Il Cantico di Frate Sole e l'Inno alla Materia: mistica e ecologia si incontrano

Annamaria Tassone Bernardi

 

Il Cantico di Frate Sole e l’Inno alla Materia:

mistica e ecologia che si incontrano.

 

Annamaria Tassone Bernardi

Presidente dell’Associazione Italiana Teilhard de Chardin

 

Permettetemi di iniziare con un ricordo personale, che risale al tempo in cui, per caso mi capitò tra le mani, una sera, un libro di Teilhard de Chardin, precisamente L’Avenir de l’homme, che terminai di leggere d’un fiato quando stava albeggiando.  Conoscevo assai poco il personaggio e la sua opera, ma fui affascinata dal suo linguaggio poetico e fu esso a veicolare nella mia mente, poco per volta, man mano che in seguito visitavo una ad una le sue opere, il suo pensiero, la sua grandiosa interpretazione del mondo e della vita. Teilhard de Chardin è un pensatore eclettico, meglio ancora completo. E’ stato indiscutibilmente un grande scienziato, un grande paleontologo. Gli viene riconosciuto un posto, sia pur originale e individuale, nella storia della filosofia. Ha avuto e viene ulteriormente ad assumere, un grosso peso nell’evoluzione della teologia e della spiritualità moderna. Io ritengo anche che debba essere annoverato tra i massimi scrittori cattolici del nostro secolo. Dalle sue pagine traspare, secondo un’espressione del Padre Henri Madelin, “l’ardore interiore di un’esistenza che si consuma nell’incandescenza della scrittura”[1]

L’aspetto lirico dei suoi scritti ha talvolta suscitato, in lettori frettolosi, l’impressione che Teilhard non sia stato altro che un poeta, (per inciso il suo pensiero è stato talmente sconvolgente al suo apparire che ha provocato o grandi consensi o assolute opposizioni). Io sostengo invece che proprio nella misura in cui un discorso si fa poetico, lirico, metaforico, diventa atto a rappresentare delle idee nuove, a proporre, grazie all’immaginazione, delle intuizioni che la ragione non è ancora in grado di formulare.

 Negli scritti di Teilhard troviamo dei veri poemi in prosa. Penso a quell’eccellente inno all’amore che è L’Eterno Femminino, penso alla famosa Messa sul Mondo, una delle più alte pagine mistiche del ‘900, penso al racconto simbolico intitolato Inno alla Materia, che mi piace definire il Cantico di Frate Sole del XX secolo e di cui mi occuperò qui in particolare. Ma la ricchezza delle immagini metaforiche è sparsa un po’ in tutte le sue opere, in quella mole di documenti che testimoniano contemporaneamente la sua esperienza culturale e il suo cammino interiore, la sua riflessione scientifica e la sua esperienza mistica, che egli mette generosamente al servizio del lettore. In sostanza, utilizzando il mezzo di espressione più aristocratico di cui il pensiero riflesso è dotato, cioè la scrittura, crea un’opera d’arte. Mi riferisco naturalmente ai XIII volumi dei suoi saggi e alle raccolte della sua corrispondenza e non ai dieci volumi dei suoi scritti scientifici che sono certo più tecnici.

Nel 1918 negli Ecrits du temps de la guerre, tradotti in Italia con il titolo La vita cosmica, il nostro autore dichiarava di accingersi ad esporre delle “visioni ardenti”, cioè delle intuizioni, dei modi di sentire, concretizzatisi nel corso di una riflessione che abbraccerà 40 anni di vita, in una unitaria visione cosmica,  la quale percorre una traiettoria che va dal concreto all’Incorruttibile, che parte dal reale per arrivare al sovrannaturale. Si tratta di una sensazione profondissima, da una parte dell’Unitarietà delle cose e dall’altra del cammino che tutte le realtà compiono verso stati di maggiore spiritualità; sensazione  che diventa per Teilhard condizione fondamentale al suo modo di pensare e di vivere: egli è indotto a pensare e a vivere  “cosmicamente”, o meglio “in Cosmogenesi”. Questa sua visione delle cose, diventata, come egli stesso dichiara, passione, fa di lui un poeta!

Teilhard ha avuto delle intuizioni così innovatrici che, come egli stesso scrive “si analizzano con difficoltà con le parole”.[2] Ancora afferma “Quando vuole interpretare, razionalizzare la sua impressione, colui che ha visto si trova molto imbarazzato, e le espressioni che trova sono generalmente inadeguate”[3]. Dunque ammette lucidamente che penetrare nel mistero intimo delle cose significa, per chi scrive, riuscire a suggerire più che a descrivere, e ciò è ancor più vero dal momento che la sua speculazione si svolge tutta e imprescindibilmente nel quadro del reale in continuo divenire, cioè dell’evoluzione. La nostra intelligenza può solo rappresentarsi, e poi descrivere, l’immobilità e la discontinuità. Ma la vita in evoluzione ci porta continuamente verso l’imprevisto, di cui non abbiamo ancora coscienza, e di cui dovremo parlare. In altre parole la Vita apre la strada al Pensiero. Ed ecco che ciò che non è ancora stato espresso con delle idee può intanto essere indicato con delle immagini. L’immaginazione che agisce attraverso l’intuizione e produce delle immagini, è il grande meccanismo che muove l’arte, la scienza, la filosofia, praticamente tutta la speculazione umana.

Teilhard de Chardin, dunque, attingendo al ricco bagaglio delle sue intuizioni, sostenuto dalla sua ardente immaginazione, arriva a dire cose nuove, che a molti sembrarono, al loro apparire, azzardate. E se il suo discorso è così altamente lirico, riccamente metaforico, è perché là dove è necessario esprimere concetti nuovi, è proprio la metafora a entrare in gioco e a venire in aiuto al linguaggio.

Ogni filosofo ha il diritto di essere poeta, meglio ancora deve  esserlo se vuole dire cose nuove e non limitarsi a ripetere cose  già dette, così come ogni poeta è un po’ filosofo e lancia fasci di luce sulla strada che la riflessione umana si apre continuamente, faticosamente, verso un più conoscere che in ultima analisi significa, secondo una nota espressione teilhardiana, più essere.

Se poi circoscriviamo tali considerazioni alle pagine a carattere mistico, è chiaro che un tale impegno immaginativo, poetico, si tende al massimo delle sue possibilità dal momento che si tratta di parlare del divino, che per sua natura è indescrivibile in modo razionale, o del rapporto di ciascuna persona con questo divino e che è assolutamente originale. Pensiamo alla poetica di un San Francesco, di una Santa Teresa d’Avila, di David Maria Turoldo e appunto del nostro autore.

Un linguaggio poetico ben riuscito può indurre nel lettore un percorso interiore che così si articola: innanzi tutto introduce una modificazione della sua immaginazione; ciò induce una modificazione dei sentimenti; e infine si produce una modificazione della volontà e dunque dell’azione. Ecco quindi che le pagine dei mistici, stilate con linguaggio lirico, cioè ricco di immagini che assolvono alla funzione suddetta, sono atte ad offrire una serie di intuizioni che porgono nuove scoperte di senso, e determinano scelte esistenziali rinnovate e, come nel caso di Teilhard, più attuali.

L’anima contemplativa di questo grande mistico giunge a contemplare Dio in tutte le realtà, anche le più umili. Le cose si sublimano, il mondo si trasfigura: “Come quelle materie fluorescenti in cui è racchiuso un raggio che le illumina in blocco, così appare il Mondo al mistico cristiano, impregnato di una luce interna che ne intensifica il rilievo, la struttura e la profondità”. Siamo al famoso termine, coniato da Teilhard, della Diafania di Dio. Non solo Epifania, ma Diafania, manifestazione cioè attraverso tutte le cose. Lo sguardo di chi sa “vedere” coglie, alla base di tutte le cose, un comune universo luminoso, la luce di una medesima vita (termine nel quale coincidono per Teilhard quello con la ‘v’ minuscola, la vita naturale, e quello con la ‘V’ maiuscola, la Vita divina partecipata): gli innumerevoli esseri sono “come le tinte cangianti di una stessa luce”. Ritroviamo qui il Dio nascosto di Pascal, quel Dio che si cela e si manifesta nella natura, che si impegna nella storia, e che si offre in quel Sacramento le cui specie sono sì il pane e il vino dell’altare, in rappresentanza però di quelle cosmiche specie che sono tutto il Reale.

L’inno alla Materia che, ripeto, mi piace definire “Il Cantico di Frate Sole del XX secolo” è inserito nel testo La puissance spirituelle de la matière[4]. Esso è un esempio di amore e consapevolezza della grandezza e della funzione della realtà cosmica in cui siamo inseriti, così come Il Cantico di Frate Sole è stato otto secoli prima il messaggio di un innamorato di Dio, dell’uomo e del creato. Il cuore di Francesco e il cuore di Teilhard si profondono in un inno di eguale lode e adorazione. Il cuore del mistico batte con il medesimo ritmo quand’è profondamente sintonizzato con Dio. Ciò che cambia è la configurazione del reale e la comprensione di esso a cui è pervenuta l’intelligenza, e di conseguenza il linguaggio utilizzato per esprimere, in modo consono alla contemporaneità, sentimenti che peraltro sono eterni.

 Entrambi i due scrittori riescono con le loro vibranti pagine a introdurci e ispirarci ad atteggiamenti di rispetto e di devota salvaguardia del mondo.

L’osservazione e lo studio della natura fu una gran passione che accompagnò Teilhard de Chardin in tutte le fasi della sua vita. Stimolato dal padre, il piccolo Pierre percorreva i boschi e le colline di natura vulcanica che costituivano l’ambiente naturale in cui sorgeva il castello di famiglia, in Auvergne, tra boschi dagli alti fusti avvolti di verdi edere e incantevoli sottoboschi ricchi di felci, alla ricerca di insetti, erbe rare e pietre laviche.

Tale passione crebbe talmente che, ormai studente di teologia a Jersey, in Inghilterra, sempre più attratto dalla natura animale e vegetale, venne assalito da una crisi profonda nel timore che tale passione potesse ostacolare la vocazione sacerdotale che aveva deciso di seguire. E da questa crisi lo sollevò il maestro dei novizi dichiarandogli che “il Dio della Croce gli richiedeva l’espansione naturale del suo essere tanto quanto la sua santificazione”, e così le sue due anime, quella di scienziato e quella di religioso, crebbero in sintonia per tutta la sua vita.

E ancora, di già provato dal crogiolo di una vita che andava spendendo al servizio della ricerca ai quattro angoli del pianeta, ricca di esperienze interessanti e di tanta sofferta incomprensione, in un suo importante scritto a carattere introspettivo intitolato “Credo in questo modo”, del 1934, così si esprimeva:“Se a seguito di un qualche capovolgimento interiore io dovessi perdere successivamente la fede in Cristo, la fede in un Dio personale, la fede nello Spirito, a me sembra che continuerei invincibilmente a credere nel Mondo.” [5]

Teniamo presente che nell’amore per il mondo del nostro pensatore non si deve vedere una scelta tra due realtà distinte, cioè tra la materia e lo spirito. La sua visione del mondo supera tale dualismo cartesiano. Per lui la Totalità è Una, e Dio si scopre e si esperimenta attraverso la realtà concreta che ci circonda. “Lo spirito, che è di origine trascendente, si rivela attraverso la materia, che per sua natura tenderebbe all’entropia, e la trascina verso l’alto. Però solo da questa solidarietà, in cui successivamente i due componenti assumono posizione di diversa preminenza, nasce il reale così come lo sperimentiamo e lo viviamo.  È lo spirito-materia [6] che manifesta il suo diritto a sussistere in binomio inscindibile lungo tutto l’arco esistenziale, dal livello della materialità più primitiva a quello della realtà noosferica[7]…”.[8]

Teilhard ha un forte senso della sacralità della natura e si pone, alla maniera biblica, in atteggiamento di contemplazione e adorazione del Creato, di un Creato che è in continuo sviluppo, ma sempre, dall’inizio e fino alla fine dei tempi, animato dal soffio divino. Al di là del momento contemplativo, la sacralità della natura è proclamata da Teilhard in forza dell’inserimento di Cristo nella realtà fenomenica attraverso l’incarnazione. Come correttamente sostiene lo studioso di Teilhard, Padre Vincenzo D’Ascenzi s.j. “egli considera Cristo, incarnato nella storia, come parte essenziale del suo processo evolutivo: un cosmo che nell’evolversi verso il punto Omega realizza il suo compimento in forza della Cristogenesi, quasi che la storia umana, fin dalla preistoria, cammini e si evolva portando a compimento sé stessa, grazie al Cristo Cosmico, che raccoglie in sé lo sforzo evolutivo del creato. È una fatica evolutiva che S. Paolo definisce come un parto cosmico (Rom. 8, 22-25); è la genesi dolorosa che sospinge la storia umana al punto di maturità finale che Teilhard de Chardin chiama ripetutamente Punto Omega: io sono l’Alfa e l’Omega, il principio e la fine (Ap. 1,8; 21,5; 22,13)”

E infine ecco che il Mondo diventa per ”Teilhard sacerdote”, oggetto cultuale. Trovandosi nel 1923 nel deserto degli Ordos senza né pane né vino per celebrare la Messa, considera l’Universo come un’immensa Ostia che diventa materia del sacrificio. Senza esitazione offre la grande ostia della natura sull’altare del mondo così come un tempo si offrivano le primizie dei raccolti. Questa esperienza redatta diventerà una delle più belle pagine religiose del 1900 con il titolo La Messa sul Mondo, pervasa dallo stesso mistico amore per l’universo che sono propri delle due laudi cui andiamo ora a far riferimento.

Per comprendere L’Inno alla Materia, è dunque necessario tener presente l’ambito intellettuale in cui si muove il mistico Teilhard e riconoscere che  l’atteggiamento ecologico di Teilhard de Chardin risulta per conseguente necessità, inequivocabile. È evidente anche che si tratta di “una ecologia da intendersi non come recupero delle condizioni primigenie della natura incontaminata, bensì come ricostruzione operata dall’uomo mediante la tecnica, di quella natura rispetto alla quale l’uomo è stato, nei tempi più recenti, demolitore e saccheggiatore”.[9] Un’ecologia che positivamente riconosca “la possibilità dell’uomo “operaio” della creazione di garantire la sopravvivenza del creato, al di là di un semplice rispetto naturale“[10] Un’ecologia che ha a che fare con il livello di coscienza al quale sta pervenendo la specie umana a proposito del posto e del ruolo che l’Uomo riveste in seno all’universo. Consapevolezza della quale siamo debitori al notevole grado di sviluppo delle scienze della natura e dell’uomo che si è verificato nell’ultimo secolo. Ci si deve rendere sempre più conto che: “La realtà nelle sue dimensioni cosmiche non è qualcosa di estraneo all’individuo, ma ‘il Gran Cosmo’ affiora in noi”.[11] Di fatto l’essere umano va necessariamente oltre se stesso: “Gli individui, apparentemente principio di egoismo e di stabilità, non sembrano essere altro che luoghi di passaggio di un movimento che essi hanno il compito essenziale di far progredire un po’ oltre”.[12]

L’uomo diventa, grazie alla acquisita consapevolezza e capacità di libera scelta che lui solo ha raggiunto in natura, co-autore della genesi del mondo, collaboratore delle mani di Dio nel portare a buon fine l’evoluzione in cui egli stesso è coinvolto, al punto che il destino della Terra e quello dell’uomo si rivelano solidali.

Tra il Giardino dell’Eden e quelli che il Nuovo Testamento ci preconizza come Cieli Nuovi e Terra Nuova, c’è tutto un percorso evolutivo affidato all’uomo che è immagine di Dio, che è figlio adottivo di Dio e di conseguenza collaboratore alla Creazione.

Poniamo ora a confronto leggendoli Il Cantico di Frate sole di Francesco e L’Inno alla Materia di Teilhard

 

Cantico di Frate Sole[13]

San Francesco

 

Altissimu, onnipotente, bon Signore,
Tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione.

Ad Te solo, Altissimo, se konfano,
et nullu homo ène dignu Te mentovare.

Laudato sie, mi’ Signore, cun tucte le Tue creature,
spetialmente messor lo frate Sole,
lo qual è iorno, et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
de Te, Altissimo, porta significatione.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora Luna e le stelle:
in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.

Laudato si’, mi’ Signore, per frate Vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale a le Tue creature dài sustentamento.

Laudato si’, mi’ Signore, per sor’Aqua,
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.

Laudato si’, mi’ Signore, per frate Focu,
per lo quale ennallumini la nocte:
ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.

Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo Tuo amore
et sostengo infirmitate et tribulatione.

Beati quelli ke ’l sosterrano in pace,
ka da Te, Altissimo, sirano incoronati.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra Morte corporale,
da la quale nullu homo vivente pò skappare:
guai a.cquelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati,
ka la morte secunda no ’l farrà male.

Laudate e benedicete mi’ Signore et rengratiate
e serviateli cum grande humilitate.

 

Inno alla Materia

Pierre Teilhard de Chardin

 

Benedetta sii tu, aspra Materia, sterile gleba, dura roccia, tu che cedi solo alla violenza e ci costringi a lavorare se vogliamo mangiare.

Benedetta sii tu, pericolosa Materia, mare violento, indomabile passione, tu che ci divori se non ti incateniamo.

Benedetta sii tu, potente Materia, Evoluzione irresistibile, Realtà sempre nascente, tu che, rompendo ad ogni momento i nostri schemi, ci costringi a inseguire, sempre più oltre, la Verità.

Benedetta sii tu, universale Materia, durata senza fine, Etere senza sponde, - triplice abisso delle stelle, degli atomi e delle generazioni, tu che travalicando e dissolvendo le nostre anguste misure, ci riveli le dimensioni di Dio.

Benedetta sii tu, impenetrabile Materia, tu che, ovunque distesa tra le nostre anime e il Mondo delle Essenze, ci fai languire dal desiderio di forare il velo senza cuciture dei fenomeni.

Benedetta sii tu, mortale Materia, tu che, dissociandoti un giorno in noi, ci introdurrai necessariamente nel cuore stesso di ciò che è.

Senza di te, o Materia, senza  i tuoi attacchi, senza i tuoi strazi, noi vivremmo inerti, stagnanti, puerili, incapaci di comprendere noi stessi e Dio. tu che ferisci e medichi – tu che resisti e pieghi – tu che sconvolgi e costruisci – tu che incateni e liberi – Linfa delle nostre anime, Mano di Dio, Carne del Cristo, o Materia, io ti benedico.

Ti benedico, o Materia, e ti saluto, non già quale ti descrivono, ridotta o sfigurata, i pontefici della Scienza e i predicatori della Virtù, - un’accozzaglia, dicono, di forze brutali e di bassi appetiti, ma quale tu mi appari oggi, nella tua totalità e nella tua verità.

Ti saluto, inesauribile capacità d’essere e di trasformazione in cui germina e cresce la Sostanza eletta.

Ti saluto, universale potenza di avvicinamento e di unione, che lega tra di loro le innumerevoli monadi e in cui esse convergono sulla strada dello Spirito.

Ti saluto, sorgente[14] armoniosa delle anime, cristallo limpido dalla quale è tratta la Gerusalemme nuova.

Ti saluto, Ambiente Divino, carico di potenza Creatrice, Oceano mosso dallo Spirito, Argilla impastata e animata dal Verbo incarnato.

Credendo di rispondere al tuo irresistibile appello, gli uomini spesso si precipitano, per amor tuo, nell’abisso esterno dei piaceri egoistici.

Li inganna un riflesso o un’eco. Ora lo capisco.

Per  raggiungerti, o Materia, bisogna che, partiti da un contatto universale con tutto ciò che quaggiù è in movimento, sentiamo via via svanire nelle nostre mani le peculiarità proprie di tutto ciò che abbiamo afferrato, fino a  rimanere alle prese con  la sola essenza di tutte le situazioni, di tutte le unioni.

Se vogliamo possederti, bisogna che ti sublimiamo nel dolore dopo averti voluttuosamente accolta tra le braccia.

O Materia, tu regni sulle vette serene ove i santi pensano di evitarti, - Carne così trasparente e mobile che non ti distinguiamo più da uno spirito.

Portami in alto, o Materia, attraverso lo sforzo, la separazione, la morte, - portami dove sarà finalmente possibile abbracciare castamente l’Universo.[15]

 

I testi di lode e adorazione composti da Francesco d’Assisi e da Teilhard de Chardin rivelano due linguaggi assai diversi, riconducibili a motivi stilistici e a ragioni di diversa interpretazione e conoscenza del reale caratteristiche delle epoche storiche cui appartengono. Li accomuna invece la volontà di celebrare l’universo come luogo della presenza del sacro e la scoperta che la natura porta scolpita in sé la parola di Dio.

Gli autori scoprono nella realtà materiale un cammino che porta a Lui: la corporeità non è da respingere. Per quanto riguarda Francesco d’Assisi non è da escludere che “l’insistenza del Cantico su bellezza, utilità e bontà di tutti gli esseri che compongono il creato, sia una risposta implicita alla teoria eretica corrente tra i Catari, che giudicavano negativa la natura e rifiutavano ogni forma di ‘contaminazione’ con la materia”.[16] Dal suo canto Teilhard de Chardin a più riprese, in particolare ne L’Ambiente Divino o nello scritto autobiografico Il Cuore della Materia, prende chiaramente le distanze da un certo tipo di educazione religiosa che pretende il distacco dalla materia. Egli sottolinea che non ci si deve salvare “nonostante” la materia, bensì “attraverso” la materia, tant’è che la sua via di perfezionamento cristiano è stata definita una “mistica della traversata”.

In entrambe le laudi si delinea un atteggiamento di familiarità con tutti gli elementi del creato. Per il fraticello di Assisi tutte le creature sono fratelli e sorelle, per il gesuita scienziato ogni essere è tenuto a riconoscere una genitorialità a ciò che lo ha preceduto e un debito di preoccupata cura nei confronti degli esseri che lo seguiranno nel futuro. Il primo lascia trapelare un commosso sentimento di devota fratellanza con la bellezza ma anche con la sofferenza inevitabile che ci circonda, il secondo un piglio di  robusta partecipazione all’ebbrezza, alla maestosità e anche alla violenza del divenire delle cose che ci trascina verso il nostro destino ultimo sfociante in Dio.

I nostri due autori fanno comunque prendere coscienza della nostra situazione di coabitatori, strettamente legati gli uni agli altri (uomini e cose), di una casa comune che Dio ci ha donato e che dobbiamo imparare ad abitare in pace, con la consapevolezza della responsabilità che abbiamo nei suoi confronti. È in questo temine “casa”, oikos, che scopriamo la radice del termine ecologia e i conseguenti termini di relazione, fraternità, unione che caratterizzano la metafora dello stare insieme in una casa e del godere tutti dei frutti del simbolico “giardino” in cui essa è posta.

A questo punto, sostenuti dall’antico anelito di Frate Francesco e dall’attuale poderoso sospiro di Padre Teilhard, mi pare poter sostenere che, al di là di un ecologismo di interessata salvaguardia, occorra un rapporto di solidarietà e di intelligente ricerca sul piano scientifico per imparare a sentire e potenziare il profondo respiro di Gaia. Scriveva Teilhard: “Quanto più l’individuo si riconosce come elemento di un universo nel quale si realizza, tanto più si sente legato dall’interno al dovere di conformarsi alle sue leggi”[17]. Ma quanto più attualizza e prende coscienza, grazie alla ricerca scientifica, del proprio ruolo in seno al reale, tanto più si accentua quel senso di fraternità con la natura che San Francesco esprimeva chiamando fratelli e sorelle il sole, la luna, la terra, l’acqua.: il respiro di Gaia si identifica, per la sensibilità del mistico, con il respiro di Dio, e diventa il mezzo privilegiato per ascendere alla massima maturazione umana. “Immergiti nella Materia, figlio dell’Uomo, tuffati in essa, laddove è più violenta e più profonda! Lotta nella sua corrente e bevi il suo flusso! Ha cullato lei, una volta, la tua vita incosciente; essa ti porterà fino a Dio!”[18]

È in tale sentimento di profondo amore per questa Terra Madre che possono nascere le azioni volte alla sua tutela. C’è sicuramente molto da fare, ma nelle macro come nelle micro iniziative non si potrà mai prescindere dal tener presente la legge che Teilhard ha dedotto dall’osservazione del divenire, cioè la legge di complessità/coscienza. Il cammino evolutivo snodatosi dalle molecole agli esseri pensanti è avvenuto grazie a successivi processi di sintesi, procedendo cioè da esseri più semplici a esseri più complessi Se ne deduce che, pur con una miriade di tentativi mal riusciti, l’evoluzione ha sempre cercato e trovato la strada di una maggiore unità. E questa strada non va abbandonata. Dunque possiamo pensare che sia valido tutto ciò che unisce e converge, perché l’unione fa salire verso lo spirito, mentre sia negativo tutto ciò che divide, che mira all’individualismo, che parcella, perché distrugge. Attraverso alla biologia, alla genetica, gli scienziati colgono gli effetti “creanti” dei processi di sintesi, ma essi si intuiscono anche di fronte alla stessa natura che possiamo osservare intorno a noi, quando riusciamo ad ascoltarla e ad assecondarne le esigenze.

E come non vedere in questa richiesta di comunità di intenti che ci viene presentata in modo impellente dal creato, prima e assolutamente autentica parola di Dio, al di là delle dispute dogmatiche, l’indicazione di un percorso di sapore ecumenico offerta a tutti gli uomini di buona volontà?

Ci salveremo, noi e il pianeta che ci ospita? Certamente sì, perché i prodromi dell’instaurarsi di una coscienza ecologica sono ormai assai evidenti, e come tutti i fenomeni positivamente confacenti all’evoluzione che ci trascina, non possono regredire; anche se non mancheranno inevitabili errori, difficoltà e sofferenze; anche se risultati positivi si instaureranno in tempi assai lunghi, come avviene per tutti gli eventi cosmici. “Io credo al fatto che il Mondo, preso come un Tutto, abbia la sicurezza di avere buon esito [….]. Lo credo per deduzione: perché se l’Universo è riuscito fin qui nell’inverosimile lavoro di far nascere il pensiero umano in seno a ciò che ci pare un inimmaginabile intrico di rischi e di possibilità negative, è perché è animato, nel suo interno, da una forza soprannaturale padrona degli elementi che lo compongono. Lo credo anche per necessità: perché se avessi modo di dubitare della solidità a tutta prova della sostanza nella quale mi trovo inserito, mi sentirei assolutamente perso e disperato. Lo credo, infine, e forse soprattutto, per amore: perché amo troppo l’Universo che mi circonda per non aver fiducia in esso”.[19]

 

 

Comunicazione tenuta al seminario di studio "Universalismo: unità umana e futuro dell'umanità tra passato e futuro", Fabriano, 21 giugno 2008

 

[1] Dal discorso tenuto da Padre Henri Madelin il 17 settembre 1981 a Parigi all’inaugurazione di una lapide in onore di Teilhard.

[2] Ecrits du temps de la Guerre, p. 212.

[3] Ibidem, p. 389.

[4] In Pierre Teilhard de Chardin, Inno dell’Universo, Queriniana, Brescia  1992, pp. 48-49.

[5] Pierre Teilhard de Chardin, La mia Fede. Scritti teologici, Queriniana, Brescia 1993, p. 101.

[6] Binomio coniato da Teilhard per indicare l’unicità del tessuto di cui è costituita tutta la realtà. Materia e spirito sono come le due facce di una medesima medaglia, essendo la prima l’aspetto fenomenico che noi sperimentiamo, il secondo l’interiorità che la anima.

[7] Noosfera (neologismo teilhardiano) = strato pensante (umano) della terra che costituisce un regno nuovo e distinto dalla biosfera, cioè dallo strato della vita non ancora in grado di pensare. Realtà ormai costituita ma ancora in corso di libera realizzazione ad opera della specie umana.

[8] Annamaria Tassone Bernardi, Pierre Teilhard de Charin. La poesia del cosmo, Studium, Roma, p.112.

[9] Aurelio Rizzacasa, La natura giardino del creato, in  Atti del Convegno Nazionale di Assisi 2002. Dalla natura alla cultura e oltre, ed. pro manuscriptu dell’Associazione Italiana Teilhard de Chardin.

[10] Ibidem, pag. 20.

[11] Annamaria Tassone Bernardi, op. cit., p.57.

[12] Ibidem et ivi.

[13] In G. Contini, Poeti del Duecento, Ricciardi, Milano-Napoli 1960, vol. I

[14] Ciò non significa che lo spirito sia un prodotto della materia, ma, come già accennato, in una Creazione di tipo evolutivo, la  materia è stata necessaria perché sulla Terra potesse evidenziarsi lo spirito.

[15] Pierre Teilhard de Chardin, Inno dell’Universo, cit., pp. 48-49.

[16] Carlo Paolazzi, Lettura degli scritti di Francesco d’Assisi, OR, Milano 1987, p. 98.

[17] Pierre Teilhard de Chardin, Le direzioni del futuro, SEI, Torino 1996, p.161.

[18] Pierre Teilhard de Chardin, Il cuore della Materia,  Queriniana, Brescia 1993, p.62.

[19] Pierre Teilhard de Chardin, La Scienza di fronte a Cristo. Il Segno dei Gabrielli editori, Verona 2002, p.69.

 

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