La spiritualità della consapevolezza

Gianluigi Nicola

Biologo, giornalista, Vicepresidente eletto dell’Associazione Italiana Teilhard de Chardin, è direttore responsabile di Teilhard aujourd’hui. Edizione italiana.

 D’improvviso
è alto sulle macerie il limpido stupore dell’immensità

E l’uomo,
curvato sull’acqua sorpresa dal sole, si rinviene un’ombra.
Cullata e piano franta
[1].

Capite che l’uomo è nulla, il sistema biologico vivente è nulla, soltanto un insieme concentrato e organizzato in rete, di molecole, le quali, quando perdono il loro equilibrio omeostatico, si dissipano e ritornano terra.
  Guardate piazza Duomo dall’alto, dal satellite, .. ombre, un edificio con tante ombre attorno e sapete che il satellite ce lo evidenzia in maniera molto chiara.
  Ombre, che sono però enti autonomi, perché si muovono queste ombre, non stanno ferme e dal satellite si vede che si spostano, ma se ci avviciniamo a quelle ombre viste non più dal satellite, notiamo che si tratta di sistemi biologici complessi, espressione dello stato vivente della materia ed esito, appunto, di un’operazione dinamica di complessificazione, per tornare al nostro caro Teilhard.
  Alquanto strani però, questi complessi biologici viventi, perché si accorgono di essere ombre, “si rinviene un’ombra”, si scopre un’ombra, si rende conto di essere un’ombra, ma lì sta la grandezza di quell’ombra lieve, il rendersi conto.
  Chi nel mondo animale, nella biosfera, si rende conto di cosa stia facendo, dove nelle profondità e nelle grandezze dell’universo, c’è qualche pietra, qualche pianeta o qualche galassia, che si rende conto di esistere?
  Il rendersi conto è proprio di un’ombra, però “cullata e piano franta”, perché l’ombra è così fragile, così impalpabile, tanto che può sparire da un momento all’altro, scossa quanto basta da un normale elemento fisico, ecco, un soffio di vento a muovere lo specchio d’acqua o a gonfiare un cirro di nuvola, ma se il soffio è quella brezza sottile dello Spirito d’Amore e Verità, l’ombra non “si frange” più, perché, attraversata da quell’energia, retta da quella luce che la rigenera, “si rinviene” nell’appartenenza ad un Ulteriore, ad una meraviglia, che si chiama Incommensurabile Consapevole, l’insieme integrato, creativo e vivente, delle coscienze riflesse sparse nell’Universo e riunite in relazione evolutiva a formare il pleroma del Verbo, Colui che è, Colui che si svela, Colui che irradia.
  Il rendersi conto consente all’ombra di reagire, certo, ancora può esser franta in qualsiasi momento, ma lei può decidere di non essere distrutta e di opporre, dunque, un cammino non più di semplice complessificazione, bensì, a questo punto, di personalizzazione, perché la personalizzazione conduce alla consistenza di sé, altro elemento che Teilhard ha cercato fin da piccolo e che ha realizzato a tutto tondo, lungo la sua vita.
  Allora l’ombra, che è una potenzialità frangibile, diventa invece una realtà robusta, una realtà consistente e palpabile, una realtà compiuta, già, perché “curvato sull’acqua”, viene riflesso dall’acqua e l’uomo vede sé stesso.  Quanti animali sono in grado di rispondere alla domanda: “Chi sono io?”  L’uomo a questa domanda è invece capace di render ragione, con ampiezza e varietà, fino ad arrivare a porre la propria interezza e a poter vedere nella sua immagine riflessa, “l’altro di sé”.
  Dunque capite che l’uomo è un’ombra molto particolare, perché anche gli animali hanno un’ombra, ma l’ombra dell’uomo proietta un’interiorità, stringe, al suo interno stesso, il cuore di una potenzialità, che, espressa, può portare quell’uomo molto, molto lontano, nelle profondità dell’essere e del vivere, non più dell’esistere banalmente, come ombra spazzata dal vento del tempo.
  Vi ho parlato di “altro di sé”, ebbene esiste anche “un sé ontologico”, vale a dire quel sé, che ha iniziato a formarsi nel corso dello sviluppo embrio-fetale del nostro sistema nervoso centrale: a partire dall’embrione, noi diventiamo feti, quindi neonati, ognuno con una propria struttura cerebrale, che si è plasmata durante la gestazione, a seconda degli stimoli che ha ricevuto dalla madre e dall’ambiente esterno.
  Quel bambino, che è appena nato, ha così un suo carattere originario, esprime una sua struttura di sé, un sé ontologico, che lo accompagnerà nei primi mesi di sviluppo e durante tutta l’età evolutiva, quella dei cambiamenti fisici, mentali e psicologici, volti a realizzare l’adulto compiuto e la sua personalità assertiva.
  In modo naturale, durante questo periodo di sviluppo, verrà ad emergere poco per volta e prenderà forma, l’altro di sé, in quanto il cervello intelligente, abile cioè nell’ “intelligere”, nel “leggere” dentro ed attraverso, grazie agli stimoli del contesto in cui si trova a vivere e ad agire, fiorirà con l’esprimere la capacità del pensiero riflesso, la capacità di pensare sé stessi, la capacità critica di pensare la realtà intorno a sé stessi, sostenuti in tutto ciò,  dalla qualità inedita dell’anelito di libertà e amore, che non è degli animali, condotti da istinti inconsapevoli di territorialità per la riproduzione e da pure emozioni originarie.
  Questo avviene, non solo perché esiste l’ippocampo, descritto nel 1564 dall’anatomista Giulio Cesare Aranzi e confermato esser sede dei processi di
memoria esplicita, fondativi dell’individualità, da Eric Kandel[2], scopritore dei meccanismi molecolari della memorizzazione, ma in quanto l’ippocampo è integrato in dinamiche più ampie, che altri studiosi hanno individuato nel sistema talamo-corticale.
  Il talamo, costituente insieme all’ipotalamo, il diencefalo, è un’area complessa ed articolata in numerosi nuclei, circa 50: il talamo è assimilabile ad una specie di centralina, che sta in posizione sottocorticale, dove transitano e sono parzialmente elaborate, le informazioni provenienti dai recettori sensitivi periferici.
  Questa centralina, che attraverso l’ipotalamo, presiede alla vita vegetativa ed ai comportamenti riproduttivi, mentre con l’epitalamo ed il talamo dorsale e ventrale, sostiene attività di integrazione con la corteccia, oltre ad essere connessa con i gangli basali e con l’amigdala, stabilirà se ai segnali somato-sensoriali, si deve far seguire una risposta automatica, che è connessa ai meccanismi capaci di garantire gli equilibri omeostatici e la sopravvivenza, oppure selezionerà  le informazioni che è necessario mandare alla corteccia cerebrale, per ottenerne delle elaborazioni più fini e delle risposte più articolate.
  La corteccia cerebrale, a sua volta, è sia una struttura associativa, perché associa a formare significati, le informazioni tratte dagli stimoli che arrivano dalle vie somato-sensoriali, sia una struttura integrativa, capace cioè, di integrare tra di loro i significati e di elaborarli in modo da poter interpretare tanto la realtà interiore del corpo, quanto quella della biosfera esterna, per riuscire così a tutelare, con opportune strategie di comportamento, il dipanarsi della vita.
  Cosa vuol dire integrazione? Lo riprendo dall’editoriale della rivista Teilhard aujourd’hui n° 30[3]: “l’integrazione è la composizione delle parti in un ordine, in una rete costituente un quadro armonico, dove l’unità che ne deriva, diventa rilevante rispetto ai suoi diversi componenti e pur senza poter prescindere, in particolare, dalle qualità dei componenti, questa unità dà tuttavia origine ad effetti inediti, che le singole parti isolate non erano nelle condizioni di esprimere”.
  La nostra corteccia cerebrale, evolutivamente la più complessa, nell’ambito del processo paleontologico di cerebralizzazione[4], fa proprio questo lavoro: avvalendosi dei meccanismi importanti della differenziazione e dell’integrazione, essa crea un’unità di parti, la quale a sua volta, produce degli effetti emergenti inattesi, considerando le qualità funzionali delle parti singole, ed arriva ad esprimere un comportamento, che può anche non essere finalizzato solo a strette esigenze biologiche, ma dal quale, come s’è già detto, riescono ad emergere istanze consapevoli di libertà ed amore.
  L’autore, il neuroscienziato di cui vi ho accennato prima in modo anonimo, è Gerald Edelman, estensore della teoria del “Darwinismo neurale”[5], o selezione dei gruppi neuronali: egli ipotizza il cosiddetto “nucleo dinamico” e dice che il nostro cervello è appunto capace di associare, secondo una prospettiva di funzionalità operativa, gruppi distribuiti di neuroni, piuttosto distanti e soprattutto differenziati tra di loro, in un nucleo virtuale, il quale è tuttavia in grado di produrre effetti.
  Si tratta di un nucleo virtuale che riesce ad integrare le diverse competenze delle diverse aree e che potremmo chiamare, con un termine economico, “associazione temporanea di imprese”, ognuna fa qualcosa, ma messe tutte assieme, fanno qualcosa di più grande e di originale, non prevedibile in precedenza, proprio perché “di più è diverso”.
  Il nucleo, questo nucleo virtuale, che sostiene attività concrete riguardo il comportamento fisico del corpo, è dinamico, perché risponde a criteri di differenziazione adattativa della sua attività e perché le situazioni all’esterno del sistema organico, sono velocemente mutevoli:  il corpo quindi deve poter reagire a questa variabilità di condizioni, modificando rapidamente nel tempo, a livello cerebrale, questa originale “associazione temporanea di imprese”, in modo da arrivare a produrre, differenziati e molteplici stati mentali di coscienza primaria, e poter selezionare quelli i cui effetti, a livello di espressione del comportamento relazionale, siano potenzialmente, i più adeguati e coerenti alle caratteristiche dell’ambiente circostante.
  Per le sue qualità, questo nucleo dinamico, utilizzando la capacità associativa ed integrativa della corteccia cerebrale e del sistema talamo-corticale, può spingersi più avanti e creare, particolarmente nell’uomo, dotato di capacità linguistiche, un effetto inaspettato di coscienza riflessa, una coscienza di secondo livello, l’accorgersi del sé, la quale esprime un fenomeno emergente oltre la coscienza primaria, questa limitata al semplice sapere, in un presente ricordato, dove si è e cosa si vuole o si è costretti a fare, quella, secondaria, capace di innescare un fenomeno riflessivo che, infine, non è legato ad un’area cerebrale specifica, ma viene espresso come il risultato di un processo di integrazione tra aree cerebrali, appunto mutevole efficacemente nel tempo. 
  La corteccia poi, è caratterizzata dalla presenza di contatti sinaptici e di vie cortico-corticali, vale a dire che la corteccia, non solo si connette tramite le vie cortico-talamiche, tanto con l’interno che con l’esterno del corpo, ma utilizza delle vie di comunicazione intrinseche, così da essere in grado di rielaborare ulteriormente gli stimoli che le sono arrivati, senza riconnettersi a valle, con altre aree che usualmente si occupano di attuare e controllare l’espressione del comportamento.
  Queste vie cortico-corticali, con questa capacità di rielaborazione, di integrazione interna alla corteccia, potrebbero appunto generare una coscienza riflessa, che, nelle sue espressioni più avanzate, arriverebbe a configurarsi come “coscienza critica”, una sorta di coscienza di terzo livello.
  La coscienza critica è certo la capacità di guardare l’esterno, ma anche l’interno, il “noi stessi” di socratica memoria, e di darne un giudizio di valore in quel momento, per quella situazione, per quel contesto: nel tempo, però, grazie ad una analoga dinamica, può prender forma un “più essere”, ossia per l’umano, il “bene” che gli consente di diventare, nel suo percorso di vita, quello che è delineato come compimento dell’esigenza profonda espressa dalla sua intima natura, ecco l’essere ciò che si è ed il suo oltre.
  Sarà la riflessione che potrà accompagnare questo evidenziarsi del “bene” ed è proprio attraverso la dinamica riflessiva, che si possono generare un sapere ed una conoscenza, capaci di rendere possibile all’uomo il sentire ed il comprendere sé stesso,  quindi capire qual’è la condizione esistenziale più adatta a lui, per vivere nella gioia, mantenendosi però, nello stesso tempo, giusto, vale a dire solidale ed accogliente con gli altri.
  Tutto ciò significa raggiugnere una coscienza intera di sé, passare da uno stato vivente della materia, ad uno stato psichico di personalità intera, consapevolmente libera da ogni automatismo nevrotico, capace di scelta e di autodeterminazione, delineando così, quella figura umana compiuta ed assertiva.
  Infatti la coscienza critica, che sta alla base del fenomeno della consapevolezza, emergente dall’integrazione funzionale dei sistemi di memoria (ippocampo, lobo temporale mediale, amigdala) con quelli di coscienza riflessa (sistema talamo-corticale), è una caratteristica umana, interpretabile come la capacità di sapere di poter pensare il pensato e che, di conseguenza, può anche decidere liberamente, azioni non più soltanto automatiche, ma persino contro-intuitive e, appunto, di introspezione onesta e costruttiva.
  Capacità critica, però, vuol anche dire “altro di sé”, perché è una qualità che abbiamo al nostro interno, ma che, come dall’esterno, guarda noi stessi e dell’osservazione ne esprime un giudizio interpretativo: chi siamo “noi stessi”, tuttavia, se non il “sé ontologico” di buona memoria?
  Allora togliamoci dalla testa l’idea di essere uno, noi siamo due e se non riusciamo ad integrare queste due parti di noi, perdiamo l’unità della persona, così che, dalla mancata unità interiore, nascono, crescono e si slatentizzano contraddizioni nevrotiche, e, a volte, complici anche insufficienze fisiologiche di varia natura, dei profili psicotici.
  Nel momento in cui però, si integrano queste due parti in un’unità dinamica e creativa, viene prodotta non solo una capacità di controllo e di liberazione dalle derive generate come esito di nevrosi e psicosi, ma si manifestano in particolare degli effetti inaspettati, che l’integrazione delle parti per sua natura genera.
  Questi effetti inaspettati li chiamiamo, li riuniamo appunto, sotto il nome di consapevolezza, il “conosci te stesso”, rivolta certo a sé, ma sicuramente, in modo maturo e responsabile, anche agli “altri da sé”, all’ambiente in cui siamo radicati e alla costruzione di una vita, che possa essere un capolavoro di comunione con l’Ulteriore.
  La consapevolezza, infatti, ha molto a che vedere, secondo Teilhard, con la spiritualità[6], perché in fondo l’essere consapevoli, trae origine da un flusso dinamico di stati mentali di coscienza, il quale sembra apparire virtuale, sebbene si tratti di un flusso di stati, che, dopo opportuna selezione di quelli più coerenti al contesto, arriva a produrre degli effetti.
  La consapevolezza, pur senza avere una precisa base fisica dedicata, sorge piuttosto, come il risultato effettivo del lavoro di integrazione tra diverse basi fisiche, le differenti aree cerebrali, e nel suo agire, può generare degli effetti inaspettati di tipo, ecco, spirituale, immateriali eppure concreti.
  Dunque, il fenomeno spirituale si manifesta e si esprime come tensione all’oltre, grazie alla presenza della consapevolezza emergente e zampilla energico dall'interiorità propria di ciascuno:  con Teilhard de Chardin[7], ogni uomo è un uomo spirituale, quando ha raggiunto l’unità di sé e, a sé stesso fedele, fa lo sforzo di agire e non di negare, i suoi aneliti profondi.
  L’uomo spirituale, l’uomo consapevole, genera di sé, una persona con una presenza, con una consistenza, genera il processo di personalizzazione, perché noi non viviamo in virtù di masse, di realtà complete e totalitarie, ma viviamo in virtù di flussi, di realtà in divenire e, sempre con Teilhard, siamo dunque in presenza di necessari processi evolutivi, che, con la loro spinta selettiva al cambiamento coerente in rapporto al contesto, generano complessità ulteriori, però capaci di reggere l’apertura a visioni e ad orizzonti sempre più ampi ed in buona misura, entusiasmanti.
  In effetti non è tanto l’evoluzione ad essere importante, perché l’evoluzione è niente altro che un meccanismo o, per la scienza contemporanea, anche un metodo, che viene usato, ad esempio, per ottimizzare la produzione di farmaci, o per disporre progetti avanzati di circuiti elettronici:  dunque l’evoluzione non ha una grandissima rilevanza, se non come motorino, se non come meccanismo, capace di produrre,  in rapporto ad un determinato ambiente naturale, intellettuale o spirituale, i risultati migliori e coerenti, secondo un’indicazione di valore pochissimo dettagliata, di alto livello, molto generale e generica.
  L’evoluzione non è orientata, ma sicuramente l’evoluzione è un’efficace base del processo selettivo di complessificazione, in quanto, effetto del suo meccanismo, è la produzione quasi inevitabile, vorrei dire, non di complicazioni, ma di complessità, un concetto concreto, che può essere inteso come una rete integrata di relazioni evolutive rientranti.
  Perché si produce complessità? È molto semplice, perché la vita sulla terra non è che un flusso di energia e di informazione: quando, considerando la biologia scienza sistemica del teilhardiano terzo infinito, l’infinitamente complesso, esista un sistema biologico, che sia abile, grazie appunto alla sua maggior complessità, nel gestire il flusso di energia e di informazione, in maniera più efficiente ed efficace rispetto a sistemi biologici di specie concorrenti, quest'altro sistema biologico diffonderà per la propria specie, i maggiori vantaggi adattativi derivanti dalla sua crescente complessificazione.
  In questo modo prevarrà su molte di quelle diverse specie, che occupano il suo stesso ambiente e che sono comunque meno abili nel gestirne le risorse a loro necessarie.
  Come ha fatto l’uomo a popolare tutta la terra, conciliando le sue dinamiche di sopravvivenza e di occupazione del suolo, con la presenza dei grandi animali primitivi e predatori?  Semplicemente, perché la specie umana, con i suoi meccanismi cerebrali avanzati, frutto di una complessificazione prodotta durante alcuni milioni di anni, si è dimostrata più efficace ed efficiente nel disporre strategie di difesa, di attacco e di convivenza, che le hanno consentito di meglio appropriarsi del flusso energetico ed informativo.
  Tornando però, alle idee teilhardiane ed al loro lessico originale, la complessificazione cerebrale conduce, nei dovuti tempi e con il passaggio di diverse “soglie critiche” o “passi[8], al manifestarsi in concreto, di quelle che erano potenzialità utili per avviare un processo di personalizzazione, dove poi ogni personalizzazione può esprimere aneliti, tensioni, che si risolvono in una spiritualizzazione crescente: dunque più mi personalizzo, più sono consapevole di me e più il mio comportamento è determinato in minor misura da meccanismi automatici e potenzialmente alienanti, lasciando spazio invece, ad orientamenti naturali di autenticità spirituale.
  È risaputo infatti, che il comportamento deriva da una miscela di istanze consapevoli e di istanze inconsce, dove la percentuale delle due, determina quanto la persona è portata dall’inconscio e quindi da tutto il suo bagaglio nevrotico più o meno ingombrante, o quanto, invece, ha un controllo di sé, perché il suo comportamento, percentualmente, è determinato in maggior misura dalle sue scelte consapevoli.
  Dunque più aumenta la consapevolezza, più crescono l’equilibrio e la forza della personalità, così, di conseguenza, più crescono gli spazi per un comportamento non alienato, né nevrotico, ma piuttosto rivolto alla spiritualizzazione appunto autentica.
  Tuttavia l’energia spirituale, che sostiene la possibilità per ognuno, di ampliare le proprie capacità di consapevolezza, favorisce a sua volta la personalizzazione, la quale, crescendo ed allargandosi, incrementa ancora ulteriori capacità di spiritualizzazione, evidenziando insomma, due meccanismi, che si alimentano uno con l’altro.
  Per andare dove? Per affidarsi ad una dinamica di retroazione positiva, fino a collassarne? Succede, magari con una caldaia alimentata in continuo, che o è dotata di una valvola di apertura, oppure ad un certo momento esplode: crescere senza fine in personalità e spiritualità, senza costrutto e senza conversione positiva delle energie, è un po’ come percorrere la strada che renderebbe opportuno un suicidio assistito, perché ... cosa ce ne facciamo, di questo meccanismo autoalimentante e privo di prospettive, che non smette di contraddire, sebbene compiute nel loro equilibrato ed infinito ciclo chiuso, le semplici e naturali istanze biologiche di mantenimento della specie e che continua, invece, a volerci far diventare, fino alla noia e all’assurdo, più consapevoli, più spirituali?  Tanto vale, per inutilità prima sospetta e poi conclamata, sopprimere ogni anelito ed ogni passione fino a morirne, sciogliersi come una goccia d’acqua nell’oceano, scomparire dolcemente nel vuoto, travolti da un’alienazione disperata, consapevolmente costruita-.
  A meno che, non compaia qualcuno sulla faccia della Terra, che ti dica: “Mi hai cercato durante cinquantamila anni, caro homo sapiens?  Eccomi qui. La tua ricerca di cinquantamila anni, il tuo anelito, ti ha portato ad un punto di affinità, in cui siamo finalmente nella condizione di comunicare e di comprenderci: è vero, la tua tensione profonda, sostenuta da consapevolezza nascente, intuiva l’esistenza di un di più, cercava un al di là, un oltre.
Bene eccolo, esisto effettivamente ed allora mi rivelo alla tua fede perseverante ed alla tua speranza, questo è l’Annuncio che condivido con te”.
  A quel punto, non serve più il suicidio assistito, perché se c’è l’Annuncio, allora c’è la possibilità non più soltanto del sé ontologico e dell’altro di sé, ma c’è la possibilità dell’ “oltre di sé”;  allora arrivati alla pienezza del cammino di personalizzazione - spiritualizzazione, finalmente è possibile passare una soglia di compimento, che sembrava serrata e preclusa, è possibile entrare in relazione continua e profonda con il soffio dello Spirito, che non è più il soffio di vento che frange la mia ombra inconsapevole, ma è il soffio dello Spirito d’Amore e Verità, che, giusto Teilhard, incontra la mia consapevolezza affine ed aperta, grazie ad essa mi attraversa, ma non mi spezza, fluisce in virtù del mio vuoto non più alienato e mi rende diafano della sua luce, mi rende partecipe di questo gigantesco progetto, di cui non siamo che una piccola parte, di cui, forse, possiamo solo intuire qualcosa del suo bagliore scintillante, ma che regge l’amorizzazione di tutto l’Universo e gli dà un senso.
  L’Universo è qualcosa di straordinariamente grande ed è per questo che ho parlato prima di Incommensurabile Consapevole, perché, pur nell’ambito di dimensioni smisuratamente estese, solo la consapevolezza fa sì che qualcosa abbia l’opportunità di esistere, altrimenti l’alternativa è l’oblio indifferente, è la deriva entropica, che può essere tanto culturale, quanto informativa, oppure termica e terminale, secondo legge fisica.
  Se invece si fa spazio alla consapevolezza e se ne attua ciò che è possibile, nell’ambito delle nostre capacità, praticandone le dinamiche inevitabili di analisi e di sintesi, allora significa ritrovare sé stessi e stimolare l’incontro con una realtà, che, attratta da un Verbo consapevole e senza limiti, ha già iniziato a coagularsi e a prender forma, da un brodo prima indistinto di semplici particelle o di informazioni senza struttura, significa poter generare “compartimentazione”, l’indispensabile varietà e specificità delle parti, significa riuscire a creare differenziazione, ma non separazione, significa distinguere le cose una dall’altra, dar loro il nome:  la feconda integrazione di differenti, renderà la possibilità consapevole di riaprire uno sguardo d’incanto su nuovi orizzonti e di generare qualcosa che era inimmaginabile prima dell’integrazione, perché “il carnato del cielo sveglia oasi al nomade d’amore[9].
  Per chi sa “leggere”, per chi sa interpretare, tutto ciò avviene, solo se si coniugano consapevolezza e cura dell’anelito spirituale e se non si fa questo, se si coltiva semplicemente l’allargarsi della cessione, della vendita di sé, all’indistinto, un processo infine di alienazione, diventa molto difficile vivere autenticamente il senso vero della realtà, che faticosamente si è formata durante miliardi di anni, ed aprirci a Colui che ci attrae, per essere attraversati dall’unitivo e dal creativo, il suo Spirito di Amore e Verità.
  Questa che ho descritto fin qui, è la “spiritualità della consapevolezza”, che non è più quella della colpa: sono finiti i tempi in cui la spiritualità era fatta passare attraverso la contrizione e la negazione di sé e la si esprimeva col battersi il petto, con l’umiliazione, con il consegnarsi nelle mani direttrici, di chi gestiva la parte di potere della struttura religiosa, la quale, per altri versi, sapeva ben essere anche profetica, sia pure nel silenzio e nel nascondimento, ma nell’intensità dell’irradiazione del flusso energetico, che discende dall’apertura libera all’Amore autentico.
  Oggi sotto i trent’anni, sembrano dirci i sondaggi, ci si interroga per nulla a proposito della religione, il problema di Dio.., ma non si sa neanche più che cosa sia, però si fa la posizione del loto, perché l’uomo rimane un essere spirituale, perché la sua consapevolezza e la sua spiritualità, riemergono come un fuoco incontenibile ed indomabile:  vogliamo offrire, come teilhardiani, un’opportunità in più, perché la gente possa divinizzare il suo anelito spirituale, finalmente.
  Ritorno dunque, in breve, a Teilhard, con il suo “Ambiente divino”[10]:  siamo immersi in un ambiente divino, o per meglio dirlo, volendo, con la fisica quantistica, che lo ha teorizzato, ma partendo anche semplicemente da Newton con la sua “gravità”, siamo immersi in un “campo”, in un “campo divino”, dove la spiritualità della colpa non ha più nulla a che spartire con i percorsi, che un campo di questo genere sollecita.
  La sua esistenza, d’altra parte, non è un’idea peregrina, perché, pur senza considerare le importanti testimonianze evangeliche, lette sottilmente, questa realtà comincia, in coerenza con i nostri tempi, ad essere ipotizzata anche da lavori scientifici, nei quali si dice che la presenza di una coscienza, se ha davvero una natura fondamentale, come d’altra parte Teilhard pensava chiaramente con la sua idea di “Fenomeno spirituale”[11], è possibilità estensibile all’intero “tessuto” dello spazio-tempo, al punto che l’insieme dell’universo fisico, non sarebbe che l’aspetto estrinseco della vita interiore universale, come in effetti lo sono un corpo ed un cervello viventi, rispetto all’interiorità di una persona.
  È tuttavia evidenziata, tramite elettroencefalografia e tecniche di neuroimaging, la possibile presenza in uno stesso individuo, di personalità multiple, centri di coscienza operativamente separati ed ognuno con la propria privata vita, una specie di altri da sé interiori, capaci di influire fortemente sul comportamento, a seconda della loro prevalenza.
  Allo stesso modo una coscienza universale darebbe origine a più centri di cognizione, simultaneamente consapevoli, ciascuno con una personalità ed un senso di identità distinti e con un proprio aspetto estrinseco:  organismi metabolizzanti, che sono espressione di processi dissociativi, ma creativi, a livello di campo di coscienza universale, così come processi analoghi sono stati rilevati e documentati empiricamente da un’ampia letteratura scientifica, a livello di singola psiche.
  “Ogni regno in sé diviso, va in rovina ed una casa crolla sull’altra” (Lc 11, 16-19):  se la coscienza universale dissociando, avvia, con i suoi tempi, un processo distribuito di coscientizzazione, inevitabilmente l’Amore di Dio rivelato, questa energia unitiva e creativa, non può che agire per riunire in rete a costituire il Pleroma, le coscienze riflesse che dal campo sono state generate e che al campo sono chiamate a donare continuità e unità, impegnando la propria personalizzazione ed avvalendosi dell’integrazione di differenti.
  L’appartenenza al campo divino, se ad esso si vuol essere adeguati e davvero partecipi per reale affinità coerente, richiede allora, una indispensabile  “spiritualità della consapevolezza”,  perché, certamente non solo terrestre, il campo d’energia divina è retto, alla pari di ogni buon campo, da un attrattore, il quale esercita i suoi effetti, su tutto ciò che sa sentire, subire e, allo stesso tempo, agire la sua attrazione, nel senso dell’affinamento cosciente e della consistenza interiore, dunque, proprio in questo particolare caso, l’Attrattore, per come si è rivelato e per come è necessario, non può che essere, dell’Amore, l’incommensurabilmente consapevole attore, Dio, il Verbo Vivente ed Eterno.

 

[1] Giuseppe Ungaretti “Vanità”, dalla raccolta L’allegria, 1931 – Versi scritti a Vallone, 19-2-1917

[2] Eric R. Kandel, Alla ricerca della memoria, Codice edizioni, Torino 2017

[3] Rivista pubblicata dall’AITdC, Teilhard aujourd’hui – Edition européenne, p. 4, N° 30 – Giugno 2019

[4] Pierre Teilhard de Chardin  Il posto dell’uomo nella natura, Jaca Book, Milano 2011, pp. 36 ss

[5] Gerald M. Edelman  Darwinismo neurale, Raffaello Cortina Editore, Milano 2018

[6] Pierre Teilhard de Chardin, L’energia umana, Il Saggiatore, Milano 1984, pp. 111 ss.

[7] Pierre Teilhard de Chardin, La scienza di fronte a Cristo, Gabrielli editore, Verona 2002,  pp. 67 ss.

[8] Pierre Teilhard de Chardin, Il fenomeno umano, Queriniana, Brescia 2020, p. 85 e p. 282

[9] Giuseppe Ungaretti, “Tramonto”, dalla raccolta L’allegria, 1931 – Versi scritti a Versa, 20-5-1916

[10] Pierre Teilhard de Chardin, L’ambiente divino, Querniana, Brescia 2010

[11] Pierre Teilhard de Chardin, “Il fenomeno spirituale”,  in L’energia umana, Il Saggiatore, Milano 1984, p. 111