Attraverso il 'femminile' per l'integrazione della complessità

Rosa Il Grande - Daniella Cippo

Attraverso ilfemminile’

per l’integrazione della complessità.

Rosa Il Grande – Daniela Cippo

Rosa Il Grande è psicologa clinica e di comunità, specializzata in psicoterapia sistemico relazionale.

Daniela Cippo è psicologa dello sviluppo e dell’educazione, specializzata in sostegno individuale e famigliare

 

Questo lavoro nasce dall’opportunità di mettere in risalto una dimensione fondamentale alla base di ogni società: il femminile e le sue risorse. Comunemente usiamo distinguere le narrazioni riguardo un pensiero tipicamente occidentale caratterizzato dal dare poco valore o addirittura dal non riconoscere l’importanza del femminile.

Tradizionalmente le influenze culturali e religiose appartenenti al sistema occidentale sono permeate dal presupposto maschile e patriarcale, detto unilaterale, basato sulla razionalità. Sembrano far fatica nell’accettare la possibilità di aprirsi ad ambiti più interiori ed emotivi, tipicamente femminili, che consentono una comprensione più globale della realtà.

Tra le variabili che descrivono il femminile, troviamo una maggiore capacità empatica, ovvero l’abilità di “entrare in rapport” con l’altro. Dimensione principalmente esercitata da coloro che si esprimono professionalmente attraverso il fornire relazioni d’aiuto.  Questo termine deve la sua origine a Milton Erickson (Erickson, 1983). Professionista colpito durante la sua esistenza da un’infinità di problemi fisici, che gli consentirono di implementare la gioia di vivere e la consapevolezza di quanto vi fosse di bello in ciò che lo circondava. Dalle sofferenze recuperò una straordinaria sensibilità che gli consentì di accogliere i suoi pazienti puntando lo sguardo sulle infinite potenzialità presenti in ogni soggetto (Zeig, 1990). Egli credeva nelle smisurate capacità presenti in qualsiasi individuo e nell’unicità d’ogni essere umano, non riducibile entro schemi rigidi. Si avvicinava ai suoi pazienti attraverso un approccio olistico e onnicomprensivo, tale da riuscir a far coincidere il linguaggio del corpo con quello della mente. Il lavoro con loro asserviva al divenire uno strumento atto a riattivare le potenzialità irrigiditesi nel paziente, e guidandolo al cambiamento, attraverso il riappropriarsi delle risorse personali e relazionali della comunicazione. Secondo Erickson (1983) occorre liberare l’altro dalle condizioni del passato vissute come vincolanti, così che i legami, che hanno imbrigliano l’individuo, appresi durante la sua storia evolutiva personale e interazionale con il suo ambiente, possano evolvere e mutare. La comunicazione tra i due si realizza in un clima favorevole e sulla base di un rapporto di fiducia. Erickson con il termine “rapport” definisce la capacità di entrare in relazione con un altro, attraverso un processo di “osservazione responsiva”, atta a considerarsi come la capacità empatica del terapeuta che, in un rapporto di fiducia, permette di utilizzare i comportamenti dell’interlocutore in modo da creare un clima favorevole al cambiamento. Tale capacità passa attraverso l’osservazione delle risposte fisiche e comportamentali che il paziente dà e trasmette. Attraverso il “rapport” si genera con l’altro, una risonanza emotiva, cogliendo le sfumature emozionali atte a  sostenere ed accompagnare il cambiamento.

La capacità empatica viene descritta da Daniel Goleman (1995) attraverso il concetto di intelligenza emotiva, inteso come il riconoscere, l’utilizzare, il comprendere e il gestire in modo consapevole le proprie e le emozioni altrui; distinguendo i vissuti e le risonanze da utilizzare le informazioni ricavate per guidare i pensieri e le azioni (Salovey & Mayer, 1990). Per Goleman coincide con la perseveranza nel raggiungere un obiettivo, con la capacità di motivare se stessi, ma anche con la predisposizione all’empatia, alla speranza, all’ottimismo e all’assertività. Normalmente distinguiamo l’intelligenza emotiva nelle seguenti componenti: valutazione, espressione, regolazione ed utilizzo delle emozioni accompagnate dal ragionamento sui sentimenti e dall’abilità di accedere agli altri, promuovendo la crescita emotiva e intellettuale.

L’intelligenza emotiva consente di sentire le proprie emozioni, di nominarle correttamente nel loro significato, di regolarle sintonizzandone l’intensità rispetto allo stimolo e di usarle per interagire con gli altri. Nel sentirle e regolarle in base allo stimolo è possibile “muoversi verso”, ovvero generare tutti quei processi atti alla motivazione, così da produrre comportamenti personali e interpersonali efficaci. Il femminile è da sempre descritto e caratterizzato dalla capacità di definire ciò che vive al proprio interno. Sentire che una persona possa deludere e saper discernere se questa da origine ad emozioni di rabbia, prendere del tempo per ponderare le reazioni e fuggire dalle classiche dimensioni legate agli acting out è uno dei suoi risvolti. Secondo Goleman l’intelligenza emotiva è come una bussola d’oro che orienta internamente verso il nucleo del sentire. Essa spiega e indica la direzione da seguire, anche quando il cammino, o il successo è determinato dalla relazione con l’altro, codificando e orientando la modalità relazionale in modo efficace, partendo dal sentire il vissuto emotivo e motivazionale. Molto simile a questo costrutto ritroviamo l’intelligenza interpersonale proposta invece da Gardner (2005) ed intesa come la capacità di riconoscere e fare distinzioni riguardo i sentimenti, le intenzioni e le credenze altrui. Essa è affiancata dall’autore da un’altra più introspettiva detta intelligenza intrapersonale, ovvero la capacità di riconoscere i propri sentimenti. Secondo Gardner questi due tipi di intelligenza, insieme, costituiscono l’intelligenza personale, strettamente collegate tra loro e non è sempre semplice distinguerle.  Dal punto di vista fisiologico questa attitudine viene spiegata attraverso i neuroni a specchio, scoperti da Giacomo Rizzolatti, neuroscenziato italiano (1992). Questi vengono considerati fondamentali e alla base di alcuni importanti sentimenti e condizioni umane come l’empatia, l’apprendimento e la socialità. Secondo Rizzolatti osservando il comportamento altrui, si ha l’opportunità di capire le intenzioni, scoprendone le emozioni, provandone empatia, imparando e prevendendone le condotte ed i comportamenti. Questo tipo di neuroni sono alla base dell’empatia, consistono nella capacità di immedesimarsi nelle situazioni e solidarizzare con le gioie e i dolori degli altri. Una peculiarità fondamentale del femminile consiste proprio in questa capacità di sintonizzarsi con gli altri, con i loro vissuti ed il loro sentire. È alla base dell’accoglienza, del farsi spazio avvolgente e generante, svolgendo psichicamente la stessa funzione legata all’essere un utero capace di essere una fornace di vita. Questo non avviene sempre, a volte l’empatia non scatta e i motivi possono essere diversi, il più frequente è legato all’impossibilità di riconoscersi nell’altro. Secondo Rizzolatti (1992), i neuroni specchio potrebbero attivarsi o meno a causa di fattori culturali che potrebbero bloccare questo processo. Pertanto l’empatia consente un contatto profon­do, che avviene non solo con l’osservazione ma anche con l’ascolto e la comprensione dei se­gnali emozionali, cambiando il punto di vista e assumendo la prospettiva dell’altro così da condividerne ed esplorane i sentimenti, senza giu­dizio. Essa è essenziale per cambiare contesto, andando oltre la cristal­lizzazione del proprio punto di vista e comprendendo le motivazioni altrui. È strettamente collegata con l’assertività, ovvero con la capacità di essere sicuri di sé, sicuri delle proprie decisioni e contemporaneamente aperti al confronto. L’empatia consente ai soggetti assertivi di comprendere le posizioni altrui e di abbassare il livello di conflittualità. Questo passaggio diviene infinitamente generante e conduce ad un capovolgimento culturale importante negli ultimi anni, la terapia del perdono, basata su alcuni elementi fondamentali. Essa descrive capacità importanti legate al femminile che si esplicano nel non rispondere compulsivamente alle situazioni ma mantenere un giusto distac­co e un buon livello di autoconsapevolezza. Daniel Lumera (2019) definisce l’empatia necessaria in un percorso di questo genere come “empatia matura” ovvero come la capacità di accedere a esperienze di compassione e a livelli di consapevolezza sempre più elevati. L’intento è di integrare il femminile passando da un sistema di conoscenza patriarcale basato sulla competizione, sull’individualismo, sull’impeccabilità, la perfezione, sul potere e la realizzazione a qualsiasi costo; giungendo ad una visione della realtà caratterizzata dalla realizzazione, dall’apertura, dalla disponibilità, dall’accoglienza, dalla presenza di sé, dalla dolcezza, dall’abbandono e dalla devozione. Il perdono, dice Lumera, lo ha condotto alla possibilità di integrare le polarità del maschile e femminile, definite come dimensioni elettrica e magnetica, giungendo così a delineare un campo esperienziale, finalmente unitario, sintesi sia di colui/colei che osserva la realtà che di ciò che viene percepito. Nel presente lavoro desideriamo delineare le ulteriori sfumature del femminile attraverso la capacità di sostituzione delle possibili emozioni negative con le corrispettive positive; promuovendo un percorso ed uno sguardo riconciliativo attraverso un cambiamento emotivo, mentale e motivazionale, così come accade nel perdono emotivo. Nel perdono chi viene offeso, attraverso un percorso di analisi, accusa, responsabilità, consapevolezza e gratitudine, sceglie di sviluppare empatia verso l’offensore, costruendo una nuova narrazione di se stesso e dell’altro (Giusti & Locatelli, 2000). In questo modo è possibile superare la frattura nata dal conflitto tra le diversità che portava a scindere in modo netto e agonista anche il maschile e il femminile. Purtroppo, quando questi principi non si incontrano e non si integrano, predomina la volontà di potere, dove uno deve predominare sull’altro e sulla realtà circostante. Il riconoscimento del valore viene a mancare impoverendo gli scorci di lettura possibili della realtà. A riguardo ne ritroviamo rappresentazioni concrete e plateali nei giornali e nei fatti di cronaca, sempre più costellati da dimensioni di violenza e aggressività, fatto di offender e offesi.

Proviamo invece a concentrarci sulle altre dimensioni di ricchezza presenti dietro al concetto di femminile, dimensione velata di mistero, ricca di sfumature che spesso sfuggono a definizioni più ampie lasciando disorientato chi tenta di approfondirne il senso.

Se riprendiamo i lavori legati ad alcuni autori fondanti della psicoanalisi vedremo riaffiorare i miti e gli archetipi, che parlano direttamente alla nostra anima, superando i semplici ambiti razionali e consentendoci di riflettere sulla struttura psicologica umana basilare. La diversità presente tra i generi ci consente di disegnare la complementarietà  tra loro, evidenziando la competenza fecondativa legata al principio femminile. L’interconnessione dei due principi: maschile e femminile consente un’importante interdipendenza e conduce così ad una profonda autorealizzazione. Tra gli autori fondamentali nel costruire questa lettura troviamo Jung (Schwartz Salant, Stein, & Sambo, 2004). Egli distingue all’interno dell’inconscio dell’uomo, la presenza attiva di un principio femminile detto “Anima” e contemporaneamente nell’inconscio della donna, la presenza di un principio maschile detto “Animus”. Jung (1912) ha soprattutto il merito di aver compreso e diffuso il percorso evolutivo della donna mediante lo studio antropologico dei miti. Il mito va oltre il personale, contiene una valenza fortemente energetica, attirando l’attenzione per riunire al suo interno valori universali e validi per l’intera umanità e favorendo le trasformazioni spirituali. Nel mito, il mistero diventa un percorso iniziatico, dove la donna acquisisce il suo potere femminile attraverso tappe dolorose di morte e rinascita, necessarie per ricongiungersi al suo bene. Il mistero del femminile ha il sapore di una storia che narra destini comuni, è il racconto di ogni donna, travaglio doloroso della sua anima e del grembo che genera vita. È la storia di una coscienza e delle sue lotte interiori, di una lenta trasformazione attraverso cui emerge la verità della propria essenza. Tra le immagini simboliche, troviamo le rappresentazioni di numerosi archetipi riguardanti il femminile, tra i quali emerge quello chiamato da Jung la Grande Madre (Neumann, 1981).  Con il termine Madre sottolineiamo non solo la relazione di filiazione ma anche la consapevolezza di essere generati da una figura verso cui si vive un forte riguardo. Le immagini simboliche che la richiamano sono molte: dee, fate, demoni, ninfe, fantasmi e mostri. Per gli antichi la divinità era un insieme unico di bene e male; solidarietà e ostilità; solo successivamente si è cominciato a distinguere e polarizzare la dea buona e la dea cattiva, scindendole in modo separato.

Questo approccio si rispecchia nello sguardo che il piccolo neonato utilizza nei confronti della propria mamma, vissuta come un femminile onnipotente da cui dipendere totalmente. Questa unione, di percepito e percepiente, descritta sopra per delineare il Perdono, consente di vivere e leggere la realtà nella sua complessità e nella sua compiutezza, senza più scindere in maniera univoca e parziale la razionalità dagli istinti ma accogliendole come espressioni spontanee dell’inconscio.

Quindi la Grande Madre è buona e cattiva insieme, permettendo l’unificazione degli elementi positivi e negativi. 

Possiamo allora descrivere l’essenza del femminile come distinta tra due dimensioni che coesistono e si completano quello elementare e quello trasformatore (Bolen, 1991).  Dal punto di vista positivo è un femminile capace di protegge, nutrire, riscaldare, contenere; mentre in senso negativo, rende la coscienza infantile, dipendente, inerte, rifiutando e privando l’altro del nutrimento di cui necessita, guidando la sua trasformazione. Tale processo risponde alla funzione del materno che nutre. Esperienza concreta di ogni madre che accoglie e concede al  proprio figlio di crescere dentro lei, nutrendosi di lei. La donna è, quindi, strumento di trasformazione, sia di se stessa, sia del bambino; dentro e fuori di sé.

L’uomo si sente attratto dal femminile capace di trasformazione, perché, incontra la rappresentazione dell’Anima, che come figura femminile interiore dello stesso, muove e spinge alla trasformazione, incoraggialo ad affrontare le nuove avventure dello spirito e  ad agire nel mondo esterno. Perché  questo scambio si realizzi in modo armonico in una coppia occorre che la donna sia consapevole del proprio femminile e sia capace di armonizzarlo con l’altro, senza produrre l’annientamento o l’annichilimento del maschile nel proprio compagno.

Allora eccoci a descrivere un femminile fatto di saggezza, saggezza psichica capace di rivoluzionare il tutto, dove la psiche delle persone ed il loro corpo è capace di caoticità, trasformazione e rinascita: fisica, psichica e spirituale, attraverso agiti concreti trasformando l’invisibile in visibile (Neumann, 1981).  Così, Neumann giunge a definire il femminile come la manifestazione di un segreto mondo interiore, che richiama fascino e seduzione, legato sia al mondo spirituale che creativo, a cui anche l’uomo attinge come risorsa energetica, in quanto portatore di coraggio; intuitiva emotività, regno delle Muse, o forze femminili, che proteggono ciò che è artisticamente creativo e fortemente generativo.

Ma  concretamente come si avvicendano queste dimensioni? Secondo Jung (1980) le sfide della vita costituiscono per la donna un processo di risveglio attraverso il rapporto amoroso. Sia l’uomo che la donna affrontano percorsi di individuazione, attraversando delle prove iniziatiche, che li condurranno al sacrificio finale così da sperimentare una nuova nascita. Questo sacrificio consente alla donna di liberarsi dall’impaccio delle relazioni personali, evidenziandone la condizione di essere una persona con i suoi diritti. Mentre per l’uomo, questa esperienza, è una resa della sua indipendenza in modo da congiungersi più consapevolmente alla donna. In tale dinamica diviene fondamentale la dialettica con la dimensione istintuale della donna, vissuto come occasione evolutiva e trasformativa e non più pericolosa. Questo passaggio avviene trasformando l’egoismo e il possesso nella possibilità di amare l’altro, giungendo ad una dimensione d’amore intesa come dono. Un uomo ed una donna che abbiano pienamente integrato dentro di sé il maschile e il femminile che li completano, si attraggono reciprocamente e sperimentano una corrispondenza armoniosa tra la propria immagine intima con quella dell’altro sesso entrano in relazione e congiungendosi tra loro, tornando ad essere uno senza più bisogno di emergere sull’altro.

Ma come funzionano, dal punto di vista neurobiologico, le donne? Sono frequenti ormai gli studi che attestano, tramite dati, che tra uomini e donne sussistano importanti diversità neuroanatomiche e neurofunzionali, alla base, seppure congiuntamente ai fattori psicosociali, della differenziazione in termini di funzionamento mentale tra i sessi. Attraverso le tecniche di neuroimaging (risonanza magnetica funzionale e morfologica, PET. SPECT), si sono potute osservare, in individui sani, alcune interessanti caratteristiche:

  • Dal punto di vista del volume, l’encefalo degli uomini è più esteso rispetto a quello delle donne
  • Il flusso sanguigno è maggiore nel cervello delle donne
  • Le donne hanno una maggiore estensione della materia grigia
  • Alcuni neurotrasmettitori come serotonina, dopamina e GABA presentano markers diversi tra individui di sesso maschile e femminile
  • Il cervello presenta nella donna differente plasticità neuronale a seconda delle fasi del ciclo mestruale e in gravidanza, puerperio, menopausa, caratteristica che corrisponde, dato il ruolo degli ormoni steroidei, a una più accentuata vulnerabilità femminile a disturbi d’ansia e depressione, in determinate fasi della vita (Biggio e Serra 2009).

Per quanto riguarda gli aspetti psicosociali, si è osservato che i cosiddetti life stress events (LSE, ovvero eventi di vita stressanti) possono rappresentare fattori di maggiore vulnerabilità alla depressione nella donna, che risultano anche di diversa natura: mentre per gli uomini i principali eventi stressogeni sono rappresentati dal problematiche legate al lavoro o a questioni legali, per le donne hanno maggiore incidenza la perdita di legami affettivi, le crisi personali delle persone del nucleo familiare o degli amici intimi, malattie di persone più o meno prossime (Kendler et al. 2001). Dal punto di vista del contesto, anche il ruolo svolto dai fattori protettivi, la cosiddetta “rete di protezione” che costituisce il supporto sociale, è diverso tra i due sessi. È stato dimostrato che per le donne esista una maggior efficacia in termini di protezione nelle relazioni ad alta valenza affettiva ed emozionale (Kendler et al. 2005).

Partendo dalla teoria dell’Extreme male brain di Simon Baron-Cohen (Baron-Cohen 2002), si è ipotizzata una parallela teoria dell’Extreme female brain, secondo la quale nelle donne si osserverebbe una più precoce maturazione neurale, specificamente della corteccia frontale: questa precocità neurologica avrebbe effetti rilevabili in una maggiore consapevolezza di sé, ma anche una più accentuata internalizzazione dei disagi e, per contro, una minore capacità di adattamento, fattori che rendono le donne, specie durante l’adolescenza, più vulnerabili ad alcuni disturbi come depressione, disturbi d’ansia, disturbi del comportamento alimentare (Zahn-Waxler et al. 2008). La cultura, tuttavia, ha sin dall’antichità espresso gli sforzi compiuti dagli scienziati per giustificare presunte carenze intellettuali delle donne e una supposta debolezza emotiva, attribuendo queste caratteristiche, da un lato alla morfologia del cervello e dall’altro a differenti specializzazioni emisferiche compromettenti per il genere femminile a livello cognitivo, ipotizzando una “naturalizzazione delle differenze” (Bagnasco et al. 2013)

Certamente, anche il substrato sociologico ha avuto e ha tuttora, a seconda dell’ambiente culturale e dell’area geopolitica di appartenenza, un’importanza cruciale sulla psicologia femminile: non c’è dubbio sul fatto che le donne siano sempre state soggette a sofferenze relative alla differenza di genere, attraverso diverse forme di prevaricazione, se non di crudeltà, a seconda dei contesti socioculturali. Se nelle nazioni in via di sviluppo la donna subisce talvolta lesioni alla propria integrità fisica, se non vere e proprie mutilazioni, nei Paesi occidentali – fatta eccezione per le forme di violenza intrafamiliare o domestica – la prevaricazione è più insidiosa, dal momento che non si esplicita dal punto di vista dei diritti, ormai riconosciuti in modo pressoché unanime, ma nell’ambito dell’attività culturale e scientifica, ma anche economica, sociale e politica (Parlamento Europeo 13 marzo / 2007).

Allo stesso modo, numerosi studi sul comportamento sociale e relazionale di genere hanno tratto conclusioni senza tenere nella debita considerazione l’effetto delle aspettative sociali e dei condizionamenti culturali che hanno prodotto, da parte dei due sessi, una tendenza culturalmente indotta a conformarsi a queste aspettative. Pertanto, ai soggetti di sesso maschile è corrisposto un grado più elevato di aggressività, sia fisica che verbale e una maggior frequenza del ricorso a condotte dominanti rispetto alle femmine (Fonzi 1996). Rispetto ai comportamenti competitivi o prosociali, le donne avrebbero manifestato una maggiore predisposizione rispetto a categorie comportamentali come la cooperazione strumentale o relazionale, risultando, in questo senso, propense a cooperare con l’altro indipendentemente dalla natura della relazione affettiva che ne costituisca il legame (ibidem). Le dimensioni psicologiche bipolari di attività/passività, aggressività/cooperazione, risultano spesso collegate a due tipi di pensiero riconosciuti universalmente come proprietà della mente umana: il pensiero intuitivo (della donna) e il pensiero razionale (dell’uomo), rispettivamente simbiotici, per tradizione, rispettivamente all’arte, alla religione e al misticismo o alla scienza.

Cosi, passaggio dopo passaggio siamo giunti alla conclusione dell’analisi di questo femminile fatto di corpo, mente, emozione, intenzione, motivazione, istinto, pensiero, cultura ed armonia, derivante dall’intreccio delle diverse variabili e che conduce a risultati sempre nuovi. Riteniamo fondamentale sottolineare in modo esplicito come le differenze non dividano, ma divengano spunto utile alla consapevolezza e ad una presenza consapevole nel mondo. Non ci resta che augurare un fantastico viaggio di esplorazione a tutte e a tutti. 

Bibliografia

  • Bagnasco, A., Borgagli, M., Cavalli, A. Elementi di sociologia, Il Mulino, Bologna 2004
  • Baron-Cohen, S. The extreme male brain theory of autism. Trends Cogn Sci 2002; 6: 248- 54
  • Biggio, G, Serra, M.A. Donna, ormoni e cervello. Quaderni Italiani di Psichiatria 2009; 28: 4-5.
  • Bolen, J. (1991). Le dee dentro la donna. Una nuova psicologia femminile. Roma: Astrolabio.
  • Di Pellegrino, G., Fadiga, L., Fogassi, L., Gallese, V., & Rizzolatti, G. (1992). Understanding motor events: a neurophysiological study. Experimental Brain Research, 91, 176-180.
  • Erickson, M. (1983). La mia voce ti accompagnerà. Racconti didattici di Milton H. Erickson. Roma: Astrolabio.
  • Fonzi, A. (1996). Cooperazione e competizione. Differenze di genere in età infantile. Il nemico ha la coda. Psicologia e biologia della violenza, 28-53.
  • Gardner, H. (2005). Educazione e sviluppo della mente. Intelligenze multiple e apprendimento. Trento: Editrice Erickson.
  • Giusti, E., & Locatelli, M. (2000). L'empatia integrata. Roma: Sovera.
  • Goleman, D. (1995). Intelligenza emotiva. BUR .
  • Jung , C. (1980). L’uomo e i suoi simboli. Longanesi.
  • Jung, C. (1912). Simboli della trasformazione. Torino: Bollati Boringhieri.
  • Kendler KS, Gardner CO, Neale MC, Prescott CA. Genetic risk factors for men and women: similar or different heritabilities and same or partly distinct genes? Psychol Med 2001; 31: 605-16
  • Kendler KS, Myers J, Prescott CA. Sex differences in the relationship between social support and risk of major depression: a longitudinal study of opposite-sex twin pairs. Am J Psychiatry 2005; 162: 250-6
  • Lumera, D. (2019). I sette passi del perdono. Cesena: Vis Edizioni.
  • Neumann, E. (1981). La Grande Madre, Fenomenologia delle configurazioni femminili dell’inconscio. Roma : Astrolabio.
  • Risoluzione sul tema della Parità tra donne e uomini, Parlamento europeo, 13 marzo 2007 Disponibile online in https://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P6-..., consultato il 16 marzo 2021.
  • Salovey, P., & Mayer, J. (1990). Emotional intelligence. Imagination, Cognition and Personality, 9, 185-211.
  • Schwartz Salant, N., Stein, M., & Sambo, B. (2004). Il maschile e il femminile cent'anni dopo. La definizione di C. G. Jung e la psicoterapia odierna. Roma: Edizioni Magi.
  • Zahn-Waxler C, Shirtcliff EA, Marceau K. Disorders of childhood and adolescence: gender and psychopathology. Annu Rev Clin Psychol. 2008;4:275-303. doi:10.1146/annurev.clinpsy.3.022806.091358. PMID: 18370618.
  • Zeig , J. (1990). Erickson. Un'introduzione all'uomo e alla sua opera. Roma: Astrolabio Ubaldini .

Questo articolo è stato pubblicato su Teilhard aujourd'hui n. 35 (Febbraio 2021)

categorie articoli: