristotele, ma screditato dal positivismo del XIX secolo.... pur essendo stato sempre utilizzato nel procedimento euristico dei ricercatori) e soprattutto a un largo uso del linguaggio grafico di cui conosciamo le grandi capacità rappresentative.

         Per caratterizzare la natura composita del modello, frutto di un’interazione indissociabile dal soggetto che opera e dall’oggetto osservato, i sistematici utilizzano volentieri la metafora della carta e del territorio:

  • la carta non è il territorio, non potrà mai rivelarne tutti gli aspetti ed esprimerne l’enorme complessità. La cosa è troppo evidente per aver bisogno di commenti.
  • ma la carta non è priva di rapporti col territorio. La prova: se sono un automobilista che si è perso, una buona carta stradale mi permetterà di ritrovare facilmente la strada attraverso il territorio.

La carta è dunque una rappresentazione limitata e parziale del territorio, ma che presenta, per chi la utilizza, un incontestabile carattere operativo. Lo stesso vale per il modello sistemico, strumento ineguagliabile per pensare e agire nella complessità.

 

Terza parte:  verso un’epistemologia della complessità

Che l’approccio sistemico sia una nuovo discorso sul metodo, ecco quello che pensano più o meno confusamente, molti sistematici. Ma la maggior parte di loro è ancora lontana dall’essere consapevole delle formidabile sfide epistemologiche suscitate da questo approccio. Solo una minoranza fra loro intravede fino a che punto la loro disciplina rimetta in discussione il discorso per molto tempo egemonico del positivismo e chiami alla edificazione di un’altra epistemologia. In questa terza parte vorrei brevemente spiegare questo aspetto delle cose.

 

 

 

  1. Decostruzione del positivismo

Questa nuova epistemologia sconfessa non solo molti postulati dell’epistemologia positivista e materialista del 19° secolo, ma anche principi ereditati dalla logica aristotelica e conservati dal positivismo.

 

1.1.  Postulato di oggettività

Nel 1793 Condorcet proclamava: “Il solo fondamento di fede nelle scienze naturali è questa idea, che le leggi naturali, conosciute o ignorate, che regolano i fenomeni dell’universo sono necessarie e costanti”.[19] Bene inteso, spesso la legge non può essere conosciuta che in modo progressivo e iterativo. Ma al termine di questo processo, si arriva necessariamente ad una rappresentazione “vera” della realtà, la sola rappresentazione che possa essere considerata valida perché realizza la perfetta adeguatezza del discorso  alla realtà. Il postulato di oggettività dunque dà un senso alla nozione di “verità oggettiva”, verità che per ipotesi non potrebbe essere che unica e che riguarderebbe i rapporti, se possibile quantificabili, tra entità naturali e non le entità stesse.

Ora, dopo lo sviluppo delle fisica quantistica e la scoperta di Werner Heisenberg sul famoso principio di indeterminazione, sappiamo che l’oggetto micro-fisico non può essere determinato indipendentemente dal contesto dell’osservazione e dagli strumenti utilizzati dall’osservatore. Contro il concetto ingenuo di un’oggettività già precostituita nella natura, approssimazione senz’altro valida per i fenomeni chimico-fisici che si manifestano a scala umana, l’universo della fisica quantistica dimostra che la legge deriva anche dallo sguardo dell’osservatore. Questa interazione fra l’osservatore e  l’oggetto della sua osservazione è vera anche a livello delle scienze umane. Quando il ricercatore fa la raccolta dei dati, l’interazione fra lui e la situazione studiata non lascia quest’ultima inalterata. Per questa ragione, voler applicare il postulato di oggettività e trattare i fatti sociali come delle cose, come preannunciava Durkheim,  non può che portare a gravi malintesi.

 

1.2. Postulato deterministico

Dei quattro tipi di cause che la filosofia medievale derivava da Aristotele (causa efficiente, formale, materiale e finale), il positivismo conserva solo la prima a cui assegna un ruolo esclusivo. Ogni fenomeno si spiega con una combinazione di cause efficienti. Non c’è fumo senza fuoco, dunque, e viceversa.

Questo primato della spiegazione causalista su ogni altra forma di comprensione del reale porta a una visione determinista della natura che è concepita come una gigantesca macchina in cui tutto deve svolgersi secondo leggi immutabili e prevedibili (il solo limite sta nelle capacità di calcolo dello spirito umano). L’avvenire è interamente contenuto nel passato, tutto può essere spiegato con il concatenamento delle cause (eventualmente a partire da una causa prima). Questa tesi fu formulata all’inizio del XIX secolo dal matematico francese Pierre-Simon Laplace (1749-1827).

Ora, questo postulato deterministico è rimesso in causa dall’indeterminismo quantistico. Le relazioni di incertezza di Heisenberg sovvertono infatti la pretesa di prevedere in maniera certa la traiettoria di una particella. Il fisico Ilya Prigogine (premio Nobel 1977) ha anche messo in evidenza l’esistenza di fluttuazioni molto erratiche che derivano dal caos entropico e danno origine a forme stabili – le strutture dissipative – impossibili da prevedere a priori.

Lo studio dei sistemi viventi e sociali apporta nuovi argomenti contro questo determinismo rozzo che esclude impietosamente dal campo della scienza ogni riferimento all’autonomia del vivente (che pure è evidente) e al libero arbitrio umano che i filosofi hanno da sempre dato per scontato e che corrisponde a una intuizione primaria della coscienza.

 

1.3. Postulato analitico

È tratto direttamente dal Discorso sul metodo di Descartes il quale, per risolvere un problema, consiglia di scomporlo in tanti elementi semplici quanti sono necessari. Ma in questo caso, la scomposizione riguarda il fenomeno o l’oggetto studiato e gli elementi sono, il più delle volte, materiali. Con la scomposizione si spera di individuare l’elemento ultimo che possa finalmente dar conto del funzionamento dell’oggetto studiato. Si cerca quindi la spiegazione dalla parte di ciò che è elementare più che dalla parte del tutto, dell’organizzazione o della relazione fra gli elementi. Dobbiamo riconoscere che i grandi progressi della fisica e della chimica del XIX e del XX secolo, e più recentemente della biologia molecolare, sono stati ottenuti in gran parte col procedimento analitico..... e solo con lo sviluppo delle scienze della complessità, abbiamo potuto vederne i limiti. La scomposizione analitica infatti presuppone la separabilità e l’additività degli elementi. Ma la separabilità non è applicabile nelle scienze della vita e nelle scienze umane. E l’interattività fra proprietà e componenti non si può ridurre a semplici legami univoci di natura meccanica; non è additiva! Così, un sistema complesso non è la somma dei suoi componenti elementari. Se lo si vuole costringere alla riduzione analitica, si rischia di identificarlo con una collezione di componenti da cui sarà escluso proprio quello che costituisce l’identità del sistema, cioè un gioco complesso di relazioni strutturate secondo un fine.

 

1.4 Postulato di ragion sufficiente

Venendo dall’Organon di Aristotele, questo postulato si presenta come la quintessenza dei principi logici enunciati dal filosofo greco, principi che sono parte dell’antica eredità assunta dal positivismo. Vi troviamo, in particolare, il famoso principio del “terzo escluso”, secondo il quale non si può affermare nello stesso tempo una cosa e il suo contrario. Legge normativa del pensiero, la logica formale è considerata anche legge della natura; la razionalità, e in particolare la possibilità di dedurre logicamente un enunciato da un altro, diventa criterio di verità. Secondo una celebre massima: tutto il reale è razionale e tutto il razionale è reale.

Questo primato del pensiero deduttivo e della logica formale nel discorso scientifico contribuisce a mascherare le altre forme di ragionamento (per adduzione, transduzione, analogia...) per altro molto presenti nel procedimento euristico dei ricercatori. Ci ritroviamo  in un vicolo cieco anche a proposito di quello che oggi sappiamo essere il comportamento pratico dell’essere umano, molto più soggetto razionalizzante che razionale. Infine, il ricorso sistematico alla matematica per tradurre in modo quantificato e nel linguaggio formale i fatti osservati, dà all’enunciato positivista  un tono sempre più astratto che non ne facilita la comprensione.

La pretesa della logica deduttiva di descrivere l’insieme della realtà è sempre più contestata  dalle sorprendenti proprietà dell’iper-complessità: causalità circolare e finalità, contraddizioni irriducibili (terzo incluso), pluralità delle rappresentazioni (modellizzazione) ecc. Nelle scienze sociali poi è impossibile far valere il criterio di falsificabilità  del positivismo logico di Karl Popper. Queste scienze portano raramente a delle previsioni precise; i loro enunciati non possono essere né confermati, né confutati. Il successo (o il fallimento) delle azioni che suggeriscono non è più probante a causa del gran numero di parametri e perché la condizione “d’altronde tutte le cose sono uguali” praticamente non è mai verificata.

 

2.    I tre principi della nuova epistemologia

Cosa fare allora per sostituire  a questa epistemologia superata una nuova epistemologia che sia realmente capace di farsi carico della complessità della realtà? Edgar Morin ci ha provato nel corso di tutta la sua  magistrale opera di cui riprende  l’essenziale in un breve articolo divulgativo.[20] Per lui, questa epistemologia della complessità si articola intorno a tre grandi  principi basilari, ai quali sarei tentato di aggiungere un quarto principio di modellizzazione, tanto la modellizzazione mi sembra essere il coronamento di ciò che caratterizza il nuovo approccio in rapporto al vecchio.

 

2.1   Principio di fiducia dialogica

Al paradigma di disgiunzione/riduzione/semplificazione che caratterizza l’epistemologia positivista, Edgar Morin propone di sostituire il paradigma distinzione/congiunzione. Collegando fra loro costituenti eterogenei per se stessi e addirittura antagonisti, questo paradigma permette di sfuggire al doppio scoglio dell’olismo (che concepisce astrattamente l’unità a partire dall’alto) e del riduzionismo (che concepisce quella stretta unità a partire dal basso). Per Edgar Morin,[21] il principio di fiducia dialogica “unisce due nozioni antagoniste che apparentemente dovrebbero respingersi, ma che sono indispensabili per capire una stessa realtà.”

Come tradurre concettualmente questo principio? Per Edgar Morin, la difficoltà consiste nel fatto che “si deve affrontare il disordine (l’infinito gioco delle interazioni), la solidarietà dei fenomeni fra loro, la nebbia, l’incertezza, la contraddizione”. Tuttavia, a condizione di accettare di uscire dalla logica binaria del o/oppure (terzo escluso) per passare alla logica congiuntiva del l’uno/e l’altro (terzo incluso), il linguaggio umano non è privo di strumenti per affrontare questa difficoltà. Esiste anche una figura retorica per farlo, l’ossimoro,  figura detestata dai logici ed amata dai poeti, secondo Edgar Morin.  Al posto dei concetti chiari e distinti, cari a Descartes, l’ossimoro fa coesistere nella stessa idea nozioni per se stesse irriducibilmente contraddittorie. Così, concetti come onda/corpuscolo della meccanica quantistica e amore/odio della psicanalisi. In sistemica, ciò che meglio illustra il principio dialogico è senza dubbio il concetto di ago-antagonismo, presentato nella seconda parte.

 

2.2.   Principio della globalità  ricorsiva

Per Edgar Morin[22] questo principio va al di là della retroazione; supera la nozione di regolazione per quella di auto-produzione e auto-organizzazione. È un anello regolatore nel quale i prodotti e gli effetti sono essi stessi creatori di ciò che li produce”. La causalità, cara al positivismo, non è eliminata, ma deve essere notevolmente arricchita e infine superata, dotando i sistemi complessi di scopi, di progetti, persino d’intenzionalità. A questo stadio, bisogna reintegrare il concetto di finalità nel discorso scientifico, cosa che costituisce un cambiamento epistemologico di grande portata!

La globalità ricorsiva emerge con l’auto-organizzazione, quando il sistema, considerato nel suo rapporto con l’ambiente, diventa autonomo. Un simile sistema si definisce innanzitutto a partire da se stesso (auto-riferimento) e non in base alla sua subordinazione a determinismi esterni; è causa del proprio comportamento. Ogni entità vivente, ogni organizzazione complessa (società, impresa, istituzione...) è costruita secondo questo principio. La cosa è talmente evidente che anche i biologi più ferocemente positivisti, per evitare di utilizzare il termine aborrito di finalità, parlano di teleologia per definire il funzionamento della vita.  Questa necessità di aderire all’ipotesi teleologica, ma anche la difficoltà a riconoscerlo in un ambiente scientifico caratterizzato dal dogmatismo positivista, sono state espresse in modo divertente nel 1970 da François Jacob: Il biologo si è trovato davanti alla teleologia come con una donna di cui non può fare a meno, ma con cui non vuole farsi vedere in pubblico”.[23]

Ben inteso, la globalità recursiva culmina nell’essere umano, questo “sistema auto-finalizzato” dotato di intenzionalità e di libertà. L’autoreferenzialità vi si sviluppa in coscienza di sé. Si assiste allora all’emergenza del soggetto con tutte le sue caratteristiche esistenziali messe in evidenza dal filosofo Søren Kierkegaard: irriducibile individualità, sentimento di autosufficienza e insieme di dipendenza, d’infinito e di finitezza (l’uomo come “essere votato alla morte”).

 

2.3.   Principio di organizzazione ologrammatica

Per Edgar Morin,[24] questo principio “mette in evidenza quell’apparente paradosso di alcuni sistemi in cui non solo la parte sta nel tutto, ma il tutto sta nella parte”. Per l’osservatore, la realtà sembra presentarsi allora sotto la forma di un’organizzazione frattale dove ogni componente di un sistema è, a suo modo, il modello ridotto del sistema. La cosa è così espressa da Morin:[25] “In un ologramma fisico, il più piccolo punto dell’immagine dell’ologramma contiene la quasi totalità dell’informazione sull’oggetto rappresentato.

[... Questo principio ] è presente nel mondo biologico e nel mondo sociale. Nel mondo biologico, ogni cellula del nostro organismo contiene la totalità dell’informazione genetica di quell’organismo. Dunque, l’idea dell’ologramma supera sia il riduzionismo che vede solo  le parti, sia l’olismo che vede solo il tutto”.

In campo sociologico è chiaro che l’individuo è un elemento costitutivo della società, ne fa parte. Ma la società è presente in ogni individuo nel suo linguaggio, la sua cultura, le sue regole....e da questo secondo punto di vista l’individuo “contiene” la società! Così il mondo è all’interno del nostro spirito, il quale a sua volta è all’interno del mondo.[26] Anzi, il soggetto umano contiene ben più della particolare società storicamente collocata – che si tratti di un’etnia o di una nazione – in seno alla quale vive. Egli ricapitola, anche se il più delle volte implicitamente, la totalità dell’ordine simbolico quale è venuto costruendosi dall’origine dell’umanità.

Unito alla ricorsività, il principio ologrammatico permette di concepire quelle forme paradossali di organizzazione che esistono solo nei sistemi ad alta complessità. Al posto delle gerarchie semplici, lineari, piramidali che fanno la gioia dei logici e dei tecnocrati, vi si incontrano infatti in abbondanza gerarchie ingarbugliate, incastrate fra loro, ago-antagoniste, al cui interno un componente può ritrovarsi ad essere controllore e nello stesso tempo controllato da altri componenti. Per le necessità dell’auto-organizzazione e dell’auto-finalizzazione, simili gerarchie riescono a produrre continuamente ordine e disordine. In un universo di solo ordine infatti non ci sarebbe innovazione, né creazione, né evoluzione. E all’inverso, in un universo di solo disordine non ci sarebbe nessun elemento stabile su cui basare un’organizzazione. Ordine e disordine sono ugualmente necessari alla complessità.

 

*   *   *

 

Possiamo ora capire perché l’epistemologia della complessità, basata all’inizio sull’analisi dell’anello di retroazione nei sistemi naturali e artificiali, produce un così gran cambiamento nel nostro modo di vedere il mondo. L’anello è visto allora come un’entità fondatrice, autonoma, alla base della stoffa del reale. Estrapolando questo concetto, Edgar Morin arriva a scrivere:[27] “Prima dell’anello, niente; non il niente, ma l’inconcepibile e l’inconoscibile. Prima dell’anello non c’è essenza, non c’è sostanza, non c’è neanche realtà: la realtà viene prodotta dall’anello delle interazioni che producono l’organizzazione, dall’anello delle relazioni tra l’oggetto e il soggetto. Qui avviene un grande  cambiamento di base. Non c’è più, per la conoscenza, un’entità di partenza: la realtà, la materia, lo spirito, l’oggetto, l’ordine, ecc.. C’è un gioco circolare che genera queste entità, le quali appaiono come tanti momenti di una produzione. Improvvisamente, non ci sono più alternative inevitabili tra le entità antinomiche che si contendono la sovranità  ontologica: le grandi alternative classiche, Spirito/Materia, Libertà/Determinismo  si spengono, diventano residuali, ci sembrano obsolete. Scopriamo persino che il materialismo e il determinismo, il cui prezzo è l’esclusione dell’osservatore/soggetto e il disordine, sono metafisici quanto lo spiritualismo e l’idealismo. Il vero dibattito, la vera alternativa è ormai fra complessità e semplificazione”.

 

Teilhard de Chardin è stato, ormai quasi un secolo fa, il geniale precursore di questa epistemologia, meravigliosamente adeguata per entrare nella complessità delle entità viventi, sociali ed anche religiosi e spirituali.

 

 

Traduzione dal francese di Donatella Coppi

 

[1] Gérard Donnadieu e Michel Karsky, La systemique, penser et agir dans la complexité, Liaisons, Paris 2002.

[2] Michel Serres, Passaggio a nord-ovest, tr. it., Pratiche, Parma 1984

[3] Henri Atlan, Tra il cristallo e il fumo, tr. it., Hopefulmosnter, Firenze 1986.

[4] Si tratta di un attore nel senso della sociologia delle organizzazioni, cioè di attore economico o di attore sociale, capace di calcolo e di azione autonoma

[5] Henri Atlan, Tra il cristallo e il fumo, cit.

[6] Ibid.

[7] Ludwig von Bertalanffy, Teoria generale dei sistemi, tr. it., Isedi, Milano 1976

[8] Jacques Losourne, Les systèmes du destin, Dalloz, Paris 1974

[9] Edgar Morin, Il metodo. 1. La natura della natura, tr. it., Cortina, Milano 2001

[10] Jacques Monod, Il caso e la necessità, tr. it, Mondadori, Milano 1972

[11] Francis Le Gallou, “Présentation de concepts de la systémique”, Deuxième école européenne de systémique. AFCET, octobre 1992

[12] Pierre Teilhard de Chardin, Il fenomeno umano, tr. it., Queriniana, Brescia 1995

[13] Les religions au risque des sciences humaines, Parole et Silence, Paris 2006, pp. 26-36; Le Christ retrouvé, Saint-Léger  Editions, Chouze-sur-Loire 2012, pp. 35-50; Bouddhisme, christianisme, islam à la lumière de la raison moderne, Saint Léger Editions, Chouze-sur-Loire 2015, pp. 23-28

[14] Gérard Donnadieu e Michel Karsky, La systemique, penser et agir dans la complexité, cit.

[15] Concetto introdotto da Elie Bernard-Weil, nel suo libro Précis de Systémique Ago-Antagoniste: introduction aux stratégies bilatérales, L’Interdisciplinaire, Limonest 1988

[16] Edgar Morin, Introduzione al pensiero complesso, tr. it., Sperling & Kupfer, Milano 1993

[17] Edgar Morin, Il Metodo, cit.; nel Vocabolario filosofico di André Lalande (PUF, Paris 1947) si trova una definizione abbastanza simile: Emergere, emergenza: termini usati... per caratterizzare il fatto che una cosa viene da un'altra, senza che questa la produca nel modo in cui una causa produce necessariamente un effetto ed è sufficiente a farne capire la comparsa.

[18] Da noos, in greco, che significa spirito. Cfr. Pierre Teilhard de Chardin, in particolare  Il fenomeno umano, cit.

[19] Nicolas de Condorcet, Esquisse d’un tableau historique des progrès de l’esprit humain, p. 265, riedito da Flammarion, Paris nel 1988

[20] Edgar Morin, “Vers un nouveau paradigme”, Sciences Humaines n° 47, février 1995

[21] Ibid.

[22] Ibid.

[23] François Jacob, La logica del vivente, tr. it., Torino, Einaudi 1971

[24] Edgar Morin, “Vers un nouveau paradigme”, cit.

[25] Edgar Morin, Introduzione al pensiero complesso, cit.

[26] Ibid.

[27] Edgar Morin, Il Metodo, cit.

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