Lasciare essere Dio ciò che è. L'esperienza contemplativa dell'unità, secondo il discernimento teilhardiano

Carlo Molari

Lasciare essere Dio ciò che è.

L’esperienza contemplativa dell’unità,

secondo il discernimento teilhardiano.[1]

 

La relazione che mi è stata chiesta ha due parti: la prima, “Lasciare essere Dio ciò che è” riguarda il nostro rapporto con Dio, la seconda, “L’esperienza contemplativa dell’unità, secondo il discernimento teilhardiano” riguarda il divenire umani attraverso i rapporti con le creature.

Il titolo della prima parte esprime la convinzione dell’inconoscibilità divina. Non siamo in grado di dire Dio e accettiamo questo limite: nell’accettarlo lo stabiliamo e rendiamo significativo il pluralismo religioso. Come tale il pluralismo è una ricchezza e rappresenta i molteplici aspetti della esperienza religiosa.

Essendo però Dio oggetto unico della pluralità religiosa, questa porta con sé una tensione interiore, a una convergenza unificatrice, che non si realizza mai interamente, perché i modelli umani sono sempre limitati e ogni traguardo di convergenza raggiunta attraverso il dialogo, apre orizzonti nuovi. Ogni esperienza religiosa contiene la tensione al suo superamento. Di qui la pluralità delle religioni come ricchezza e relatività. Questo non significa che non si possa dire nulla di Dio, ma che ciò che diciamo esprime la nostra esperienza, parla più di noi che di Dio.

Il titolo della seconda parte riguarda il nostro divenire umani attraverso i rapporti che ci differenziano unendoci. L’uomo è inserito nel processo evolutivo: l’unione differenzia, più cresce la comunione e più distingue le persone. Noi tutti abbiamo scelto il riferimento teilhardiano per la nostra ricerca, la nostra preghiera e la nostra contemplazione. Le categorie della convergenza sono chiare: causalità finale o attrattiva, unificazione che cresce senza esaurirsi.

      Dio non fa le Cose

Mettiamo subito in luce la consapevolezza che non possiamo pretendere troppo dal nostro linguaggio. Noi non sappiamo chi è Dio né possiamo dirlo. Non possiamo saperlo perché le parole che noi utilizziamo nascono solo dalla nostra esperienza. Gli antichi pensavano diversamente fino al secolo scorso, alcuni persino pensavano che Dio stesso avesse insegnato agli uomini il linguaggio. Si parlava tra di noi nella convinzione che le nostre parole avessero un valore assoluto, esprimessero la verità delle cose. Mentre non è così.

Tradizionalmente si cita la data del 1913 per indicare il capovolgimento realizzatosi nello studio del linguaggio umano. La data è quella della pubblicazione dell’opera del glottologo svizzero Ferdinand de Saussure (Ginevra 1857-1913) redatta dai suoi discepoli attraverso gli appunti e pubblicata postuma[2]. Da allora tutte le scienze - la fisica, la psicologia, la psichiatria, la filosofia, la teologia ecc. -  si sono interessate del linguaggio e tutte hanno concluso che il linguaggio non è l’espressione della realtà ma è la reazione al rapporto con le cose. In ogni nostra parola c’è sempre una componente soggettiva che non possiamo eliminare; ciascuno di noi utilizza il linguaggio in modo proprio, con sfumature che altri non utilizzano. Di qui deriva la necessità del pluralismo linguistico: ciascuna lingua esprime in modo diverso la stessa esperienza. Anche da un punto di vista religioso, perché nessuna religione può avere la pretesa di esaurire l’esperienza umana. Noi non possiamo pretendere di sapere chi e cosa è Dio. Dobbiamo moltiplicare le parole per esprimere la realtà di Dio.

Teilhard de Chardin utilizzava già negli anni ‘20 questa formula: “A rigor di termini Dio non fa; Egli fa sì che le Cose si facciano. Ecco perché dove egli passa non v’è effrazione, non v’è fessura. La rete dei determinismi rimane intatta, l’armonia degli sviluppi organici si prolunga senza dissonanza. Eppure il Padrone è entrato in casa sua. Ma allora, dirà qualcuno, se questa è la condizione dell’azione di Dio, essere sempre velata di casualità, di determinismo, d’immanenza, eccoci costretti ad accettare che la causalità divina non sia direttamente osservabile, né in quanto creatrice, nel moto dell’ordine del Mondo, né in quanto rivelatrice, nel miracolo. Senz’alcun dubbio”[3]. Le creature diventano: è un processo reale che richiede tempo e non si può improvvisare.

Su Études (giugno 1921) Teilhard critica una formula usata in ambito cattolico. “Si va ripetendo: ‘il trasformismo è un’ipotesi’. Questa affermazione è vera quando si tratta di teorie specifiche di un discepolo di Lamarck e di Darwin. Ma se con ciò si intende dire che siamo liberi di considerare o no gli esseri viventi come una successione di elementi apparsi ‘in funzione fisica’ gli uni dagli altri (qualunque sia del resto la natura esatta di questa funzione) ci si sbaglia. Ridotto all’essenziale il trasformismo non è un’ipotesi. È l’espressione particolare, applicata al caso della vita, della legge che condiziona tutta la nostra conoscenza del sensibile: nulla è comprensibile nella materia, se non sotto forma di serie e di insiemi. Tradotto in linguaggio creazionista questa legge è ortodossa. Essa significa che, allorché la Causa prima opera, non si intercala agli elementi di questo mondo, ma agisce direttamente sulle nature, in  tal modo, si potrebbe dire, che Dio non tanto ‘fa’ le cose ma ‘fa sì che si facciano’. Ciò che deve stupire allora non è che i credenti aderiscano alla verità nascosta in fondo al trasformismo, ma piuttosto che non riconoscano con facilità, sotto il linguaggio talvolta inaccessibile degli evoluzionisti, la cattolica e tradizionale tendenza a salvaguardare la virtù delle cause seconde alla quale, ancora assai recentemente un teologo molto avveduto, che è anche un vero scienziato ha saputo dare il bel nome di ‘naturalismo cristiano’”[4].

In nota lo stesso Teilhard indica il riferimento al teologo Henry de Dorlodot professore di Geologia all’Università di Lovanio, già docente di Teologia al seminario di Namur, di cui cita queste parole: “Lo spirito di naturalismo cristiano è sempre stato onorato dalla Chiesa e solo nelle epoche di decadenza lo si è visto indebolirsi in una certa misura. Con il nome di naturalismo cristiano, intendo esprimere la tendenza di attribuire all’azione naturale delle cause seconde tutto ciò che la ragione e i dati positivi delle scienze di osservazione accordano loro senza esitazione, e a non ricorrere a un intervento di Dio, distinto dagli atti del suo dominio generale, se non in caso di assoluta necessità”[5].

In un articolo del 1925, Teilhard concludeva: “mai si è stati più lontani di oggi dall’antico creazionismo che rappresentava gli esseri come comparsi, tutti formati, in mezzo a un contesto indifferenti nel riceverli. Le idee, come la Vita di cui sono la più alta manifestazione, non tornano mai sui propri passi”[6]. In nota aggiungeva: “È necessario ricordare che, lungi dall’essere incompatibili con l’esistenza di una Causa Prima, le vedute trasformiste così come sono qui esposte sono invece la più nobile e riconfortante maniera di rappresentarci il suo influsso? Per il trasformismo cristiano non si pensa più che l’azione creatrice di Dio sospinga intrusivamente le sue opere nel mezzo di esseri già esistenti prima, ma faccia nascere, in seno alle cose, i termini successivi della sua opera. Essa non pare, per questo, né meno essenziale, né meno universale, né soprattutto meno intima”[7].

      La terminologia evolutiva

Queste parole richiamano la lettera enciclica Laudato si’ di Papa Francesco il quale di Dio scrive: “Egli è presente nel più intimo di ogni cosa senza condizionare l'autonomia della creatura. Questa presenza divina che assicura la permanenza e lo sviluppo di ogni essere è ‘la continuazione dell'azione creatrice’”.[8] La formula virgolettata è di Tommaso d’Aquino. Il papa aggiunge: “Lo spirito di Dio ha riempito l’universo con le potenzialità che permettono che dal grembo stesso delle cose possa sempre germogliare qualcosa di nuovo”. Continua con un’altra citazione di Tommaso d’Aquino che commenta Aristotele. Tradotta in un linguaggio più moderno, dice così: “La natura non è altro che il principio di una certa capacità di agire, iscritta nelle cose per cui le cose stesse si muovono verso un determinato fine, come se il maestro costruttore di navi potesse concedere al legno, di muoversi da sé per prendere la forma della nave”.

Questo scriveva Tommaso d’Aquino: muoversi da sé per prendere la forma della nave. Non c’è un progetto divino, concepire Dio che progetta la nostra vita è insensato. Dio ci offre molte possibilità di lasciarci attrarre dal bene, dalla verità, dalla giustizia, per diventare figli. Quindi le creature sono invitate a “diventare” non imponendo un progetto divino ma offrendoci la possibilità di sviluppare il nostro progetto nella varietà delle offerte divine.

È interessante il fatto che nello stesso contesto Papa Francesco per la prima volta, in un documento solenne, richiama Teilhard con tre interventi dei Papi precedenti - Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI - che hanno ricordato Teilhard. Paolo VI in uno stabilimento farmaceutico, Giovanni Paolo II in una lettera al gesuita Georges Coyne, Direttore della specola vaticana, e di Benedetto XVI ai seminaristi di Aosta durante i Vespri. Sono occasioni minori e non riportano nessun testo di Teilhard. Papa Francesco per la prima volta in un documento solenne cita Teilhard de Chardin, scrive infatti: “Il traguardo del cammino dell’universo è nella pienezza di Dio che è stata raggiunta da Cristo risorto fulcro della maturazione universale, in tale modo aggiungiamo un ulteriore argomento per rifiutare qualsiasi dominio dispotico e responsabile dell’essere umano sulle altre creature. Lo straordinario delle altre creature non siamo noi, invece tutte avanzano assieme a  noi, attraverso di noi, verso la metà comune che è Dio, in una pienezza trascendente dove Cristo risorto abbraccia e illumina tutto. L’essere umano infatti dotato di intelligenza, di amore e attratto dalla bellezza di Cristo è chiamato a ricondurre tutte le creature al loro creatore” [9]

La formula trinitaria

La mia opinione è che il linguaggio trinitario di per sé deriva dal nostro rapporto con Dio secondo le dimensioni del tempo (passato, presente, futuro) che strutturano nel soggetto le tre virtù teologali: fede, speranza e carità.

Con la fede affermiamo la realtà di Dio che si è espressa nel passato come parola, evento, parola, storia, tradizione, scrittura, interpretazione. Con la fede cioè indichiamo tutto il passato dell’azione salvifica di Dio. Con la speranza indichiamo il suo futuro, quello che ancora non possiamo avere scoperto, e che solo attraverso l’esperienza, un po’ alla volta, possiamo formulare. Tutto questo, viviamo in ogni singolo momento del presente, in cui l’azione di Dio si rinnova e diventa dono da offrire ai fratelli.

La prospettiva temporale è utilizzata in diversi luoghi dell’Apocalisse dove Dio viene descritto con riferimenti temporali: “Grazia a voi e pace da Colui che è, che era e che viene” (Ap. 1, 4); “Dice il Signore Dio: io sono l’Alfa e l’Omega, Colui che è, che era e che viene: l’Onnipotente (Ap 1,8). La TOB nota: “questa designazione divina, che ricorre molte volte nell’Apocalisse, è una specie di esplicitazione del Nome divino rivelato a Mosè sull’Oreb, secondo Es. 3,14” e aggiunge “nel Targum di Gerusalemme (versione aramaica dell’Antico Testamento) il testo di Esodo 3, 14 il nome divino è amplificato secondo un ritmo ternario: Colui che era, che è e che sarà. L’Apocalisse adotta un’amplificazione simile, ma cambia che sarà in che viene, sottolineando così il tema escatologico della venuta”[10].

La triade teologale, fede, speranza e carità, è la base linguistica attraverso la quale si è sviluppato il linguaggio trinitario che indica il nostro rapporto con Dio nella prospettiva temporale in cui noi la viviamo. Non possiamo andare oltre, non possiamo dire chi è Dio in sé.

Lasciar essere Dio ciò che è, esprime quindi la nostra difficoltà di parlare di Dio, ammette la nostra inconoscibilità nei confronti di Dio, non possiamo sapere chi e cosa è Dio, per questo il silenzio della adorazione è la conclusione di ogni cammino religioso. Questo non vuol dire che non possiamo dire nulla di Dio, solo dobbiamo avere la consapevolezza che ciò che diciamo non riguarda Dio in sé ma il nostro rapporto con Lui/Lei. Parliamo più di noi che di Dio.

Da questa convinzione deriva anche la necessità del pluralismo religioso. Anche l’ateismo è una componente essenziale del nostro cammino. Il buddismo nell’affermare che non possiamo parlare di Dio sottolinea questo aspetto. Il nostro linguaggio relativo a Dio ha un significato, solo che non indica la realtà di Dio in sé, indica la nostra relazione, l’esperienza che abbiamo nel rapporto con Dio. È un punto importante perché attraverso il rapporto con Dio noi diventiamo persone.

La presenza del male

Il divenire è una componente intrinseca alla nostra realtà di creature. Teilhard ha messo in luce che il male come imperfezione e incompiutezza. è una realtà necessaria al processo creativo. Le creature non possono accogliere in un solo istante tutta la propria perfezione, ma possono diventare se stesse solo nella successione degli eventi, passo dopo passo. Questo significa che l’uomo non può essere creato perfetto fin dall’inizio. L’inizio non può essere il luogo o l’ambito della perfezione. Noi non possiamo accogliere in un istante solo tutta la ricchezza dell’azione di Dio che ci rende Figli suoi. Dio ci offre tutta la nostra perfezione, ma noi la accogliamo solo nella successione degli eventi. Non diventiamo persone in un istante. Noi diventiamo umani giorno dopo giorno. La creatura nasce imperfetta, incompiuta, e più la perfezione è grande, più l’incompletezza iniziale pesa maggiormente. Per questo si può parlare anche di peccato originale non nel senso di perfezione perduta, ma incompiuta e progressiva. L’uomo non può essere perfetto fin dall’inizio, deve necessariamente crescere. Più la sua perfezione è grande, più carente è il suo inizio. Da questo dato deriva la presenza del male come componente essenziale della creazione: l’imperfezione iniziale può essere superata, il male non può essere evitato. L’unica soluzione per evitare il male sarebbe quella di non creare, ma la creazione c’è ed è un bene. Però è importante tenere presente questo dato: Dio è creatore nella continuità del tempo. La creazione non si esaurisce in un istante, ma è un processo che continua, anzi più passa il tempo, più la creatura cresce, più l’azione creatrice ha modo di esprimersi. Sarebbe sbagliato dire che Dio intensifica la sua azione perché non possiamo dire ciò che avviene in Dio: non possiamo parlare di Dio mettendoci dalla sua parte. Non è Dio ad esprimersi in modo più intenso, siamo noi che accogliamo l’azione creatrice solo a frammenti nella successione delle nostre esperienze. Il cammino dell’umanità si sviluppa anche a livello spirituale. Cambiano le prospettive, i modi di interpretare: è un cammino che procede costantemente.

Le strutture religiose si sviluppano anche giungendo alla negazione di Dio, perché il modo come noi pensiamo Dio è sicuramente sbagliato, però dobbiamo continuamente procedere e giungere a nuovi traguardi. Per questo il pluralismo religioso non è un male ma ha una funzione positiva, è una ricchezza. Nessuna lingua può esprimere compiutamente l'esperienza umana. La pluralità delle lingue serve a completare il cammino umano nella storia, ciascuno nel proprio limite. Questo vale per tutte le religioni, anche per il cristianesimo. Oggi le comunità ecclesiali stanno facendo dei passi avanti nel dialogo interreligioso. Prima era proibito il dialogo interreligioso, era proibito fino al Vaticano II poi nell’ambito cattolico, nell’ambito luterano, nell’ambito riformato ci sono state resistenze notevoli. Oggi è un passo ulteriore che dobbiamo fare. Papa Francesco in questo è stato esemplare.

Lo sviluppo che la nostra vita spirituale ha avuto nei secoli ed ha tuttora non è un semplice sviluppo di ciò che era prima, ci sono dei salti qualitativi; per cui ciò che prima era proibito diventa possibile, anzi necessario in certe situazioni. Prima era proibito, non perché gli uomini fossero più cattivi di noi ma erano in cammino, come noi siamo in cammino. Lasciare essere Dio ciò che è significa anche ammettere l’insufficienza delle nostre formule, l’inadeguatezza delle nostre parole, anche se non sappiamo ora individuarne sempre i limiti. Dobbiamo continuare a riflettere certi che qualcosa in quello che diciamo domani non diremo più, o almeno i nostri successori non diranno più non possiamo pretendere di individuare ora tutti i limiti del nostro linguaggio su Dio. Questo per gli uomini è un insegnamento importante perché devono scoprire man mano quali sono questi aspetti, ma sempre con la consapevolezza che anche quelle formule a cui pervengono sono inadeguate, non definitive e domani saranno corrette. Tutti abbiamo una responsabilità nei confronti anche di quelli che parlano diversamente, anche di fronte agli atei, che svolgono una funzione importante proprio nell'individuare i limiti di ciò che noi diciamo relativo a Dio. Questo discorso è certamente imperfetto. Ma se ci sono delle difficoltà che voi già intravedete dovete intervenire perché è sicuro che in quello che io dico c’è un’imperfezione. Però non sempre posso individuare, voi può darsi che possiate già individuare quello che è imperfetto. Questo è il senso del dialogo, la sua necessità.

La causalità attrattrice

L’ultima indicazione di questo primo punto riguarda un aspetto su cui Teilhard ha molto insistito: l’azione creatrice è soprattutto attrazione.

Non vi è alcun dubbio: Teilhard de Chardin considera la causalità creatrice fondamentalmente come causalità attraente. Dei quattro aspetti fissati dalla scolastica aristotelica: materiale, formale, efficiente, finale, quest’ultima prevale nella causalità creatrice. In modo molto chiaro Pieter Smulders esprime questa acquisizione richiamando due immagini dell’attività creatrice di Dio. La prima è Dio come meta finale che “occupa un posto principale nei suoi scritti: l’esistenza di divenire del mondo ha un orientamento, una meta finale, e questa meta finale non è altro che Dio, come lo sviluppa lui stesso nella sua deduzione del Punto Omega. Il Dio Creatore ‘appare’ al termine del cammino della Terra e dell’umanità; dunque appare come il ‘Dio dell’in-avanti’ L’attività creatrice di Dio […] appare anche come forza di attrazione che attrae tutto a lui, a una partecipazione sempre più perfetta della sua pienezza”[11]. Pieter Smulders cita una conferenza tenuta a Pechino il 15 novembre 1942 dal titolo “Il posto dell’uomo nell’Universo. Riflessioni sulla Complessità” nella quale Teilhard afferma: “Comprendiamo ora che questo movimento paradossale è sostenuto da un primo Motore in avanti. Il ramo cresce  non già sostenuto dalla base, ma sospeso all’avvenire[12]. Smulders continua: “La seconda raffigurazione a cui Teilhard ricorre qualche volta, è quella del ‘Dio evolutore’ o del ‘Creatore di tipo animante’: parole sul cui significato facilmente ci si inganna. Il termine ‘evolutore’ ha qui un significato transitivo e diventa il parallelo grammaticale di ‘creatore’ […] L’azione di Dio vi rappresentata come la sorgente permanente e profonda della vita cosmica, che regge e anima l’azione interna propria del cosmo. Al contrario dell’antico creazionismo, che si raffigurava la creazione come la prima origine delle cose, questa immagine vuol dire che la creazione è la sorgente permanente e profonda che alimenta instancabilmente lo sviluppo del cosmo. Essa esprime anche l’antico domma della creazione; però gli conferisce una nuova forma di rappresentazione che pone al centro l’influenza permanente e ininterrotta dell’azione creatrice divina, sempre presente nella dottrina ma poco esplicitata nell’antica raffigurazione”[13].

Noi siamo abituati a insistere di più sulla causalità efficiente, noi facciamo le cose e sottolineiamo maggiormente questo aspetto. Teilhard de Chardin ha insistito di più sull’aspetto della causalità finale. Dio attrae e in tale modo crea dal nulla. Non spinge alle spalle, ma fa emergere dal nulla. Noi facciamo le cose utilizzando altre cose, la nostra azione si sviluppa maggiormente nell’ordine dell’efficienza. L’azione di Dio è prevalentemente nell’ordine dell’attrazione: Dio affascina. La sottolineatura sulla bellezza che in questi ultimi anni è stata fatta in rapporto a Dio, ha recuperato questo aspetto che spesso prima veniva trascurato. Le creature crescono non perché spinte alle spalle, ma perché attratte dal proprio futuro, in un certo senso, appese al futuro. Teilhard de Chardin come paleontologo si interessava del passato, ma come profeta ha sviluppato la sua riflessione parlando del Dio che attira dal futuro: il Punto Omega è la realtà finale. Si può anche chiamare Principio, però è soprattutto la fine che ci attende. Anche da questo dato deriva l’impossibilità di definire Dio, proprio perché siamo appesi  alla sua realtà che ci attira, man mano che procediamo scopriamo cose nuove. Di qui l’importanza dell’esperienza spirituale, dobbiamo sperimentare accogliendo qualcosa che prima non poteva essere accolta. L’espressione di amore che oggi ci è richiesta prima non è stata mai possibile, non poteva essere realizzata. La prospettiva si è allargata un po’ alla volta, oggi ha raggiunto i confini del pianeta Terra. Anche a livello umano dobbiamo raggiungere un’unità che prima non poteva essere realizzata. Per secoli abbiamo programmato le guerre in nome di Dio. Pensate alle Crociate con tutte le conseguenze che sono derivate e che tuttora pesano sulla storia. Non erano frutto di malvagità umana. La volontà di Dio la interpretavano in questo senso - lo stesso errore che commettono oggi gli estremisti islamici. Nel passato era una scelta necessaria, non erano possibili altre forme di fraternità. Oggi non solo sono possibili, ma sono diventate necessarie.

Teilhard de Chardin utilizza una formula che è stata anche criticata: Dio creando, attrae gli esseri infinitamente dispersi, il nulla è la realtà infinitamente dispersa, che viene attratta dalla forza creatrice e conduce alla costituzione progressiva di tutto il reale. Lo stesso fenomeno evolutivo realizza questo processo: Dio continua a creare.

L’amore convergente

Passando al secondo punto dovremmo parlare della “unificazione convergente” perché finora non ho detto niente dei nostri impegni. La conseguenza di tutto quello che ho detto è che tutti noi dobbiamo diventare strumenti del processo creativo giunto a livello di amore convergente. Questo è fondamentale nel processo appeso all’avvenire. Il traguardo finale dell’evoluzione è lo sviluppo del nostro amore. Teilhard parla di un neoantropocentrismo in movimento[14].

Nel luglio 1951 “prima di partire per il Sud Africa Teilhard ha dettato a Solange Lemaître una pagina “molto notevole” sull’amore da cui richiamiamo questo passo: “la parola Amore […] è di tutte la più bella. Ha le vibrazioni più belle. È una fiamma che brucia tutto, trasforma tutto, innalza tutto. Il messaggio d’Amore che ho voluto dare – il mio Messaggio- è la Crescita dell’uomo verso Dio, vale a dire ancora l’Amore in tutte le religioni, comprese le religioni dell’Oriente, perché tutte sovrabbondano d’amore e solo l’Amore conta[15].

“È bello dominare e disciplinare le potenze dell’etere e del mare. Ma che trionfo è questo paragonato alla padronanza globale del pensiero e dell’amore umano? In verità, mai una opportunità più bella si è presentata alle speranze e agli sforzi della Terra”[16].

“…Ma venga il tempo (e verrà) in cui la massa si renderà conto che i veri successi umani sono quelli riportati sui misteri della Materia e della Vita… Allora suonerà per l’Uomo un’ora decisiva: quella in cui lo Spirito della Scoperta assorbirà la forza viva contenuta nello Spirito della Guerra. Fase capitale della Storia, in cui tutta la potenza delle flotte e delle armate, trasformata, raddoppierà quell’altra potenza che, grazie alla macchina, sarà inoccupata, sicché una marea irresistibile di energia libera salirà verso le zone più progressive della Noosfera”[17].

Di questa massa di energia disponibile, una parte importante verrà subito impegnata nell’espansione umana nel mondo materiale. Ma un’altra porzione, quella più preziosa, rifluirà necessariamente sino al livello dell’energia spirituale.

“L’energia spiritualizzata […] è il fiore dell’Energia Cosmica. Essa rappresenta pertanto la frazione più interessante delle forze umane da organizzare. In quali direzioni principali possiamo ipotizzare che essa cammini e che noi possiamo aiutarla a svilupparsi in seno alle nostre nature individuali? Senz’altro, bisogna rispondere, nel senso di una fioritura decisiva di certe nostre capacità di sempre, assieme all’acquisizione di nuove facoltà o gradi di coscienza inedita” [18].

 “L’Amore, alla pari del pensiero, è sempre in pieno aumento nella Noosfera. Ogni giorno diventa più evidente l’eccedenza delle sue crescenti energie sui bisogni sempre minori della propagazione umana. Ciò significa che, nella sua forma pienamente ominizzata, questo Amore tende a svolgere una funzione molto più ampia del semplice richiamo della riproduzione. Verosimilmente, tra l’uomo e la donna, sonnecchia ancora uno specifico e reciproco potere di sensibilizzazione e di fecondazione spirituale. Grazie alle illimitate possibilità d’intuizione e di correlazione che reca con sé, oltre un certo grado di sublimazione, l’amore spiritualizzato penetra nell’ignoto”[19].

Credo che possiamo concludere con una discussione con tutti gli altri oratori, perché importante per noi  rendersi conto che abbiamo un compito fondamentale: più passa il tempo più ci è chiesto di diventare testimoni della misericordia e dell’amore di Dio e diventare quindi strumenti della nuova umanizzazione. La nuova evangelizzazione è l’annuncio di traguardi nuovi di umanità che possiamo raggiungere aprendoci a una forza creatrice che in noi può giungere a forme inedite di amore, prima impossibili, ma oggi necessarie.

 

[1] Articolo apparso su Teilhard aujourd’hui 30 (maggio 2019). Riporta l’intervento di  d. Carlo al ritiro dell’Associazione Italiana Teilhard de Chardin tenutosi a Bose il 30 aprile – 1 maggio 2019. Ristampato in "La saggezza e l'esperienza. Diafania di una luce fulgida sul sentiero del sentire", Quaderni di Teilhard aujourd'hui 7/I (2019)

[2] Ferdinand de Saussure, Corso di linguistica generale, Laterza, Roma-Bari 1967, 2009

[3] Pierre Teilhard de Chardin, Note sulle modalità dell’azione divina nell’Universo, (1920), in La mia fede. Scritti teologici, Queriniana, Brescia 1993, 20082 p. 33.

[4] Pierre Teilhard de Chardin, Come si pone  oggi il problema del Trasformismo,  giugno 1921 pp. 5-20, ora in La visione del passato, tr. it., Jaca Book, Milano 2016 pp. 1-19 qui pp. 18s.

[5] Henry de Dorlodot, Le Darwinisme au point de vue de l’orthodoxie catholique, Louvain 1913 p. 93. Nouvelle édition Vromant, Bruxelles 1921 p. 115.

[6] Pierre Teilhard de Chardin, Il paradosso trasformista. A proposito dell’ultima critica al trasformismo di M. Vialleton,  in Revue  des questions scientifiques, gennaio 1925 ora in La visione del passato, cit.,  pp. 71-92.

[7] Ivi p. 92 n. 14.

[8] Papa Francesco, Lettera enciclica Laudato si’, 24 maggio 2015, n. 80. La citazione è tratta dalla Summa theologiae, I q. 104 a1 ad 4.

[9] Dopo la parola “universale” il Papa cita tre richiami dei papi precedenti al “gesuita proibito” (nota 18): “In questa prospettiva si pone il contributo del P. Teilhard de Chardin”; seguono tre citazioni: di Paolo VI,  Discorso in uno stabilimento chimico Farmaceutico (24 febbraio 1966): Insegnamenti 4 (19), 992-993;  di Giovanni Paolo II, Lettera al reverendo  P. George V. Coyne  (1 giugno 1988): Insegnamenti 11/2 (1988), 1715; di Benedetto XVI, Omelia nella celebrazione dei Vespri ad Aosta (2 luglio 2009): Insegnamenti 5/2 (2009), 60..

[10] Bibbia TOB, LDC Torino nota h a Ap 1,4 pp. 2870 s. Cfr. anche Ap. 4,8; 11,17; 16,5.

[11] Pieter Smulders,  La visione di Teilhard de Chardin, Borla, Torino 1965 p. 84.

[12] Pierre Teilhard de Chardin, La place de l’homme dans l’Univers. Réflexions sur la complexité, in La vision du passé, Seuil Paris p. 323. Tr. it. La visione  del  passato, Jaca Book,  Milano 2016,  p. 221.

[13] Pieter Smulders,  La visione di Teilhard de Chardin, cit., p. 85.

[14] Pierre Teilhard de Chardin, Les singolarités de l’espèce humaine in  L’apparition de l’Homme, Seuil, Paris 1956, pp. 293-369 qui p. 297. Tr. it., Le singolarità della specie umana, Jaca Book, Milano 2013, Introduzione: “Le tre paure della specie umana e i loro rimedi”:  “Senz’altro ci sarà chi solleverà delle obiezioni a questo neo-antropocentrismo di movimento - l’uomo non più centro, ma freccia lanciata verso il centro dell’Universo in corso di concentrazione” p. 4.

[15] Gérard-Henry Baudry, Teilhard de Chardin o il ritorno di Dio, Jaca Book. Milano p. 193 n. 12 cita Inedito n. 105 della Fondazione Teilhard de Chardin di Parigi

[16] Pierre Teilhard de Chardin, L’énergie humaine, in L’énergie humaine, Seuil, Paris 1962, pp. 141- 200 (6 agosto, 8 settembre 1937) qui  p. 165. Tr. it., L’energia umana,, Il Saggiatore, Milano 1984, p.170.

[17] Ibid., pp. 169-170 (tr. it. p. 175)

[18] Ibid., p. 161 (tr. it. p. 164).

[19] Ibid., p. 162 (tr. it. p. 166).