Misericordes sicut Pater
Marina Zaoli svolge l’attività di psichiatra e si occupa di problemi dell’educazione. Su questi ambiti di lavoro e ricerca ha pubblicato articoli su diverse riviste. Per i Quaderni di Teilhard aujourd’hui ha pubblicato Un apporto psicologico alla teoria dell’evoluzione di Pierre Teilhard de Chardin
Identificazione
La capacità di identificarsi con l’altro è un fenomeno naturale che contraddistingue le specie più evolute.
L’identificazione nell’altro è una delle caratteristiche più importanti nello sviluppo dell’individuo ed è un fenomeno naturale che non è solo umano, ma appartiene anche ad altre specie. In psicologia, a livello di comportamento e di modo di sentire, la capacità di identificarsi con l’altro era già stata compresa e studiata, ma ora, dopo la scoperta dei neuroni-specchio, se ne ha anche un riscontro anatomico.
I neuroni specchio sono una popolazione di neuroni visivo-motori individuati nei primati, in alcuni uccelli e nell’uomo. Questi neuroni si attivano sia nel momento in cui l’individuo compie un’azione, sia mentre osserva un’azione compiuta da altri. Ovvero, sia il compiere, sia il veder compiere un’azione da un altro, attiva in ugual modo una determinata area del cervello. Nell’uomo i neuroni specchio si trovano anche presso l’area di Broca, che è sede del linguaggio, di una funzione, quindi, ancora più elevata e in connessione con la nostra parte più emotiva e profonda. Attivandosi questi neuroni nel momento in cui l’individuo vede compiere l’azione da un altro, ed essendo questa azione sentita, vissuta come propria, (dato che si attiva l’area corrispondente a quella azione nel proprio cervello), ecco che si è in grado di recepire perfettamente quello che sta facendo l’altro e di identificarvisi pienamente.
Nell’uomo e nella scimmia sembra che ci sia la possibilità di sentire, di recepire anche quello che l’altro sente, e non solo, ma che ci sia anche la comprensione immediata del significato intenzionale delle azioni altrui.
Noi sappiamo, attraverso le ricerche di una grande psicoanalista: Melania Klein, che il bambino, durante il suo sviluppo, attraversa una fase che viene detta ‘riparativa’. Il suo nome deriva dal fatto che, mano a mano che i piccoli prendono consapevolezza dei loro impulsi e dei loro sentimenti, si rendono conto di aver sentito ed espresso dei vissuti di aggressività, di invidia, di rabbia, nei confronti della madre, nel momento in cui non abbiano ottenuto sempre, immediatamente e pienamente la soddisfazione dei propri bisogni. Proiettano così su di lei tutto il loro risentimento che credono possa onnipotentemente e magicamente distruggere tutto in maniera reale, la madre in particolare. Il bambino ha infatti un rapporto prevalente e privilegiato con lei, con la quale vive una relazione molto profonda, totalizzante e simbiotica, e in cui inizialmente non riesce ancora a distinguere le due identità, tanto da non riuscire a riconoscere chi è l’uno e chi è l’altro. Dal momento però in cui inizia a farlo, a rendersi conto che sono due entità distinte e separate e riconosce la madre come ‘altro da sé’, ecco che le cose si complicano e nasce una relazione tra i due. Quando la madre soddisfa il bambino e i suoi bisogni, i sentimenti del piccolo sono positivi e pacifici, di grande armonia tra loro, in caso contrario, se il bambino sente che la madre non è stata sufficientemente presente e appagante, ma frustrante e assente, viene travolto da sentimenti di rabbia, distruzione, invidia, che non riesce a controllare e che crede possano onnipotentemente ferirla e distruggerla. Questo però lo terrorizza in quanto la madre è la persona che lo accudisce, lo protegge, lo cura, e da cui dipende, rappresenta l’interezza del suo mondo, per cui subentra in lui il desiderio di riparare ciò che sente di aver distrutto in lei. Senza il mondo intorno, ovvero la madre, non ci può essere possibilità di vita nemmeno per lui.
Ed è solo nel momento in cui lui può sentire, comprendere di aver distrutto, quando ha quindi una identificazione col sentire dell’altro, quando entra nella fase riparativa, che inizia il suo vero percorso di relazione e di crescita.
Credendo però di aver distrutto la madre, il bambino si sente colpevole e impoverito. Crede di aver perduto anche la perfezione dell’amore e dell’onnipotenza originaria che esisteva inizialmente nella coppia madre-bambino, quindi, nel momento in cui prova e riesce a restaurare ciò che aveva distrutto, si sente a sua volta più forte, più potente, più creativo.
È da questa percezione del sentimento dell’altro, che nasce anche il senso del peccato, la possibilità di sentire la colpa: solo identificandosi nell’altro, capendo cosa l’altro stia provando, si può capire ciò che si è fatto, valutare l’entità del danno apportato. Ma è, allo stesso modo, solo nel momento in cui si riesce a riparare, che ci si può sentire di nuovo integri, completi, potenti, non distruttivi, buoni, appagati.
In maniera speculare è anche possibile comprendere la possibilità di perdonare. Se si capisce perché l’altro ci ha ferito e le motivazioni che lo hanno spinto, identificandosi nel suo sentire, non si è così lontani dal comprendere, condividere e riuscire a ‘passarci sopra’, ovvero perdonare.
Tutte queste esperienze fanno parte della storia di ognuno di noi, ma anche dell’umanità intera.
Morale dell’obbedienza e della perfezione
Per arrivare infatti a capire la morale dell’obbedienza e della perfezione che ha contraddistinto tanti secoli della nostra storia, riprendiamo il percorso evolutivo, considerando il progredire del pensiero dell’uomo. Possiamo constatare che questa stessa fase invidiosa, distruttiva e vorace viene riportata in tutte le mitologie e che, a ben guardare, fa parte di un percorso, di un pensiero, di un sentire, di una memoria comune che ritroviamo in tutte le zone della terra.
In tutte si parla di un diluvio universale, che è arrivato come punizione divina per la disobbedienza e la voracità degli uomini, sia della morte che è la punizione per aver profanato o l’albero della vita o determinate regole che erano state date dagli dei ai mortali. In molti di questi miti, specialmente dove troviamo l’albero e il serpente o, al posto e del serpente, un drago o un demone, la colpa originaria è della donna e spesso il castigo più terribile è proprio la perdita dell’immortalità.
Anche di questo sappiamo la ragione. Da una parte deriva dalla perdita dell’onnipotenza legata alla separazione dalla madre (assimilata nel primitivo come nel bambino all’ambiente circostante e alla divinità, dato che tutto era conglomerato insieme), dall’altra deriva dall’avvento del patriarcato. Come sostiene infatti Bachofen, poi ripreso da Fromm, mentre nel matriarcato la legge che governa è quella dell’amore e dell’accoglienza, in quanto tutti sono figli di madre e fratelli tra loro, nel patriarcato invece, come constatato da Freud, la legge diventa quella della competitività, dell’aggressività, della paura e del tradimento. Si viene a creare l’orda selvaggia, da lui descritta, in cui tutti i fratelli unendosi tra loro riescono a uccidere il padre e impadronirsi del suo potere.
La società diventa violenta e segue la legge del taglione: occhio per occhio, dente per dente, il tutto in un’ottica punitiva e negativa. Si insegna a combattere sempre e a non avere pietà. Si perde quell’etica naturale a cui ogni società e ogni individuo dovrebbero invece far capo, ovvero: se capisco il male che faccio, ho paura che ritorni, e il farlo mi depaupera della mia interezza e integrità, sono fortemente motivato ad astenermi dal commetterlo.
Ma oggi sappiamo che il male che viene commesso o la capacità di individuare il male che può essere fatto o procurato, viene recepito proprio attraverso il sistema dei neuroni specchio, attraverso la capacità di identificarsi e che questo è un retaggio comune a molte specie.
In tutto il periodo patriarcale, quindi, la società è violenta e punitiva e c’è il costante tentativo di sopraffare l’altro e di tenerlo in proprio dominio. E’ da questo momento che iniziano le guerre di conquista e la formazione delle classi sociali. Viene insegnato a non identificarsi mai con l’altro (si pensi ai giovani spartani che per essere considerati adulti dovevano uccidere un uomo così, a caso), perché utilizzare questa capacità, mettersi nei panni dell’altro, comporterebbe la perdita del potere, non si comanderebbe più dall’alto, non se ne sarebbe più padroni assoluti. Con queste regole sociali non può sussistere la possibilità di identificarsi o di perdonare che esiste solo nella comprensione dei bisogni dell’altro. Come detto, il perdono è dato proprio dal comprendere perché l’altro ha compiuto quella azione, immedesimandosi in lui.
Facendo questo, però, il potere diminuisce. Nel momento infatti in cui uno ha tutto il potere e l’altro è completamente asservito e obbligato alla sottomissione, il potere di chi comanda è forte, ma se il “padrone” si mette a livello dello “schiavo”, fino ad arrivare ad una situazione di fratellanza, il suo potere diminuisce sempre di più. Questo comportamento, questo vissuto, comporta però anche la perdita del senso di benessere e ravviva la paura del ritorno magico del male compiuto, che è sempre presente nel nostro inconscio.
Un simile modo ancora magico e arcaico di leggere la realtà si trova nel Vecchio Testamento: ogni cosa che ci capita, è perché ci si è comportati in un certo modo, anche le malattie derivano da una colpa, sono punizioni divine.
Ben diverso e più moderno è il messaggio del Nuovo Testamento, sono le parole e le parabole di Gesù.
Bisogna però considerare che la dicotomia tra punizione e misericordia che si trovava già nella Bibbia, ma che nel Vangelo, propende in larghissima misura verso la misericordia dipende dal duplice bisogno: da una parte di educare un popolo con delle regole che devono essere profondamente assimilate e rispettate, e dall’altra dal bisogno di reintegrare e ricoinvolgere anche chi non è riuscito ad attuarle nel modo dovuto, dalla capacità di riaccogliere i più deboli, dal potersi identificare con l’altro e rispettare la sua identità, dalla possibilità del perdono. Tutto questo ci porta però ad essere reintegrati di nuovo a livello di figli e di fratelli tra noi.
Ecco l’agape e la philia. Ecco ciò che viene annunciato nelle beatitudini.
Crescita
Etica dell’impegno responsabile e della perfettibilità
Il passaggio, quindi, che viene fatto, l’iter che viene percorso anche nell’insegnamento biblico e nel Vangelo è dunque questo, e dipende da come noi uomini siamo stati in grado di interpretare e di capire quello che vedevamo e che ci veniva trasmesso nel corso della nostra storia. Siamo passati dall’immagine di un Dio onnipotente e terribile, a cui tutti cercano di rubare l’onnipotenza, come nell’episodio di Lucifero, o per la cui benevolenza ci si macchia dei più grossi crimini, come nella storia di Caino, tanto invidioso del rapporto che ha il fratello con Dio, da eliminarlo, a un Dio che chiede anche il nostro aiuto, la collaborazione armoniosa dell’intera umanità per costruire e far compiere il mondo, a un Dio che va a sua volta ‘costruito’.
È questa un’ottica evoluzionistica e rivoluzionaria, che si sta sempre più rivelando a noi, ma è anche l’ottica intuita da Teilhard e che ora, a tutti i livelli, si sta evidenziando sempre di più.
Come dice Teilhard, infatti, “Il Corpo di Cristo deve essere interpretato con audacia, così come l’hanno intuito e amato san Paolo e i Padri: forma un mondo naturale e nuovo, un Organismo animato e mobile, nel quale siamo tutti uniti, fisicamente, biologicamente”,[1] concetto questo sempre più condiviso e attuale.
Anche nell’enciclica Laudato sii Papa Bergoglio riporta l’episodio del lupo che si trova nei fioretti di San Francesco, ed esorta a una nuova conversione in cui la natura e tutte le sue creature siano rispettate (a cominciare dagli altri esseri umani…) e in cui dobbiamo tutti costruire, non lasciare nulla di intentato rispetto alla perfettibilità della creazione.
Misericordes sicut Pater
È questa la vera ottica costruzionistica ed evolutiva: solo se ci comporteremo adeguatamente riusciremo a costruire la terra. La santità, che è compito anche nostro, va sempre ricercata, perché Dio, che ci ha creato materia e spirito, ci vuole portare a costruire un mondo sempre più perfetto, più giusto, più onesto e più vero. Questo deve essere fatto con le nostre mani, materialmente, e con la nostra crescita personale, spiritualmente, per andare a creare un’Opera globale, un’Unità, (psicologica e fisica), formata da “monadi unite da intimi legami che nella vicinanza reciproca si affinano e migliorano”. Perché siamo fatti di materia e di spirito, di anima e corpo, ma questi due versanti fanno parte di una totalità che è completata solo nell’interezza e nella sinergia, così come il Corpo di Cristo è completo solo nel momento in cui vi venga integrato ogni individuo.
[1] Pierre Teilhard de Chardin, L’uomo l’Universo e Cristo, Jaca Book, Milano 2012, p. 30