"Il fronte mi ha stregato" - Fenomenologia della guerra in Teilhard de Chardin

Giovanni Basso

‘Il fronte mi ha stregato’[1]– Fenomenologia della guerra in Teilhard de Chardin

 

Laureato in Scienze Politiche e Sociali presso l’Università Cattolica di Milano, dirigente d’azienda, ha sempre lavorato in contesti internazionali, vivendo a lungo in Belgio, Germania, Svezia, Francia. Il pensiero e la visione di Teilhard hanno ispirato la sua attività professionale. Rientrato in Italia, è diventato membro della Associazione Italiana Teilhard de Chardin

Nell’estesa pubblicistica che riguarda Teilhard e la sua opera c’è un aspetto che risulta sorprendentemente trascurato: il rapporto di Teilhard con la guerra, che pure Teilhard aveva vissuto in prima persona in cinque intensi anni dal 1914 al 1919, come fantaccino barelliere sul fronte francese nord-occidentale (Fiandre, Champagne, Oise, Verdun, la Marna...). L’impressione è che questa mancanza di attenzione sia solo un modo per sfuggire all’imbarazzo che spesso le riflessioni di Teilhard sulla guerra provocano nel lettore, così lontane come sono dalla sensibilità comune.

Lo scopo di questa riflessione, condotta con la consapevolezza di non essere né un teologo né un filosofo né uno studioso ma solo un innamorato di Teilhard, ha lo scopo di segnalare questa mancanza di attenzione a un argomento che mi sembra invece importante per la comprensione del pensiero teilhardiano, e di proporre un approfondimento.

Nessun dubbio che la guerra abbia avuto una parte importante nella vita di Teilhard, al fronte è iniziata in modo ampio e sistematico la produzione di opere di natura teologica, filosofica, letteraria in cui si possono già individuare tutti i temi che saranno specifici della riflessione successiva, continuata fino alla morte in gran parte riprendendo temi già abbozzati nella produzione dal fronte, come si può constatare leggendo il volume, tra i più interessanti del ‘corpus teilhardiano’, che raccoglie la ventina di saggi scritti al fronte, e intitolato Scritti del tempo della guerra.[2] .

Ci conferma l’importanza formativa che ha avuto questo lungo periodo di guerra la cugina Marguerite Teillard-Chambon, con cui nei quattro anni della guerra Teilhard ha intrattenuto una corrispondenza intensissima, poi pubblicata dalla stessa Marguerite sotto il titolo emblematico di Genesi di un pensiero. Lettere dal fronte (1914-1919). Scrive Marguerite nell’introduzione al libro in cui sono raccolte le molte lettere scritte dal cugino durante la permanenza sul fronte: “Per Pierre Teilhard la guerra fu probabilmente l’avvenimento decisivo della vita[3] nel senso appunto che è stato nei lunghi periodi passati in trincea che Teilhard ha sviluppato e concepito tutte le principali idee e intuizioni su cui poi ha sviluppato la sua riflessione nei 35 anni successivi, e ce lo riconferma Teilhard in una lettera alla stessa cugina Marguerite quando ormai era verso la fine della vita e abitava a New York, dove scriveva “Le mie note di guerra avranno un interesse psicologico per uno studio sulla formazione di un’idea”.[4]

La guerra: per noi persone “normali” è una violenza che va contro il nostro senso di umanità, la sintesi di tutti gli orrori possibili, la causa di distruzioni, sofferenze, carneficine, di sangue sparso inutilmente e di lacrime. Non per Teilhard, che riesce a cogliere in ogni cosa che esiste e che accade “la visione della divinità presente in tutto”,[5] nella miserrima vita del fronte “una ascesa che nonostante tutto si ama... e poi si rimpiange” e nelle orrende carneficine in corso “il mondo che diventa Cristo”.[6] Questo atteggiamento, così diverso da quello a cui siamo portati noi, è consapevole in Teilhard, che ripetutamente coglie e sottolinea una realtà che a noi sfugge, e cioè che anche la guerra (come il male, che per molti versi sostanzia una problematica affine) rientra per Teilhard in un piano che solo Dio conosce, che non è meno divino e meno reale per il fatto che noi non lo comprendiamo[7].

C’è un brano in cui Teilhard ci propone questa sua visione della guerra, che è interessante anche perché ci dice che Teilhard era consapevole delle obiezioni di chi allora, come noi oggi, riteneva di non poter condividere una visione così ottimistica della guerra, e vale la pena riportarlo perché contiene la risposta di Teilhard a queste obiezioni. In questa lettera Teilhard scrive a Marguerite della discussione avuto sull’argomento con un amico scienziato biologo: “Ho trovato Boussac un po’ rabbuiato, per via della guerra. Quando cercavo di dimostrargli che contribuendo alla guerra cooperava, in definitiva, al progresso della natura ch’egli tanto ama, mi ha risposto che ‘mai avrebbe confuso e neanche messo a confronto le brutali operazioni dei militari con le nobili e silenziose trasformazioni della natura’. Eppure, perché non farlo questo ravvicinamento e non effettuare questa fusione? Spesso provo anch’io il senso di rivolta che prova Boussac, ma credo che esso si fondi su un’illusione... Certo, lo sviluppo morale e sociale dell’Umanità è la continuazione autentica e naturale dell’evoluzione organica. Questo sviluppo ci sembra brutto perché lo guardiamo troppo da vicino, e perché il libero arbitrio ha corruzioni particolari e raffinate; ma di fatto rappresenta la normale conclusione d’un lavoro che è tanto ‘nobile e silenzioso’ solo perché lo vediamo da lontano, così come gli shrapnels intorno a un aeroplano, visti a distanza, ci appaiono una scena piacevole, puramente decorativa. Tutte le perversità morali si trovano in germe nell’attività più naturale, più inerte (in apparenza) nelle mani della Causa prima...”[8]

Con altre parole, lo stesso concetto viene ripreso e ribadito in molte altre sue lettere o saggi del tempo, a dimostrarci che non si trattava di un pensiero superficiale, giustificato da uno stato di esaltazione passeggera, ma il tema di una riflessione complessa e circostanziata, che ha accompagnato Teilhard in tutti gli anni della sua esperienza di combattente. Qui di seguito alcuni brani tratti dalle sue lettere del tempo e da un suo saggio, poco conosciuto ma molto bello: “Terre Promise”.[9] 

Vorrei analizzare e giustificare il sentimento pieno e sovrumano che ho spesso provato da che sono al fronte, e che temo di rimpiangere finita la guerra. Si potrebbe sostenere che il fronte non è solo la linea del fuoco... ma anche ‘il fronte dell’onda’ che porta l’umanità verso i suoi nuovi destini. Mi sembra di essere al confine estremo tra quello che è stato fatto e quanto tende a farsi. L’attività tocca allora una specie di calmo parossismo che la fa dilatare in ragione dell’opera alla quale collabora, non solo, ma lo spirito riesce a darsi una ragione della massa umana in marcia e a sentirvisi meno sommerso. In quei minuti si vive soprattutto ‘cosmicamente’ con un interesse tangibile e vasto quanto il cuore...”[10]

e ancora:

Il fronte attira invincibilmente perché è il limite estremo di ciò che si sente, di ciò che si fa. Non solo vediamo attorno a noi cose che altrove non si proveranno mai, ma ognuno vede affiorare dentro di sé un fondo lucido d’energia, di libertà, che nella vita comune non si manifesta mai... Al fronte non si giudicano le cose come in retrovia, altrimenti la vita e ciò a cui si assiste tornerebbero insopportabili. Questa ascesa non si fa senza dolore, ma comunque è un’ascesa. Ecco perché, nonostante tutto, si ama il fronte e lo si rimpiange...”[11]

e infine, dal saggio citato “Terre promise”:

Nel corso della guerra, gli uomini hanno raggiunto un livello di spiritualità superiore... Essi si sono sentiti più forti e più liberi, nella coscienza di Qualche Cosa che li inglobava e li superava... Ecco il fatto capitale che ci deve rimanere come l’insegnamento definitivo della guerra.”[12]

Lasciando da parte le citazioni che potrebbero continuare ancora a lungo, vediamo di documentare in modo più sistematico le nostre osservazioni su quello che Teilhard dice sulla guerra.

Il pensiero di Teilhard si trova espresso soprattutto in quattro pubblicazioni. Innanzitutto la straordinaria raccolta già citata delle lettere alla cugina Marguerite, (Genesi di un pensiero), forse la documentazione più importante per far emergere un pensiero espresso senza le reticenze, le precauzioni o il self-control che accompagnano necessariamente scritti destinati a essere diffusi, ma anche altri tre saggi, non tra i più significativi dal punto di vista teologico o filosofico, che però sono parte del ‘corpus teilhardiano’ e hanno un loro interesse proprio perché sono stati scritti “a caldo”, durante l’esperienza della trincea, e che sono:  “La nostalgia del fronte” (scritto nel pieno della guerra, nel 1917, nelle trincee della Marna  e delle Fiandre), “La grande monade”, scritto anch’esso in trincea nel 1918, che qualcuno ritiene il capolavoro letterario di Teilhard, nonché “Terre promise”, scritto a Strasburgo nel 1919, nei primi giorni seguiti all’armistizio e alla vittoria della Francia.[13]

Cominciamo dal primo, che proprio per il suo esplicito titolo non può non farci porre la domanda: di cosa ha nostalgia Teilhard?
La risposta ce la dà Teilhard stesso: ha nostalgia di una “pienezza” di umanità che il fronte gli permetteva di provare, una “pienezza” di cui parla chiaramente in una lettera del 23 settembre 1917 nella quale annuncia di volersi dedicare a scrivere un saggio sull’argomento, anche per chiarire a sé stesso la strana sensazione di nostalgia che sentiva di provare, all’opposto del sollievo che una persona ‘normale ’avrebbe provato.

Scrive Teilhard: “Ho voglia di analizzare e di giustificare brevemente questo sentimento di pienezza e di sovrumano che io ho provato così spesso al fronte, e di cui temo di sentire nostalgia una volta terminata la guerra…”[14]

Teilhard in questo suo saggio sembra quasi esprimersi come un futurista marinettiano, mutuando dal Futurismo concetti come: la guerra come legge di vita (“qualcuno si deve dedicare a distruggere” dice testualmente Teilhard),[15] e poi la guerra che accelera il movimento verso la civiltà, la guerra come profusione salutare di energie vitali – e utilizzando espressioni come “estetica della guerra” (stessa lettera appena citata) che sembrano davvero essere mutuate dall’ambiente futurista. Una citazione testuale da “Nostalgia del fronte” ci documenta questa visione “marinettiana” e propone un esplicito ma inquietante riferimento alla “grandezza spirituale del conflitto…”

“Al fronte, la potenza scatenata della materia, la grandezza spirituale del conflitto iniziato, il dominio trionfante delle energie morali liberate, uniscono i loro appelli all’orgoglio nobile e al bisogno di vivere, e versano nel cuore una mistura appassionata. Al fronte, una convinzione vittoriosa si stabilisce, fondamentalmente, che siamo pronti all’azione, sul doppio piano dell’azione terrestre e celeste, con tutte le nostre forze e con tutta la nostra anima. Tutte le molle dell’essere possono tendersi. Tutti gli ardimenti sono consentiti. Per una volta, il compito umano scopre di essere più grande dei nostri desideri...”[16]

Nessun dubbio che la posizione di Teilhard sulla guerra sia una posizione che oggi definiremmo not politically correct.  Teilhard, pur (ovviamente) preferendo la pace, dà un giudizio che si distanzia in modo aperto con quello della Chiesa, basti pensare (per rimanere nel campo delle formule) a come siano stati sostanzialmente diversi dal suo (e identici fra loro)  i linguaggi dei Papi, da Benedetto XV che sulla guerra si era già espresso con il famoso discorso che certamente Teilhard doveva conoscere (“l’inutile strage, l’orrenda carneficina, il suicidio dell’Europa civile...”), fino ai Papi successivi, che in perfetta sintonia con Benedetto XV avrebbero detto:

- nulla è perduto con la pace, tutto è perduto con la guerra (Pio XII)

- non esistono guerre giuste (Giovanni XXIII nella Pacem in Terris)

- non più la guerra! (Paolo VI all’ ONU) o il quasi identico  

- mai più la guerra! (Giovanni Paolo II), fino al recentissimo

- la guerra è una follia (papa Francesco)

La differenza tra queste frasi e quelle di Teilhard, di cui trascriviamo qui di seguito alcuni esempi, appaiono evidenti e sollecitano il lettore a una riflessione:

- la guerra: “impresa di moralizzazione”.[17]

- la guerra: “fronte dell’ondata che spinge l’uomo verso nuovi destini...”[18]

- la “grandezza spirituale della guerra”[19]

- la guerra, creazione di un “ordine nuovo”.[20]

- la guerra: “il tempo ideale per far sì che il Mondo divenga Cristo”.[21]
E ancora, i racconti di assalti all’arma bianca in cui emerge chiaramente la posizione di Teilhard: noi e gli “altri”, i buoni e i cattivi, i “crucchi” (espressione di Teilhard) contro cui è lecito, anzi necessario fare guerra, al punto da fargli scrivere con rimpianto a Marguerite : “disgraziatamente non faccio parte di coloro che partecipano all’offensiva”. Si capisce da queste frasi (solo alcune tra le molte che si potrebbero citare) che siamo su una sponda completamente diversa da quella di chi dice che da ogni male, quindi anche dalla guerra, Dio può trarre il bene: in questa visione la violenza, la guerra non assumono il valore positivo che Teilhard vede quando dice; “Dio mi attira nell’atmosfera creatrice della lotta”.[22]

C’è una logica tutta teilhardiana nel processo mentale che porta Teilhard a vedere del positivo anche nella carneficina di Verdun : “tutto diventa per noi Dio che si concede e si trasforma”[23] e ritroviamo questa logica paolina del “Dio che è tutto in tutte le cose” nonché della natura che “soffre come nelle doglie di un parto” anche quando scrive di respirare al fronte “un’aria carica di cielo”,[24] anziché respirare come apparirebbe normale l’odore delle bombe,  quello aspro dei gas, la puzza delle trincee...  Lo stesso concetto riappare nella “Nostalgia del fronte”, quando scrive che la guerra mette in evidenza  “una realtà sovrumana che si è manifestata attraverso le buche delle bombe e i reticolati di filo spinato”[25] che permetterà di riconoscere, al di là dei milioni di morti e di feriti, delle distruzioni e delle tragedie vissute anche da chi non ha nessuna colpa e magari nessun interesse nei nuovi equilibri che si vanno costruendo, “il grande lavoro di creazione e di santificazione di una umanità che nasce soprattutto nelle ore di crisi”.

Il fatto è che quando Teilhard parla della guerra come scontro di due morali (“la presente guerra è in fondo la lotta tra due morali - ma il senso morale dei tedeschi è pervertito”)[26] o come “impresa di moralizzazione” (lettera del 22 agosto 2015, a guerra appena iniziata, a Marguerite),[27] Teilhard dà una patente di “moralità” alla guerra, promuovendola a tappa non solo utile ma necessaria nell’evoluzione dell’umanità verso il punto Omega.

Anche in altre occasioni Teilhard ci aveva sorpreso – e incantato – con le sue riflessioni “fuori dei sentieri battuti”, come quando ci siamo chiesti cosa ci fosse dietro gli innamoramenti così sconcertanti e così formalmente poco “ortodossi” dello stesso - e abbiamo scoperto una visione avveniristica dell’amore e della sessualità che ci ha portato a modificare le nostre idee e le nostre convinzioni. Mi domando se qualcosa del genere possa capitare anche per la visione di Teilhard sulla guerra, del resto la storia sembra dargli ragione - essa ci dice che la guerra, le guerre saranno anche una follia, una distruzione, una rovina - ma è l’uomo, ma è la vita, ma è la società che sembrano non poter fare a meno di essa non solo per risolvere i conflitti ma anche per avanzare nella via dell’evoluzione e del progresso. Teilhard lo dice in modo esplicito in una lettera a Marguerite del 23 settembre 1917: la guerra, questa immensa carneficina, “porta il mondo umano verso i suoi nuovi destini”.[28]

Noi stentiamo a capire come una guerra possa portare l’umanità verso destini migliori e siamo portati a interpretare le espressioni positive che Teilhard diffonde nelle lettere a Marguerite e nei saggi già citati come l’esaltazione di un giovane che si apre alla vita, come del resto appare già dall’incipit del saggio intitolato alla “Nostalgia del fronte”, dove Teilhard fa riferimento al potere ammaliatore del fronte (“il fronte mi ha stregato”) che abbiamo riportato nel titolo.

Eppure ancora nel 1937, mentre il mondo era ormai chiaramente orientato verso la nuova esperienza tragica di una seconda guerra mondiale, Teilhard ribadiva la visione giovanile scrivendo in “L’energia umana” queste conturbanti parole:

È forse necessario che fabbrichiamo, ancora per qualche tempo, ordigni di battaglia sempre più grandi e più micidiali: poiché, purtroppo, noi abbiamo ancora bisogno di questi arnesi per materializzare, nella nostra esperienza, il senso vitale dell’attacco e della vittoria”.[29]

Teilhard non arriva a parlare in modo esplicito di “mistica della guerra” come ha fatto, in modo conseguente, qualche suo commentatore, ma alcune espressioni giustificherebbero questa icastica definizione, come quando in “Nostalgia del fronte” parla della “grandezza spirituale del conflitto incominciato[30] al punto che, terminata la guerra e smobilitato, si sente come se avesse “perduto l’anima”.

Insomma la guerra sembra orrenda a noi spettatori poco attenti e superficiali perché, secondo l’espressione di Teilhard, la guardiamo “troppo da vicino”, ma di fatto rappresenta la conclusione di un lavoro naturale che, come tutto nell’universo, è destinato ad maiorem Dei gloriam, di quel Dio che, come scrive a Marguerite in una lettera, ha nelle sue mani tutto quello che avviene e sa trasformare in senso positivo anche tutto quello che accade.[31] Da notare, per inciso, che ad maioren Dei gloriam è il motto della Compagnia di Gesù di cui Teilhard faceva parte.

Del resto (è sempre Teilhard che ci suggerisce questo affascinante pensiero) non troviamo noi una identica bellezza e positività nel Crocefisso? non esiste una estetica della Croce? la crocefissione, che potrebbe nella sua orrenda realtà essere paragonata alla guerra, e che come la guerra è “scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani”, non è anche, come dice Paolo, la dimostrazione della potenza di Dio e l’azione suprema in cui si rivela la Grazia?

È quanto Teilhard riassume in alcune sue bellissime parole, che forse ci indicano come approcciare il pensiero di Teilhard sulla guerra: “Solo questa immagine - il Crocefisso - può esprimere quel che di orrore, di bellezza, di speranza, di profondo mistero si trova in un simile scatenamento di lotta e di dolori. Mi sono sentito tutto compreso dell’onore di trovarmi in uno dei due o tre punti in cui l’intera vita dell’Universo affluisce e rifluisce, punti dolorosi dove si sta elaborando un grande futuro”.[32] Una frase molto bella e condivisibile che ci rappacifica con una visione della guerra che non ci appartiene, ma che proprio per questo fa risaltare ancora maggiormente il disagio che sentiamo quando leggiamo frasi di altro tipo, come “mi sento un disutile, un ozioso - preferirei cento volte lanciar bombe o servire una mitragliatrice, piuttosto di sentirmi superfluo così... credo di rendermi conto che in quell’altra attività sarei più prete...[33]

Sarebbe accontentare la nostra sensibilità, ma far torto alla verità, pensare a Teilhard come a un oppositore senza “se” e senza “ma” del ricorso alla guerra per dirimere le questioni umane. Non che Teilhard sia, come qualcuno l’ha giudicato sia nella sua teologia che nella vicenda umana, un insensibile alla sofferenza e alla morte, ma è vero che l’approccio di Teilhard alla sofferenza e alla morte è sempre dominato da un ottimismo di fondo che porta Teilhard a credere che, nonostante tutto, tutto quello che accade è un instancabile procedere verso il più avanti e il più in alto.

La Resurrezione non è stata forse preceduta dalla passione e dalla crocefissione? Così la venuta del Cristo cosmico, che è l’idea-guida di tutto il pensiero di Teilhard, è preceduta inevitabilmente dalla passione e crocifissione del Cristo mistico rappresentato dall’insieme dell’umanità con tutte le sue contraddizioni.

Dalla distruzione insensata che è la guerra, Teilhard sa guardare oltre e vedere il germe di una crescita spirituale che è destinata inesorabilmente a trionfare. Noi nella guerra vediamo i feriti, la sofferenza, i morti, il caos, la desolazione, le lacrime e il sangue sparso da tanti innocenti, Teilhard vede in tutto questo il movimento della vita che faticosamente avanza, anzi l’accelerazione dell’evoluzione e lo schiudersi di una era nuova e migliore.

Teilhard, che scrive “Tutto diventa per noi Cristo che si concede e si trasforma[34] anticipa il Bernanos di “tutto è grazia”. Se tutto è grazia, come dice il Curato di campagna al termine della sua vicenda, allora ha ragione Teilhard di parlare della guerra (per tornare all’espressione paolina già citata) come delle doglie di un parto da cui nascerà l’“uomo nuovo”.

Una lettura di Teilhard, questa, certamente difficile e complicata, ma che vale la pena tentare, sapendo che già Marguerite, la prima destinataria delle riflessioni di Teilhard sulla guerra, aveva ammesso il pericolo di fraintendimento: “Non tutti lo capiranno, e ci sarà anche chi non saprà cogliere il fascino del fronte”.[35]

 

Articolo apparso su Teilhard aujourd'hui 20 (febbraio 2016)

 

[1] “Le front m’ensorcelle” (il fronte mi ha stregato) si trova nell’incipit del saggio “La Nostalgia del fronte”, pag. 230 del volume Ecrits du temps de la guerre, Seuil, Paris 1976. Tr. it. La Vita cosmica. Scritti del tempo di guerra (1916-191), Il Saggiatore, Milano 1971

[2] Vedi nota 1

[3] Pierre Teilhard de Chardin, Genesi di un pensiero. Lettere dal fronte 1914-1919, tr. it. Feltrinelli, Milano 1966, p. 22

[4] Ibid., p. 33

[5] Ibid., p. 177

[6] Ibid., p. 179

[7] Ibid., p. 77

[8] Ibid., p. 94

[9] Pierre Teilhard de Chardin, “Terre promise”, in Ecrits du temps de la guerre, cit., pp. 415-428

[10] Pierre Teilhard de Chardin, Genesi di un pensiero, cit., p. 175

[11] Ibid., pp. 176-177

[12] Pierre Teilhard de Chardin, “Terre promise”. op.cit., p. 422

[13] Pierre Teilhard de Chardin, Genesi di un pensiero, cit.; “Terre promise”, cit.; e inoltre: “La Nostalgie du front”, in Ecrits du temps de la guerre, cit. pp. 225-242; “La Grande Monade”, in ibid., pp. 261-278

[14] Pierre Teilhard de Chardin, Genesi di un pensiero, cit., p. 175

[15] Ibid., p. 173

[16] Pierre Teilhard de Chardin, “Nostalgie du front”, cit., p. 236

[17] Pierre Teilhard de Chardin, Genesi di un pensiero, cit., p. 56

[18] Ibid., p. 175

[19] Pierre Teilhard de Chardin, Genesi di un pensiero, cit., p. 60; e “Nostalgie du front”, cit., p. 236

[20] Pierre Teilhard de Chardin, Genesi di un pensiero, cit., p. 106

[21] Ibid., p. 174

[22] Ibid., p. 181

[23] Ibid., p. 165

[24] “Nostalgie du front”, cit., p. 240

[25] Ibid., p. 241

[26] Pierre Teilhard de Chardin, Genesi di un pensiero, cit., p. 147

[27] Ibid., p. 56

[28] Ibid., p. 175

[29] Pierre Teilhard de Chardin, L’Energia umana, tr. it. Il Saggiatore, Milano 1984, p. 175

[30] Pierre Teilhard de Chardin, “Nostalgie du front”, cit., p. 236

[31] Pierre Teilhard de Chardin, Genesi di un pensiero, cit., p. 95

[32] Ibid., p. 102

[33] Ibid., p. 158

[34] Ibid., p. 165

[35] Ibid., p. 28

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