La visione eucaristica di Papa Benedetto XVI: una chiave per comprendere la sua vita e la sua teologia

P. Robert P. Imbelli

La visione eucaristica di Papa Benedetto XVI: una chiave per comprendere la sua vita e la sua teologia.[1]

 

Robert P. Imbelli, sacerdote dell’arcidiocesi di New York, ha insegnato teologia per trent’anni presso il Boston College. È autore di Rekindling the Christic Imagination (2014) e Handing on the Faith: the Church's Mission and Challenge (seconda edizione, 2017)

 

Lacerato fra consolazione e desolazione, il giovane Gerald Manley Hopkins S.J. scriveva: “al cuore dell’Ostia fuggii con un balzo del cuore”.[2] Con parole meno poetiche ma non meno intense, Joseph Ratzinger, all’epoca cardinale, definiva l’Eucarestia come “il cuore mistico del Cristianesimo, nel quale Dio emerge misteriosamente, più e più volte, da se stesso e ci comprende nel suo abbraccio”. “L’Eucarestia – scriveva in La Comunione nella Chiesa, apparso in tedesco nel 2002 – “è l’adempimento della promessa” fatta da Gesù: “Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,32).

Nel corso del suo lungo magistero ecclesiale ed accademico, non si è mai verificata, per Joseph Ratzinger, una separazione fra teologia e spiritualità, fra pensiero cristiano e devozione. In questo egli è stato chiaramente un attento e grato seguace di Sant’Agostino: pastore, dottore, guida spirituale. Le omelie di Papa Benedetto, come quelle di Agostino, sono teologicamente ricche e la sua opera teologica è nutrimento spirituale. Si tratti di omelie, catechesi o trattati, tutti manifestano una sensibilità spirituale e teologica profonda. Continueranno ad essere letti e apprezzati per generazioni.

Nella citazione di Hopkins sopra riportata, senza dubbio il poeta gesuita ha in mente in primo luogo l’ostia consacrata presente nel tabernacolo. Ma avvertiamo anche sensazioni per cui l’ostia è Gesù stesso: “Il cuore dell’Ostia”. Il cuore parla al cuore, come esclamava il mentore di Hopkins, John Henry Newman. Newman ha profondamente influenzato anche Papa Benedetto, che ha avuto la gioia di proclamarlo Beato durante la sua visita apostolica in Inghilterra nel 2010. Come Newman, Benedetto poneva la presenza reale di Gesù Cristo nell’Eucarestia proprio al centro della fede e della devozione cattolica.

Forse il misticismo eucaristico di Papa Benedetto emerge al massimo grado nella sua esortazione apostolica Sacramentum Caritatis del 2007. È stata scritta per riassumere e diffondere maggiormente il frutto dell’incontro del Sinodo dei Vescovi sull’Eucarestia. La prima frase afferma: “La Santissima Eucaristia è il dono che Gesù Cristo fa di se stesso, rivelandoci l'amore infinito di Dio per ogni uomo e ogni donna”. Naturalmente, è la narrazione evangelica della vita, della morte e della nuova vita di Gesù che espone nel modo più vivo l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità dell’amore di Gesù. La meditazione sulla storia evangelica precedeva per Ratzinger, come pure per Sant’Ignazio di Loyola, la contemplazione dell’amore di Dio che è il culmine degli Esercizi Spirituali. La meditativa Liturgia della Parola prepara la mensa per la più contemplativa Liturgia Eucaristica. Scrittura e sacramento, storia e cena, si illuminano a vicenda.

Accedere al Cuore

Ci troviamo qui di fronte, nel contesto odierno, a una sfida sconosciuta a Sant’Ignazio di Loyola e alle molte guide alla vita cristiana dei secoli precedenti. Alcuni studi biblici attuali sembrano bloccare, invece di incoraggiare, l’avvicinamento al Gesù della fede cristiana. Papa Benedetto esprime la sua preoccupazione nella Prefazione al primo volume della sua trilogia Gesù di Nazareth. L’affidarsi al solo approccio storico-critico ha condotto al diffondersi di uno scetticismo ingiustificato riguardo la nostra conoscenza di Gesù. Ne consegue, purtroppo, che la figura di Gesù diviene “progressivamente oscurata e indistinta”. Qui Benedetto esprime un sincero lamento: “l’intima amicizia con Gesù, da cui tutto dipende, minaccia di annaspare nel vuoto”.

Come spiegare il fatto che Benedetto abbia dedicato tanto impegno e tanta fatica per portare a termine i suoi volumi su Gesù, se non con la sua convinzione che l’amicizia con Gesù, e per mezzo di Gesù, con il Padre, era messa a rischio? La lettura cristologica delle Scritture proposta da Benedetto non comporta il rifiuto del legittimo esercizio dell’analisi storico-critica. Egli ha cercato, invece, di espanderla e approfondirla per mezzo di  una comprensione colma di fede, che non riduca Gesù ad un singolare personaggio del passato, ma come qualcuno con cui sia possibile, oggi, una relazione personale.

Può quindi essere suggestivo considerare i libri su Gesù di Benedetto come esercizi spirituali contemporanei, volti a rendere accessibile una volta ancora il Gesù dei Vangeli che, come riafferma Benedetto, è il Gesù autentico. Gesù crocifisso e risorto è contemporaneo a noi come lo era per i primi discepoli. L’esercizio della ragione critica deve essere integrato dalle intuizioni delle ragioni del cuore. Infatti, scriveva Joseph Ratzinger, “l’amore ricerca comprensione. Esso vuole conoscere sempre meglio colui che ama. Esso ‘cerca il suo volto’, come Agostino non si stanca di ripetere”.

Ecco il Trafitto

Sia nelle sue omelie sia negli altri suoi scritti, Benedetto ha mostrato grande sensibilità per l’importanza spirituale delle immagini. Forse nessuna delle immagini del Vangelo lo ha affascinato quanto della del fianco trafitto di Gesù, descritto nel Vangelo di Giovanni (19, 31-37). Egli ha intitolato uno dei suoi libri Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto, e l’immagine ricorre cinque volte nella sua enciclica Deus caritas est (2005). In consonanza con diversi Padri della Chiesa, Benedetto vedeva il sangue e l’acqua sgorganti dal fianco squarciato di Gesù come simboli della vita sacramentale della Chiesa: battesimo ed Eucarestia. Nell’enciclica affermava che occorre “bere, sempre di nuovo, a quella prima, originaria sorgente che è Gesù Cristo, dal cui cuore trafitto scaturisce l’amore di Dio”. E continuamente affermava la presenza permanente dell’amore di Cristo nel mistero eucaristico. 

Ma il misticismo eucaristico proposto da Benedetto non è un semplice sguardo contemplativo al Signore, crocifisso e risorto. È invece entrare, in comunione con Cristo, nel suo mistero pasquale, nella sua morte, risurrezione e ascensione. C’è una volontà di rendere attuale la sua comprensione dell’Eucarestia, una partecipatio actuosa all’azione eucaristica di Cristo. Nella Deus caritas est Benedetto scrive: “L’Eucaristia ci attira nell'atto oblativo di Gesù […] veniamo coinvolti nella dinamica della sua donazione.”

La comunione che l’Eucarestia attua fra la Chiesa e i cristiani è così intima che Joseph Ratzinger non esita a parlare di un nostro divenire Eucarestia in Cristo. In un prezioso saggio su “Eucarestia come genesi della missione”,  così commenta la Preghiera Eucaristica Prima:

Chiediamo che il sacrificio di Cristo possa divenire presente non solo in senso esteriore, un sacrificio che sta di fronte a noi e sembra, per così dire, un sacrificio materiale, al quale possiamo soltanto assistere (come gli uomini di un tempo assistevano al vecchio sacrificio fisico). In questo caso non entreremmo per nulla nella Nuova Alleanza. Chiediamo invece di poter divenire noi stessi Eucarestia con Cristo, e divenire così accettati e graditi a Dio.   

 

 Christus Totus

L’intimità della relazione dell’individuo con Gesù non deve far sospettare che il misticismo eucaristico di Benedetto, per quanto intenso, sia puramente individualistico. Questa sarebbe una lettura del tutto errata della visione teologica spirituale di Benedetto. Anche se la relazione del cristiano con Gesù, salvatore e Signore, è supremamente personale, essa non è mai privata. Ricevere il corpo eucaristico di Gesù incorpora colui che lo riceve nel corpo ecclesiale del Signore risorto. Benedetto si fonda (in effetti, egli deve avere avuto un ruolo importante nella sua stesura) sull’ultima enciclica di Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia (2006). La chiesa sorge dall’Eucarestia, come il sangue fluisce dal corpo trafitto di Cristo, santificando i discepoli che stanno ai piedi della croce.

Ratzinger ha ripreso da Agostino un’intuizione di fondo che il teologo-papa ha esplorato lungo tutto il suo ministero: quella del Christus totus. Nella sezione di “Il Sacramento della Carità” dove sviluppa il concetto, mostra come l’eucarestia sia opera dell’intero Cristo, capo e membra. Cristo, naturalmente, è colui che agisce per primo. È lo sposo che continua ad offrire se stesso per nutrire i suoi prediletti. Benedetto riprende spesso la ripetuta affermazione di Agostino per cui, a differenza del cibo ordinario, l’Eucarestia trasforma in Cristo coloro che se ne cibano. Essi  non trasformano Cristo in se stessi; sono incorporati in quel corpo il cui solo capo è Gesù Cristo. Ma la grazia di Cristo è tale che egli associa la sua chiesa per mezzo del suo sacrificio eucaristico, offerto “per voi e per molti”.

Sarebbe un grave errore ritenere che il misticismo eucaristico di Benedetto incoraggi qualsiasi rimozione gnostica del terrestre e del corporeo. Piuttosto, leggendolo, si è ripetutamente colpiti da quanto questo “misticismo” sia corporeo e incorporante. Può essere un salutare antidoto al diffuso gnosticismo New Age. Così scrive in Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto:

Il più intimo mistero di comunione fra Dio e l’uomo è reso accessibile nel sacramento del Corpo del Signore Risorto; al contrario, allora, il mistero avanza pretese sul nostro corpo e si realizza in un Corpo. La Chiesa, che è costruita sul sacramento del Corpo di Cristo, deve essere essa stessa un corpo. E deve essere un solo corpo, in corrispondenza con l’unicità di Gesù Cristo.

Centrale nell’insegnamento di Benedetto circa il corpo tri-forme di Cristo – il corpo risorto del Signore, il suo corpo eucaristico e il suo corpo ecclesiale – è la sua costitutiva relazionalità. Per mezzo del suo corpo risorto Cristo è totalmente comunicabile. Il suo corpo eucaristico è la realizzazione sacramentale  e la condivisione della sua nuova vita. Il suo corpo ecclesiale è l’incorporazione dei molti nella comunicazione amante con il loro redentore. C’è una mutua inabitazione (ciò che Charles Williams e il vescovo Robert Barron, seguendo Dante, hanno chiamato “co-inerenza”) tra i partecipanti – un accrescimento, non una diminuzione di personalità. L’esito della relazionalità eucaristica è infatti non la fusione ma la comunione nello Spirito.

Novità e trasformazione

La duttile struttura che sostiene le riflessioni di Papa Benedetto può essere definita la grammatica della novità e della trasformazione. Il novum, la novità, è Cristo stesso, compiutamente rivelato nel suo mistero pasquale. Il Nuovo Testamento, insiste Benedetto, non offre testimonianza di nuove idee ma della nuova persona, del nuovo [eschatos] Adamo. Con la sua morte e risurrezione Gesù ha compiuto il vero Esodo, trasformando la morte stessa in novità di vita. Ha inaugurato la creazione nuova.

L’Eucarestia, celebrata nel Giorno della risurrezione  del Signore, l’ottavo giorno della creazione, immerge tutti coloro che la celebrano nel mistero della fede. Offre un amore al di là delle nostre capacità, che si può soltanto ricevere con riconoscenza. Riceverlo non comporta per nulla una passiva sottomissione, bensì una trasformazione attiva, uno spostamento radicale del nostro centro di gravità.

In un discorso divenuto famoso, tenuto presso il Kenyon College nel 2005, David Foster Wallace, a pochi anni dalla sua morte, parlava di “impostazioni predefinite”, con le quali sembriamo per natura “programmati”: ossia concepire il nostro essere come “l’assoluto centro dell’universo”. Per quanto Wallace non usi questa espressione, la condizione da lui descritta sembra sorprendentemente simile a quello che la tradizione chiama “peccato originale”.

Se il battesimo orienta la nostra vita lontano da questa condizione primordiale autoreferenziale, verso il rinnovamento della creazione in Cristo, l’Eucarestia ci immerge sempre più profondamente, se lo permettiamo, nel paradiso riconquistato. Nella sua opera più sistematica, Escatologia: morte e vita eterna, Ratzinger tratta del fondamentale assenso alla fede concesso al momento del battesimo. Poi prosegue, riguardo a questo assenso: “solo con difficoltà può districarsi dal reticolo di un egoismo che siamo impotenti a spingere via con le nostre mani”. Siamo davvero meri ricevitori della misericordia di Dio, ma questo non ci solleva dalla necessità di essere trasformati. L’incontro privilegiato con il Signore nell’Eucarestia rafforza questa trasformazione in corso.

In numerosi passi Ratzinger traccia i contorni di questa trasformazione eucaristica di coloro che la ricevono. In uno dei testi più incisivi scrive:

L’Eucarestia non mai un evento che coinvolge solo due, un dialogo fra Cristo e me. La Comunione Eucaristica mira ad dare una forma del tutto nuova alla mia stessa vita. Essa frantuma tutto l’io dell’uomo e crea un nuovo “noi”. La Comunione con Cristo è anche necessariamente comunicazione con tutti coloro che gli appartengono: io stesso divengo perciò una parte del nuovo pane che sta creando grazie alla transustanziazione della realtà terreste tutta intera.

La Sacramentum Caritatis si suddivide in tre grandi sezioni: l’Eucarestia è un mistero da  credere, celebrare e vivere. La terza sezione, “un mistero da vivere”, tratta della forma eucaristica della vita cristiana. Scrive Benedetto: “Un'Eucaristia che non si traduca in amore concretamente praticato è in se stessa frammentata”. Non è più lo spezzare dell’ostia da condividere fra molti, ma lo spezzare l’unità del corpo di Cristo. Di conseguenza il misticismo eucaristico è intrinsecamente sociale e chiama ad un nuovo modo di essere, pensare ed agire. Questo perché “l'unione con Cristo che si realizza nel Sacramento ci abilita anche ad una novità di rapporti sociali: ‘la ‘mistica’ del Sacramento ha un carattere sociale”.

Ciascun papa apporta al ministero petrino un differente insieme di doni, uno stile particolare unico in sé. Molti hanno commentato riguardo gli stili distintivi di Papa Benedetto e di Papa Francesco. Quella che spesso è trascurata in questi confronti (qualche volta spiacevoli) è la somiglianza delle loro visioni teologiche. Queste parole della Sacramentum Caritatis potrebbero benissimo essere state scritte dall’uno o dall’altro dei successori di San Pietro: “Il mistero dell'Eucaristia ci abilita e ci spinge ad un impegno coraggioso nelle strutture di questo mondo per portarvi quella novità di rapporti che ha nel dono di Dio la sua fonte inesauribile. […] Il cristiano laico in particolare, formato alla scuola dell'Eucaristia, è chiamato ad assumere direttamente la propria responsabilità politica e sociale”. L’Eucarestia è il sacramento del Regno, che ispira e incita i fedeli verso la sua consumazione escatologica.

Riorientamento e Ricapitolazione

Quando si pensa a Joseph Ratzinger in connessione alla pratica liturgica della Chiesa, per molti il primo pensiero va al suo invito a celebrare l’Eucarestia ad orientem, “rivolti a est”. Egli ha chiaramente espresso la sua preferenza per questa opzione e ne ha fornito ragioni teologiche e pastorali. Ma non ne ha mai fatto l’unica scelta valida. In realtà, per tutto il suo pontificato egli ha celebrato la Messa nella Basilica di San Pietro versus populum, rivolto al popolo. Ovviamente, grazie alla disposizione geografica di San Pietro, il celebrante è volto sia ad est sia all’assemblea.

Come sempre per Benedetto, il principio e il tema fondamentale era cristologico.  Rivolgersi ad est è rivolgersi verso il sole che sorge, il simbolo cosmico del Cristo che viene. Scrive in Introduzione allo spirito della liturgia: “Il fatto che noi troviamo Cristo nel simbolo del sole che sorge è il segno di una cristologia definita in senso escatologico”.

Molti hanno lamentato la perdita di attenzione all’escatologico nel cattolicesimo contemporaneo. Il misticismo eucaristico di Benedetto dà forma alla convinzione che Gesù Cristo, il nuovo [eschatos] Adamo, con la sua morte e risurrezione ha inaugurato “gli ultimi giorni”. Ma egli ha altrettanto chiarito che la consumazione finale di tutte le cose in Cristo non è ancora pienamente realizzata; di qui, il suo nuovo orientamento della fede, speranza e carità cristiane verso il Cristo che è presente e tuttavia deve ancora venire. Proprio all’inizio del suo libro Escatologia: morte e vita eterna scrive: “l’Eucarestia è allo stesso tempo la gioiosa proclamazione della presenza del Signore ed una supplica al Signore già presente affinché egli venga, perché, in modo paradossale, anche se è Colui che è presente, rimane Colui che deve venire”.

In questa luce, la proposta ad orientem di Benedetto trova la sua corretta attinenza. Lungi dall’essere un “girare la schiena al popolo da parte del sacerdote”, come è stata troppo superficialmente criticata, è la rappresentazione simbolica sia del sacerdote sia del popolo in pellegrinaggio verso il loro Signore che viene. Da questa prospettiva l’est geografico è meno importante dell’est spirituale . Il riorientamento dei nostri corpo e del nostro essere verso Cristo così che egli possa “essere Pasqua in noi” (come pregava Hopkins).[3] Davvero, “ogni Eucarestia è Parusia, la venuta del Signore”, scrive Benedetto, “eppure ogni Eucarestia fa aumentare il desiderio che egli riveli il suo splendore nascosto...”. L’universale chiamata alla santità rilanciata dal Concilio Vaticano II è resa possibile e sostenuta solo dal Signore risorto, che solo è il Santo, la vera rivelazione della gloria di Dio.

Dunque, quando Gesù Cristo verrà “a giudicare i vivi e i morti”, la sua venuta ricapitolerà tutto in lui, porrà sotto il suo dominio sia la storia umana sia l’intera creazione. È significativo che la sezione finale di Introduzione allo spirito della liturgia sia dedicata alla “materia”. A differenza di molta della antica riflessione, influenzata da Platone, l’autentica tradizione cristiana non invita alla fuga dal corpo e dalla materia, ma alla loro trasformazione. Non sorprende affatto che Benedetto, sia come teologo sia come papa, abbia espresso apprezzamento per la visione di Pierre Teilhard de Chardin S.J. Come il misticismo eucaristico di Teilhard, anche il misticismo eucaristico di Benedetto discende fino alle profondità della materia così che, sollevandola, possa convergere in Gesù Cristo, l’alfa e l’omega, Signore della storia e del cosmo. A lui l’intera assemblea eucaristica fa salire l’invocazione: “Amen. Vieni, Signore Gesù” (Ap. 22,20).

Mi permetto di suggerire che la sfida e l’eredità duratura di Benedetto XVI alla chiesa che ha amato e servito con tutto il cuore può essere condensata in queste parole da Sacramentum Caritatis:

Il Sacramento dell'altare sta sempre al centro della vita ecclesiale; grazie all'Eucaristia la Chiesa rinasce sempre di nuovo!. Quanto più viva è la fede eucaristica nel Popolo di Dio, tanto più profonda è la sua partecipazione alla vita ecclesiale mediante la convinta adesione alla missione che Cristo ha affidato ai suoi discepoli. […] Ogni grande riforma è legata, in qualche modo, alla riscoperta della fede nella presenza eucaristica del Signore in mezzo al suo popolo.

 

Traduzione dall’inglese di Franco Bisio

 

[1] Articolo pubblicato su America il 31 dicembre 2022: https://www.americamagazine.org/faith/2022/12/31/pope-benedict-theology-eucharist-225606. Tradotto su gentile concessione dell’Autore e dell’Editore.

[2]Fled with a fling of the heart to the heart of the Host” (da “The Wreck of the Deutschland”). Traduzione di Nanni Cagnone [n.d.t.]

[3]Let him easter in us” (“The Wreck of the Deutschland”): qui il poeta impiega il sostantivo easter (Pasqua) come verbo. Da notare come la parola easter contenga la parola east (est) [n.d.t.]