La spiritualizzazione dell'oggetto secondo Teilhard de Chardin

Giovanni Ivano Sapienza

La spiritualizzazione dell’oggetto secondo Teilhard de chardin

 

Giovanni Ivano Sapienza nasce a Palermo nel 1972. Si occupa di letteratura e filosofia. Su Teilhard ha già pubblicato, per la Ila Palma di Palermo, il saggio Sintesi in Cristo-Omega, 2003 e, per Il Segno dei Gabrielli di Verona, due articoli dal titolo “L’evoluzione spiritualizzante nel pensiero di Pierre Teilhard de Chardin”, parte I, sul concetto di transienza, parte II, sul progressismo cristiano, Un futuro per l’uomo, nn. 5-6 (2003)

 

La possibilità, rivolta all’Avvenire, della spiritualizzazione evolutiva, cioè del potere assimilatore di Cristo che attira a Sé un cosmo in evoluzione, tiene lontana la visione teilhardiana dalla posizione ufficiale della gerarchia cattolica più conservatrice. Interessanti, a tal proposito, le obiezioni mosse da Guérard des Lauriers al gesuita francese, in un articolo del 1959, dal titolo La démarche du père Teilhard de Chardin. Impossibile, per quest’autore, che un soggetto spirituale si apra alla Trascendenza coinvolgendo forze materiali estranee alla spiritualità intellettiva pura e disincarnata. Al contrario, per Teilhard, se la vera materia contiene un cuore, un principio spirituale in grado di rappresentare un fattore d’accrescimento per il soggetto che entra in rapporto con essa, questa, lungi dall’essere un ostacolo per l’anima, costituisce un co-fattore essenziale in grado di condurre al fine auspicabile del processo d’ascesa personalizzante. Ma, per accettare una tale tesi, bisognerebbe allargare le maglie del tomismo tradizionale, fino a comprendere concetti ad esso per lo più sconosciuti, o comunque considerati non particolarmente rilevanti, come il dinamismo evolutivo, il panpsichismo (ubiquitario ma inegualmente presente), la graduale spiritualizzabilità del divenire mondano, e non ultimo, ovviamente, il tanto deprecato “monismo” evolutivo, che nel pensiero teilhardiano non implica affatto la riduzione della realtà ad un unico principio di materialità o  naturalismo esteriori, quanto piuttosto un processo di autosuperamento nell’Unità trascendente, verso cui tende come sua meta ultima al consustanzializzarsi, della  realtà del divenire mondano. Non è certo elusa, nel sistema tomista (in quanto cristiano) la realtà di un percorso dinamico verso il Trascendente, come testimonia la stessa distinzione dialettica fra l’homo viator e l’homo comprehensor, ma il dinamismo intenzionale risulta raggelato e minato alle sue fondamenta dall’eccessivo rigore disgiuntivo che oppone e cristallizza in un’antitesi paralizzante ogni sforzo di superamento delle tradizionali e vetuste categorie di pensiero. E con la scusa di dovere salvare la Trascendenza e di sbarrare timorosamente, anche se comprensibilmente, la strada a possibili confusionismi fra cristianesimo e panteismi di marca orientale o materialista, i sostenitori di un tale atteggiamento finiscono col rimuovere l’essenza stessa del sostanziale e tendenziale monismo paolino e cristiano (fede nel Cristo Pantocratore, nell’Unità del Pléroma), affondandola nella schiuma di un dualismo nevrotico e oppressivo.

Se crediamo che il potere risieda in un uso cristallizzato dei dogmi e non nel potere di Cristo di realizzare un’onnipresenza di cristificazione[1] e che il riserbo contegnoso abbia più forza, luce e verità del Suo Amore e della fede di chi si è avventurato fiducioso nelle Sue acque, per riceverne nutrimento spirituale e ricchezza di purificazione, allora certo, ha senz’altro ragione Von Balthasar quando esclama: “Rimaniamo sotto Dio! Non costruiamo torri di Babele. E anche se questo ci addolora, restiamo ‘divisi’ fra missione mondana voluta da Dio e il cristiano attaccamento a Dio. Forse questo dolore ci porta più lontano della trionfale certezza di avere già trovato l’Unità”[2]. Anche qui, si imputa a Teilhard di avere già trovato, nel presente e su questa terra, così com’è, l’Unità in nome dell’Evoluzione, cioè gli si fa dire ciò che non solo non ha mai detto, ma che non poteva nemmeno profferire senza contraddire i presupposti stessi del suo sistema. Il Dio dell’In avanti, di cui ci parla Teilhard nel Cristico,[3] non è ancora la stessa cosa del Dio trascendente dell’In alto, perché l’immersione di Dio nella realtà storica e naturale comporta una parziale limitazione della trascendenza divina, non in se stessa, quanto alla sua essenza, ma in ragione della modalità con la quale si svolge un tale evento, come giustamente osserva anche il des Lauriers[4]. Se si dimentica che la piena realizzazione dell’Autosuperamento è rivolta comunque al raggiungimento di una meta futura, allora, cristianamente parlando, si può anche ritenere doverosa, o almeno giustificabile, l’apologia dell’anima naturaliter schizofrenica di Von Balthasar e dei suoi compagni di strada.

Il fine auspicabile, per Teilhard come per ogni cristiano, è l’eternizzazione nell’Assoluto. “Ricerca dell’Assoluto, del definitivo, dell’eternizzazione in virtù di un Amore la cui interezza non ha per corrispondente adeguato che l’Assoluto medesimo”. Sono parole di des Lauriers,[5] il quale non mette in dubbio che anche Teilhard le farebbe proprie, essendo cristiano, ma contesta la modalità in cui, secondo il pensiero teilhardiano, un tale Assoluto sarebbe raggiungibile. Poiché l’Assoluto è per Teilhard attingibile per mezzo dell’Unione, lo studioso cita una frase dell’Ambiente divino: “unirsi vale a dire divenir l’altro restando se stesso”[6].  Ed aggiunge a mo’ di commento: “In verità non si potrebbe dire di meglio: divenire l’altro restando se stesso, e dunque senza divenire altro[7]

Questa è, per des Lauriers, la formula classica più esatta e coerente, dal momento che essa rinvia al mistero dell’atto di conoscenza, tale per cui il soggetto si proietta verso una trascendenza pur rimanendo identico a se stesso. Al contrario, la dinamica evolutiva descritta da Teilhard, materiando la relazione soggetto-oggetto con forze e componenti di tipo organico e fisico, ci fa ravvisare in un tale rapporto una relazionabilità che non è solamente di tipo astratto e gnoseologico, ma che coinvolge la stessa sfera delle interazioni corporee e materiali, essendo queste in grado di sostenere concretamente l’accrescimento entitativo che ne deriva, fornendo al soggetto le linfe spirituali estraibili dalla materia grezza per mezzo di sublimazione. All’astrattezza formale e disincarnata dell’intelletto, che si rapporta all’oggetto in virtù di rappresentazioni puramente formali, alle quali il meccanismo astrattivo assicura la piena ed assoluta indipendenza dal contesto reale fisico e materiale, almeno in massima parte,[8] viene contrapposta, in Teilhard, l’idea di un percorso tri-fase snodantesi attraverso l’autoconoscenza ed auscultazione interiore ancora incoativa dell’ego in via di formazione, la conseguente e necessaria estrinsecazione verso l’ambiente esterno, intesa anche come una parziale alienazione nel contesto materiale e naturale e infine la successiva terza ed ultima fase di ritorno in se stesso, nella quale l’autocoscienza perviene alla massima conoscenza della propria assolutezza e capacità di rappresentazione, grazie alla costruzione di legami fisici ed organici con la totalità oggettiva in cui si trova ad essere inglobata e che essa stessa ingloba ed introietta nel proprio microcosmo soggettivo.

Perché tuttavia l’anima, nel suo sforzo di conoscenza, non cozzi contro il muro dei determinismi e della finitezza ontologica del mondo materiale, vedendo così pregiudicata e compromessa la propria possibilità d’accesso al Trascendente, bisogna che l’antitesi apparente fra il soggetto spirituale e il mondo materiale si sciolga nella considerazione della spiritualizzabilità dell’oggetto materiale, in via di rimaneggiamento progressivo, e dunque, eliminati o ridotti, in tal modo, gli aspetti più refrattari e coartanti della sua finitudine e la sua opaca irriducibilità ad una integrazione in forme più compiute di libertà ed indeterminazione, in considerazione altresì della possibilità, che in esso risiede, in modo oscuro e incoativo, di una sua integrazione nei livelli superiori e terminali del percorso ascensionale. Né tanto meno, l’idea di una maturazione per via di sublimazione e dell’azione progressiva esclude di per sé la gratuità della salvezza, come sostiene des Lauriers, per il quale, infatti, “Teilhard dice troppo poco o niente affatto” che la salvezza è un “dono gratuito” di Dio[9]. Al contrario, essendo per Teilhard il contingente del tutto sospeso all’azione unitiva del Centro trascendente, senza la quale l’essere partecipato, perennemente teso sul molteplice, ricadrebbe tosto nel nulla originario, l’azione umana volta all’Assoluto è certo inscindibile dal contesto mondano e materiale dal quale trae le forze che ne sorreggono lo slancio, ma solo perché all’interno di un tale contesto agisce, attirandolo contemporaneamente dall’alto, il potere cristificante e soprannaturale del Dio trascendente.

Ora, la modalità di una tale azione soprannaturale e salvifica viene fatta risiedere per l’appunto nella spiritualizzabilità della materia, la quale possibilità riposa a sua volta sull’idea di una realtà in divenire intesa come spirito in formazione, ed è su tale punto che la divergenza fra i due pensatori è pressoché totale. Infatti, per des Lauriers, l’oggetto è colto nella sua irriducibile e cristallizzata finitudine ontologica, la sua capacità di ricevere l’essere è delimitata irrimediabilmente dalla propria essenzialità costitutiva, e dunque risulta impossibile, terribilmente illusorio per lo spirito nel suo atto di conoscenza, interagire ontologicamente, in modo materiale e concreto, e non solamente astratto e formale, senza per ciò stesso rinnegarsi in quanto spirito e dunque cosificarsi nella degradazione di un’alterità esteriore. L’atto di conoscenza è un “atto dello spirito in quanto spirito”, sottolinea con forza des Lauriers, e dunque al di là di qualunque “potere di percezione naturale od artificiale” è del tutto impossibile per lo spirito, fintanto che in esso è coinvolta una dinamica di tipo materiale, “divenire l’altro senza, nel medesimo tempo, diventare lui stesso un po’ quell’altro”. Da ciò la denuncia di un “semplicismo facile e seduttore”, quale risulterebbe essere l’itinerario di conoscenza proposto dal padre Teilhard[10]. Che il compimento dell’uomo, in quanto essere spirituale, passi attraverso un atto di conoscenza è fuori di dubbio, e Guérard des Lauriers ammira senza riserve l’amore e la dedizione del de Chardin come ricercatore e scienziato. Tuttavia, l’“abisso” che separa la “purità” formale dell’intelletto tradizionalmente inteso dall’approccio fenomenologico teilhardiano, che mette in opera la “conoscenza sensibile” e il cosmo materiale è dato come incolmabile. E’ ovvio che Guérard des Lauriers non può spingersi al punto di negare del tutto quello che lui chiama “il retaggio della conoscenza sensibile”, ma la relazione fra soggetto e oggetto risulta tuttavia, secondo lui, avvolta nel mistero ed è quindi “detestabile” ogni “facilismo” che tenda ad eludere una tale “difficoltà”[11].

Ora è evidente che, nel caso dell’astrazione, intesa in senso tradizionale, è sufficiente al soggetto opporre a sé una finitezza materiale in vista di affermare un’assolutezza noetica totalmente scissa dal contesto mondano, colto nell’aspetto della sua ineliminabile irriducibilità al soggetto pensante (e dunque risulta così giocoforza scavalcare il mondo anziché conoscerlo per attraversamento); al contrario, nel caso di Teilhard, la limitazione dell’oggetto-mondanità è vista, proprio in quanto modalità d’essere e non sostanzialità costitutiva, in ragione della causa trascendente che quella limitazione ha posto in essere ai fini di un superamento arricchito dalla sintesi superiore. Ne consegue che la relazione soggetto-oggetto non viene affatto elusa, in considerazione del rapporto di trascendenza che essa naturalmente implica, anzi, la sua valenza conoscitiva risulta più rafforzata ed accentuata se si tiene conto della comune forma sostanziale che è lo spirito informante sottostante alla totalità, coscienziale e materiale (il materiale essendo una pre-coscienza o coscienza incoativa) del divenire cosmico.

È giocoforza, allora, che alla relazione astrattiva di tipo formale venga non già sostituita, ma affiancata la virtualità spiritualizzante del rapporto sinergico, d’interazione fisica e materiale. Ma, obietta des Lauriers, il vero profeta, in nome della “verginità dello spirito”,[12] sebbene sappia che l’uso di idoli e di immagini mondane sia spesso necessario all’approccio adorante, è consapevole altresì del fatto che la purezza virginea dello spirito proiettato verso l’Assoluto trascendente rischia di imbrattarsi ed impegolarsi molto spesso nella materialità implicata in uno sforzo di costruzione mondana; ed è per questo che il vero profeta, pur senza annunciare necessariamente le sventure, anatemizza i falsi profeti che non le predicono mai, ai fini del successo basato su una facile e seduttiva impostazione dottrinale, né talora disdegna, ove sia necessario, l’iconoclastia. I veri profeti “spezzavano gli idoli”,[13] qualora il retaggio della conoscenza sensibile dovesse impedire la conoscenza superiore ed ineffabile del divino, laddove lo strascico della limitazione fenomenica celasse alla nostra vista gli orizzonti infiniti dell’illimitazione. E questo perché? Perché la tensione dello spirito verginale, che consiste nel tendere “ad[14], cioè nel protendersi verso una meta trascendente, verrebbe meno se il soggetto si consustanziasse, ontologicamente, nell’oggetto. In altre parole la trascendenza è una relazione, e come tale deve mantenere immutati i due termini del discorso. Guérard des Lauriers non tiene tuttavia conto del fatto che i due termini del discorso sono un soggetto ed un oggetto i quali sono dati nella loro modalità, che è sì limitazione, ma inerente ad una divenienza, come fattori interni di una dinamica in corso di irreversibilizzazione, in termini d’auto-trascendimento. Né dunque il soggetto è dato nella sua presunta purezza verginale come fosse già compiuta e perfetta (la verginità è per Teilhard un “verginizzarsi” nel divenire), altrimenti come dovrebbe ammettere lo stesso des Lauriers, non avrebbe minimamente bisogno del retaggio sensibile, e invece sappiamo tutti che esso è presupposto fondamentale dell’impostazione aristotelico-tomista. Né, d’altro canto, la modalità di limitazione dell’oggetto è data in funzione di una rappresentazione statica e sclerotizzata di quest’ultimo, in ragione, appunto, si diceva sopra, della forma sostanziale che lo sorregge, la quale è volta alla sintesi assoluta del superamento.

Per quanto concerne il soggetto, des Lauriers lo definisce giustamente come “limitato nel suo essere”, ma illimitato in virtù del rapporto analogico con l’oggetto inteso come realtà che lo trascende. È dunque l’atto di conoscenza formale, nella sua presunta purità, che conferisce l’illimitato al limitato, ma il fondamento di quest’atto trascendente non viene fatto risiedere tanto nell’essere del soggetto, preso nella sua positività d’essere, ma nella sua nullità e negatività d’essere implicata nell’essenza particolare e limitante che lo caratterizza in modo costitutivo. Pertanto l’essere del soggetto è dato come una sorta di “grandezza” indispensabile proprio in virtù del rappresentarsi come inverso dell’illimitazione infinita. Dunque tanto più il conoscere sarà conseguente alle virtualità trascendenti del rapporto di analogia, tanto più l’essere del soggetto sarà incapace, in quanto limitato nel suo intelletto, essendo la sua essenza una noeticità, la quale è appunto limitata, di comprendere l’Essere trascendente, afferrarlo, rappresentarlo e materiarsi ontologicamente d’esso, pervenendo alfine all’irreversibile. La conoscenza del divino consisterà dunque nella coscienza apofatica dell’ineffabile e inconoscibile, cioè della propria impotenza e nullità costitutiva[15]. L’oggetto colto nel suo divenire, d’altra parte, si presenta al soggetto nella sua modalità di res materiale, assimilabile come forma categoriale, predicamentale, ma pur sempre trascendente, separato, riguardo alla sua essenza. Di conseguenza, la presa di possesso di una trascendenza, ragionando in termini di analogia, può solamente funzionare se il soggetto “coglie” l’oggetto nell’ambito puramente gnoseologico, cioè in considerazione della sua (inarrivabile) trascendenza, laddove, se tenta di “passare” ontologicamente nell’oggetto, la relazione intenzionale aperta alla trascendenza si degrada in un atto di costruzione autolimitante, ripiegandosi irrimediabilmente su se stesso[16].

Il soggetto sconterebbe così la sua impudenza ed impudicizia materializzante, degradandosi, per così dire, a sorta di balano dell’Essere col quale è entrato in contatto. In realtà il soggetto, nel suo atto di conoscenza, non coglie affatto un “oggetto” nel senso statico e tradizionale del termine, ma un fascio di assi di progressione in perpetuo autosuperamento dalla limitazione all’illimitazione, e dallo spazio-tempo all’infinità eterna, e questo è reso possibile proprio dall’interazione del soggetto spirituale umano, il quale, se costruisce, costruisce nello spirito, e dunque, per mezzo di sublimazione spiritualizzante ed assimilante, non si rinchiude in una prigione da lui stesso costruita, ma ne evade[17], spazzando via, in tal modo, i macigni dei determinismo naturale che incontra sul suo cammino. Né “l’Oggetto - realtà”[18] è un’entità statica, nel quale caso avrebbe sicuramente ragione des Lauriers, né i singoli enti che lo compongono sono da vedersi, secondo Teilhard, in una loro presunta unità perfetta ed autonoma in modo tale da poter escludere, sulla base di una tale compiutezza, la necessità di un’interazione transiente e di un completamento reciproco fra le monadi dell’Essere partecipato in via di Pleromizzazione. (L’Essere partecipato si sorregge sulla Pleromizzazione, e questa sui legami di transienza). Tocchiamo qui un punto fondamentale in cui è alquanto vistosa la dissidenza di Teilhard rispetto al milieu filosofico - teologico tradizionale, quello che fa riferimento all’incompiutezza della sostanza, ovvero all’idea di “sostanza incompiuta”[19] (substance inachevée), caratterizzante il complesso degli esseri in formazione.

Sostiene infatti Teilhard che, collegando tutti gli esseri e i vari livelli di vita e di coscienza in un’unica corrente creatrice di accrescimento psichico basata sul meccanismo di unione, vengono a dissolversi come neve al sole “le innumerevoli difficoltà alle quali va incontro ogni filosofia che cerchi di ricostruire il Mondo a partire da elementi isolati (dalla monade) in luogo di porre come principio l’unità fondamentale e sostanziale dell’Universo”[20].

 Impossibile, secondo Teilhard, renderci edotti circa le dinamiche delle interazioni materiali o spirituali, esteriori o interiori, circa l’influenza fra materia e spirito, se ci si pone l’obiettivo di voler spiegare “il Tutto con le particelle di questo Tutto”, dimenticando che il Tutto è più delle sue singole parti, che la Sintesi trascende i singoli elementi che ne entrano a far parte. Il metodo cartesiano, di spezzettamento e riduzione analitica della complessità dei problemi, seppure utile e indispensabile, non è che la fase preliminare la quale precede l’approccio esplicativo di tipo totalizzante. È allora che fra Scilla e Cariddi di una materia e di uno spirito considerati come entità a sé stanti, e irriducibili l’una all’altra, si apre la strada di una dialettica spiritualizzante. E la scoperta di questa dialettica ci permette di far luce sul legame ontologico, e non surrettizio, in grado di rappresentarci convenientemente l’Unità e dunque, in termini teilhardiani, “l’inter-influenza completa”[21] fra le cose dell’universo, come lo stato d’equilibrio al quale tende il moto browniano degli esseri in via di convergenza e di spiritualizzazione.

Essendo ogni singola entità non solo incomprensibile gnoseologicamente parlando, ma altresì impossibilitata a sussistere isolata dal contesto al quale risulta correlata per mezzo di legami necessari e inscindibili, non solo il Tutto è l’unico criterio valido di esplicazione completa ed esaustiva del divenire materiale e spirituale, ma rappresenta al contempo l’unico reale principio ontologico di autosussistenza. E poiché la sostanza, per definizione, è ciò che in se stessa ha il proprio principio di sussistenza, se la paragoniamo, come avviene tradizionalmente, alle forme mutevoli ed accidentali del divenire, ne deriva che non esiste, in una tale realtà, che “una sola Monade”[22], ovvero una sola Sostanza, che è il Tutto. Ma poiché naturalmente tutto converge e trova consistenza nello Spirito assoluto che lo informa e lo sorregge dall’alto, assimilandolo progressivamente a Sé, l’autosussistenza del Tutto, in cui consiste la sostanzialità di quest’ultimo, non è riconducibile se non all’autosussistenza perenne dell’Essere trascendente, “Centro supremo dove tutto converge”[23], e dunque l’unica Sostanza è Dio. La “legge organica”[24] di spiritualizzazione graduale, inglobando i sottocentri elementari in quelli più complessi, come in un gioco di scatole cinesi, incatena letteralmente ogni singolo essere sia con gli altri esseri di medesimo ordine e grado (della stessa “isosfera”, come dice Teilhard nel saggio Centrologia)[25], sia all’entità ad esso immediatamente superiore in ordine di complessità, nella quale si trova inglobato appunto come sotto-centro. Ed essendo ogni sostanza dipendente da quella superiore sino alla Sostanza universale che tutte le ingloba e sorregge, ne consegue che ogni singola particella, di qualunque ordine e grado di sostanzialità, risulta dipendere, attraverso i termini medi della serie di cui fa parte, per transitività, insomma, dall’unica e vera, in quanto a lei sola competono in modo assoluto l’unicità e l’autosussistenza, Sostanza divina e Monade universale. A differenza di quest’ultima, tutte le altre sostanze non rappresentano che delle “sostanze incompiute e gerarchizzate”[26] e “Sostanze di sostanza che si sostengono, di grado in grado, sino al Centro supremo”[27].

Questo tipo d’impostazione permette al filosofo di prendere le distanze da una certa “ontologia esageratamente intellettualista e geometrica”, vale a dire analitica, perché fondata sulla dissezione del Reale nel quale si distinguono sostanze tutte ugualmente compiute, cioè “tutte ugualmente sostanziali”[28], e, dal lato opposto gli accidentia, al contrario, smussando la pretesa autosufficienza delle varie sostanze esistenti in natura rerum, e, al tempo stesso, riducendo tutti gli elementi del divenire, senza esclusione alcuna, ad una ben precisa necessità ontologica alla quale ogni elemento partecipa sì come grado relativo d’essere, ma d’altro canto indispensabile alla riuscita finale del percorso spiritualizzante, viene a cadere il muro che distingue accuratamente, in una logica estrinsecista e paralizzante, da un lato la sostanza e dall’altro gli accidenti, essendo ogni sostanza più o meno “accidentale” rispetto all’altra ed ogni accidente più o meno “sostanziale” rispetto ad un altro. Ma è evidente che, allora, l’accidente scompare, e scompare anche la sostanza, intesa come sostanza creata. Che all’interno dell’impostazione teilhardiana si avverta un certo fastidio per la definizione di accidente è fuori di dubbio (come d’altra parte in tutta la filosofia moderna e contemporanea, dove ad una tale nozione viene sostituita spesso quella spinoziana di modalità), dal momento che una contingenza di natura estrinseca è proprio il contrario di una necessità inerente ad un ordine totalizzante. Se l’essere creato, in quanto creato e creato dal nulla risulta, statisticamente parlando, proteso sul nulla ed assolutamente contingente, la finalità che lo indirizza verso stati di ulteriore complessità ce lo presenta, dinamicamente ed evolutivamente parlando, in fuga dal nulla ed in via di autonecessitazione[29] e dunque consustanziazione, nell’Essere Necessario. Nulla può in verità sfuggire ad un tale meccanismo unitivo, dato che ad essere coinvolta è ogni realtà creata, in quanto creata, piccola e materiale quanto si voglia. Essendo ogni singolo essere costitutivo dell’Essere necessario, inteso come unico e medesimo Corpo cosmico in via di pleromizzazione, va da sé che una contingenza radicale e assoluta, se guardiamo l’Essere creato nella sua dinamica ascensionale, debba essere per ciò stesso esclusa. Tuttavia, la gradualità di tale processo ascensionale esclude di per sé qualunque idea di autosufficienza piena ed assoluta della realtà mondana nelle fasi intermedie del suo divenire, essendo quest’ultimo sorretto dall’alto, dall’azione unificante e trascendente del Dio-Omega.

 

Articolo apparso su Teilhard aujourd'hui 21 (giugno 2016)

 

 

 

[1] Cfr. Pierre Teilhard de Chardin, L’Ambiente divino, tr. it., Il Saggiatore, Milano 1968, p. 143.

[2] Hans Urs von Balthasar,   “Die spiritualität Teilhards de Chardin”, in: Wort und Wahrheit 18 (1963), pp.339-50, cf. in part. p. 349 .

[3] Cfr Pierre Teilhard de Chardin, Il Cristico, in: Il cuore della materia, Queriniana, Brescia 19942, p. 83, dove si auspica e si ritiene possibile, tuttavia, “un’esatta congiunzione (…) tra l’antico Dio dell’In alto ed il nuovo Dio dell’In avanti”.

[4] Cfr. Guérard des Lauriers, “La démarche du père Teilhard de Chardin”, sta in: Systema Teilhard de Chardin ad theologicam trutinam revocatum, Divinitas 2 (1959), p. 263: “l’oggetto-realtà” (…) è illimitato in virtù della ragione analogica che include, per cui il soggetto che lo pensa si apre ad una trascendenza, ma “limitato secondo il suo modo d’essere” per cui “all’aspetto analogico dell’illimitazione” si contrappone “l’aspetto modale di limitazione”.

[5] Ibidem, p. 235.

[6] Ivi, in citazione di Teilhard de Chardin, Le milieu divin, p. 36.

[7] Ivi.

[8] “In massima parte” ma non “del tutto”, per la natura stessa del trarre-ab, cioè dalla realtà sensibile, almeno quando non si tratti di mistificazione.

[9] G. des Lauriers, art. cit., p. 235.

[10] Ibidem, p. 236.

[11] Ibidem, pp. 236-37.

[12] Lo spirito si apre ad una Trascendenza “se rimane se stesso, vergine”, cioè se non tenta di “uguagliarsi ontologicamente all’Oggetto”, ibid., p. 261.

[13] Ibidem, p. 237.

[14] Per des Lauriers l’adorazione consiste nell’ “essere ad, verginalmente, come il Verbo”, vale a dire “senza ritorno su di sé e senza proiezione di sé” ibidem, p. 267.

[15] Nell’opera di Jacques Arnould La teologia dopo Darwin, tr. it., Queriniana, Brescia 2000 (tit. orig. La théologie après Darwin, Cerf, Paris 1998), troviamo vari riferimenti a Teilhard de Chardin. In quest’opera il gesuita francese viene elogiato a più riprese per avere introdotto il criterio di una variabilità a posteriori del vivente scevra da formulazioni aprioristiche e preconcette e ben conscia dei limiti gnoseologici e metodologici concernenti ogni rappresentazione retrospettiva del Reale. Tuttavia, lo studioso prende esplicitamente le distanze dalla cristologia teilhardiana, fondata sul meccanismo dell’ortogenesi convergente in un Cristo - Omega ricapitolatore.

       Tralasceremo dì ricordare con quale flessibilità, prudenza e duttilità di pensiero il gesuita francese si esprima ogni qualvolta ricorre all’uso del termine “legge” per designare il movimento di centro-complessità. Se è vero che l’attività speculativa si muove fra acquisizioni parziali e sintesi provvisorie, che non eludono di certo la sensazione di instabilità, insensatezza e precarietà del divenire mondano, l’inserzione del dato cristologico risulta per ciò stesso esigita e inattesa dall’Umano in funzione del superamento di quell’apparente assurdità.

[16] Ibidem, pag. 263, con la conseguenza per cui “Costruire è, per l’uomo, chiudersi dentro ciò che costruisce, inevitabilmente”, ivi.

[17] Cfr. Pierre Teilhard de Chardin, Mon Univers (1924), saggio contenuto nel volume Science et Christ, Seuil, Paris 1965, p. 97: “Coloro che amano il Cristo universale non dovrebbero mai lasciarsi superare” dai non credenti, “in speranza ed audacia (…) il gesto che essi fanno per impadronirsi del Mondo ha per risultato immediato di farli gradualmente evadere”.

[18] Guérard des Lauriers, cit., p. 263.

[19] Pierre Teilhard de Chardin, Mon Univers (1924), cit., pp. 80-81.

[20] Ibidem, pp. 79-80 .

[21] Ibidem, p. 80.

[22] Ivi.

[23] Ibidem, p. 81.

[24] Ibidem, p. 80.

[25] Pierre Teilhard de Chardin, La centrologie,  in L’activation de l’énergie, Seuil, Paris 1963, p.108               

[26] Pierre Teilhard de Chardin, Mon Univers, cit., p.80.

[27] Ibidem, p. 81.

[28] Ibidem, p. 80.

[29]  La necessità che regola il divenire mondano è sorretta dall’Essere trascendente in cui si risolve l’intero processo, ma in quanto tale Essere è libero ed assoluto, l’autosuperamento dell’Essere creato non può che avvenire in direzione di una tale suprema contingenza e libertà, una volta varcata la soglia dei livelli superiori di vita e di spirito.

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